Post-rock e astronauti. Arrivati alla sesta fatica, dopo una decade di carriera, ecco sbarcare in Italia una delle realtà più importanti, anche se rimasta sempre nel sottobosco del genere, del marchio post-rock, con grandi pubblicità e grandi aspettative per la loro calata nel nostro paese. Ecco la prima delle due date nello Stivale, in quel posticino intimo che è Live Forum. Direttamente dalla contea di Wicklow, Ireland, in tutta la loro maestosità sonora, i God Is An Astronaut, accompagnati da due grandi realtà della scena italiana, i Three Steps To The Ocean e i Mexican Chili Funeral Party che, purtroppo, non abbiamo fatto in tempo ad assaporare. Speriamo presto di rivederli in zona, date le critiche entusiastiche che hanno suscitato.
Purtroppo senza la sezione visiva che da sempre ha contraddistinto la produzione degli irlandesi (ma anche del post-rock in generale) i God Is An Astronaut si presentano come al solito ancora come una band agli esordi in quanto ad entusiasmo e vitalità. Questa caratteristica fondamentale riesce infatti a sopperire alla mancanza dell’apparato visuale e permette agli spettatori di entrare lo stesso in contatto con l’evocazione suscitata dagli irlandesi, grazie proprio a quanto semiologicamente comunicato dalla band. Headbanging serrato e capello lungo come i vecchi metallari di una volta donano una carica importantissima per la buona riuscita della situazione, nonostante il poco spazio per la grande affluenza di fan. Ci si diverte e si riesce a chiudere gli occhi e a tornare a sognare come quando si era ragazzini, o immaginandosi in atmosfere eteree e interplanetarie che passano dai momenti fondamentali di “Fragile”, “Fire Flies And Empty Skies”, “Calistoga” e “Suicide By Star” del capolavoro “All Is Violent, All Is Bright” alle nuove “The Last March”, “Red Moon Lagoon” e “Trasmissions”, tra le diverse prese dall’ultimo “Origins” fino alle imprescindibili “Route 666” e “From Dust To Beyond” tratte dal primo lavoro. Scaletta che non tralascia granché (forse qualcosa del buon disco omonimo del 2008), insomma, e che presenta bene le caratteristiche fondamentali della band, anche a molti dei presenti che erano giunti al concerto solo tramite il grande passaparola di amici e conoscenti stimati dal punto di vista dei gusti musicali. Jamie Dean ai synth e i fratelli Kinsella sono a mezzo metro dal pubblico e sono ancora in forma come ragazzini, avendo però maturato una certa classe e una buona dose di perfezionismo in sede di esibizione live. Voci modulate fanno da contrappunto a synth e tastiere epiche, basso imponente, chitarre prepotenti e docili allo stesso tempo, ritmiche che altalenano discese malinconiche e passaggi potenti, il tutto contornato dalle maestose melodie che contraddistinguono il post rock della band. Forse non è la proposta più interessante dell’immenso panorama che affolla l’altrettanto vasta etichetta del post rock in quanto a originalità e varietà, ma i God Is An Astronaut sono riusciti ancora una volta a rientrare, con i loro toni maestosi e imponenti, tra i più validi esponenti del canone di genere, affiancandosi alle realtà più affermate come Explosions In The Sky e Mogwai.