16/10/2015 - GOD IS AN ASTRONAUT + THE SHIVER @ Il Deposito - Pordenone

Pubblicato il 24/10/2015 da

Dopo la parentesi estiva allo Sherwood di Padova, gli irlandesi God Is An Astronaut tornano in Italia con ben tre date del loro tour europeo. La promozione di “Helios|Erebus”, uscito non casualmente il 21 giugno, in coincidenza col solstizio d’estate, prevede infatti di fare tappa a Roma, Bologna e Pordenone. Siamo andati a sentirli proprio in quest’ultima serata italiana, venerdì 16 ottobre, allo storico ex-Deposito Giordani, oggi rilanciato semplicemente come Il Deposito. Grazie ad una gestione rinnovata e in barba ad uno dei vicinati peggiori che un locale per concerti possa avere, Il Deposito sta riportando grande musica a Pordenone, città che vanta una gloriosa tradizione punk e alternative ed una delle scene metal più attive d’Italia. Quasi tutte le scelte del “nuovo” Deposito sono state azzeccate, dal pienone quasi scontato coi Tre Allegri Ragazzi Morti ai buoni trecento paganti per i Satyricon, passati da queste parti lo scorso aprile. Riusciranno i Nostri a fare centro anche con una serata post-rock? Considerando che alle 21:15 ci sono già duecento persone in sala, si direbbe di sì.

God Is An Astronaut - locandina - 2015
THE SHIVER
Alle 21:30 salgono su palco i The Shiver, giovane band alternative/goth laziale. Il gruppo ha già all’attivo tre album e una discreta esperienza live come spalla di band di un certo rilievo, che spaziano dai Negramaro ai Papa Roach, fino ad arrivare ai The Ark (mix che ci incuriosisce non poco). I trenta minuti scarsi della loro performance partono da “The Ocean”, opener e singolo di lancio del nuovo lavoro “The Darkest Hour”. È subito chiaro come l’anima della band sia tutta nella presenza e nella voce di Federica “Faith” Sciamanna, che tiene banco nonostante sia relegata con la sua tastiera in un angolo infelice del palcoscenico. Nel complesso, il pezzo è orecchiabile ed eseguito senza sbavature. Dopo i primi due brani, il gruppo si lascia andare ad un intermezzo strumentale gradevole ma non superlativo. Anche la chiusura della performance viene affidata ad un momento strumentale, con più groove ma comunque meno interessante rispetto agli altri brani proposti: scelta un tantino azzardata, soprattutto se a breve si esibirà un gruppo come i God Is An Astronaut. Al di là di questo, i The Shiver suonano bene, tengono il giusto profilo e presentano dei brani forse non rivoluzionari ma sicuramente piacevoli. Nella loro mezz’ora tirata non c’è nulla che non abbiamo già sentito (vi ricordate i vecchi The Gathering?), ma il pubblico risponde bene e se la performance fosse durata cinque minuti in più probabilmente avrebbe applaudito ancora.

GOD IS AN ASTRONAUT
Chi si aspettava video, effetti luminosi e performance studiate ad hoc per ogni singolo pezzo è destinato a rimanere a bocca asciutta: stavolta i GIAA sono davvero minimal. Poche luci, quasi zero fumo, solo loro e un fondo nero. Ci penserà la musica a riempire la scena. II viaggio comincia alle 22:30 sulle note di “When Everything Dies”, tratta dal bellissimo “All Is Violent, All Is Bright”. Segue immediatamente “Echoes”, dall’album eponimo della band irlandese, ed il pubblico è già ipnotizzato dal suono avvolgente di chitarre e tastiere. Proviamo a guardarci alle spalle: bocche semiaperte, occhi sgranati, clima da sala cinematografica. Insomma, la musica del quartetto irish sta facendo il suo effetto. “Vetus Memoria”, primo estratto da “Helios|Erebus” che ascoltiamo stasera, unisce alle atmosfere notturne ed ovattate una carica più dura e sonorità più aggressive, che ci riportano per un attimo coi piedi per terra. Il pezzo è più che convincente anche nella sua esecuzione live e dimostra chiaramente l’abilità dei God Is An Astronaut di spostarsi da un sound all’altro con invidiabile naturalezza, senza stacchi e senza scossoni. Del resto, che questa sia una delle cifre della band fin dalle sue origini è evidente anche dal brano successivo, estratto dall’album d’esordio “The End Of The Beginning”: “Point Pleasant” è elegante senza essere snob, ha spessore nella sua essenzialità. Il modo di suonare dei GIAA, in questo senso, è perfettamente aderente alle composizioni. Nessuno dei quattro ha bisogno di strafare per convincerci di essere un ottimo musicista. “Worlds In Collision” fa finalmente saltare il pubblico, ma subito dopo i cori di “The Last March” (uno dei rarissimi momenti in cui la voce ha un ruolo definito) ci riportano verso un’atmosfera onirica e introspettiva. L’intro “spaziale” e vagamente inquietante di “Helios|Erebus”, title track del nuovo album, fa il resto. Siamo di nuovo su una montagna russa che procede con fluidità tra momenti ovattati e passaggi più decisi, conducendoci verso l’unico vero intermezzo cantato della serata e un finale segnato da alcuni dei riff più accattivanti del nuovo disco. Il crescendo prosegue con “From Dust To The Beyond”, che carica il pubblico a suon di bending e che vede finalmente la band abbandonare la compostezza tenuta sul palco fino a questo momento. Se il compito di intrattenere l’audience era stato finora quasi tutto sulle spalle del simpatico chitarrista/tastierista Jamie Dean, ora anche il leader Torsten Kinsella spara qualche godibile cazzata. “Pig Powder” e “Centralia” ci danno un altro assaggio di “Helios|Erebus”: la prima naviga ancora una volta sospesa nello spazio, la seconda trasforma le chitarre “stellari” di Dean e Kinsella in uno strumento più propriamente rock, ben sostenuto dal basso dell’altro gemello Kinsella, Niels, e dalla batteria di Lloyd Hanney – che, a nostro parere, dalle prime file non sempre si è sentita al cento per cento. La maestosa “Forever Lost”, quasi un classico della band, ci riporta per sette minuti ai loro esordi (di nuovo ad “All Is Violent, All Is Bright”, per la precisione), facendo da trampolino di lancio per “Agneya”, l’ottima opener di “Helios|Erebus”, anche chiusura ideale per lasciare nell’orecchio del pubblico un’idea del contenuto del nuovo lavoro dei Nostri. Ma non finisce qui: uno scambio di battute (“Adesso facciamo come gli Aerosmith, ci giriamo, torniamo indietro e facciamo il bis”) annuncia lo zuccherino conclusivo per i fan. Ore 00:02: finisce “Suicide By Star”, chiudendo la serata con lo stesso album col quale era iniziata. Torniamo tutti ufficialmente sulla Terra. Il viaggio è finito. L’atterraggio è morbido.
Qualcuno potrebbe vedere nell’essenzialità dei GIAA, scarna di “trovate” sensazionali o di virtuosismi cervellotici, un modo ruffiano di fare post-rock (termine abbastanza brutto che significa un po’ tutto e un po’ niente). Senza arenarci sulla perenne diatriba sui generi e su cosa sia o non sia rock, post-rock o chesoio, quello che resta di questa serata è che si può fare ottima musica anche con pochi accordi, se si sa come usarli. I God Is An Astronaut avranno anche pochi accordi in canna, ma sanno come usarli e non hanno paura di farlo. Su questo, c’è poco su cui discutere.

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