Dopo la devastante performance dei sempreverdi Slayer, le bands presenti al secondo giorno del gods avevano l?arduo compito di chiudere la manifestazione nel migliore dei modi. Il compito si può dire assolto e, a testimonianza del fatto che, almeno in ambito metal, siamo un paese piuttosto tradizionalista, il Brianteo vedrà molte più presenze per Blind Guardian, Running Wild e compagnia scapocciante di quante ne aveva viste per le bands della prima giornata. Godetevi il nostro report di un altro giorno di metallo.
BLAZE
Lo sfortunato ma simpatico Blaze, giullare di corte del buon Steve Harris, è riuscito a costruirsi una carriera solista di tutto rispetto ed il calore che il pubblico gli dimostra sembra ripagarlo di un paio di annate non proprio fortunate in seno agli Iron Maiden. La prova di Blaze e della band è buona ed il corpulento singer, molto a suo agio sul palco, non manca di arringare la folla con i brani del nuovo album e con una piccola ma dovuta incursione nel repertorio maideniano che prende le sembianze di ‘Man On The Edge’. Il pubblico canta il ritornellone ‘Fallino Doooown’ a squarciagola e Blaze scende dal palco da vincitore. Al di là delle movenze non proprio agili, il signor Bailey ha dimostrato oggi di saperci fare e di non essere in cerca del classico ‘quarto d’ora di celebrità’ post-Iron Maiden. Complimenti.
DORO
Dagli eighties con furore, ecco apparire davanti a noi in tutta la sua bellezza teutonica la selvaggia Doro Pesch. Dopo lo sfavillante periodo con i Warlock, la spavalda Doro non si è lasciata intimorire dal grande salto della carriera solista e si è fatta testimone anche in quel di Monza del metallo più classicamente oltranzista. Ben suonati ma accolti senza troppo entusiasmo, i brani estratti dai lavori solisti di Doro scorrono via piuttosto piacevolmente ma senza regalare scossoni. Buona la prova vocale della singer, dotata di grande carisma a fronte di un’impostazione tecnica non proprio esaltante. La band si comporta discretamente, anche se è chiaro che gli occhi di tutti sono puntati sulla biondona inguainata in un corpetto di pelle. Bastano un paio di brani dei Warlock a risvegliare il comatoso pubblico del Brianteo, che si ritroverà a cantare a squarciagola il ritornello di ‘All We Are’ ed a invocare per la prima volta in una giornata infuocata gli dei del metallo.
DOMINE
I nostrani Domine, alfieri dell’epic metal più tirato che discende direttamente dall’heavy ottantiano e freschi della pubblicazione dell’apprezzatissimo ‘Stormbringer ruler’ si presentano per la seconda volta sul palco del Gods (dopo aver già positivamente impressionato nell’edizione del 2000), mostrando delle indubbie capacità tecniche (per non parlare della voce letteralmente straordinaria di Morby, davvero unico nel suo genere) che, unite ad un suono tutto sommato buono, contribuiscono alla piena riuscita dello show.
E’ proprio l’ultimo album il privilegiato dal quintetto Toscano che in apertura investe immediatamente il pubblico con la tirata ‘The hurricane master’ e l’epicissima ‘Horn of fate’, prima di tornare sui propri classici quali ‘Defenders’ (di solito posta in chiusura nelle loro esibizioni), per poi fare passo indietro e passare nuovamente all’ultima creatura con ‘Ride of the Valkyries’ (che entusiasma notevolmente i presenti) e chiudere con ‘Dragonlord’ (forse il loro pezzo più conosciuto) che scatena tra i presenti un grande coro ed un’ovazione che si leva sino alla loro uscita.
VIRGIN STEELE
Attesissimi e, secondo il sottoscritto, penalizzati da una posizione nel bill che non gli rende giustizia, gli yankees Virgin Steele si sono fatti onore con un set forse di impatto minore rispetto a quello proposto da altre bands lungo il corso della giornata, ma dal potere emotivo sicuramente esaltante. Sebbene il doppio ruolo tastierista-cantante assunto sporadicamente da De Feis abbia reso lo show lievemente statico in alcuni frangenti, l’impressione che si ricava da un concerto dei Virgin Steele è quella di trovarsi di fronte ad una band coerente ed affiatata, finalmente in grado di vantare una line up stabile. Lo show si apre con la travolgente ‘Invictus’, ottimamente interpretata da De Feis che mostrerà grande padronanza dei falsetti e ricalcherà perfettamente la propria prestazione su disco lungo tutto il concerto. Poco più di quaranta minuti ed il tempo a disposizione della band scade inesorabilmente; con una parte del set tagliato ed un po’ di amarezza per non aver potuto esibirsi al massimo, i quattro scendono dal palco tra gli applausi. L’anno scorso di supporto agli Hammerfall, quest’anno prima di Symphony X e Blind Guardian: quando ci si accorgerà di quanto realmente valgano De Feis e compagni?
SYMPHONY X
Lo show dei Symphony X era uno degli eventi più aspettati dal sottoscritto. Purtroppo la malasorte ha voluto un ritardo impressionante sull’inizio dei lavori, causato da problemi tecnici alla chitarra di Michael Romeo che hanno portato via minuti preziosi. Superato l’inghippo e iniziate le danze, è stata subito messa in chiaro la mostruosa classe dei cinque americani: le prime note di “Evolution”, tratta dall’ultimo “V”, hanno mandato in adorazione la folla del Brianteo, grazie ad una tecnica esecutiva fuori dal comune che nonostante tutto mai ha dovuto sacrificare la componente di pathos e coinvolgimento. In primo piano per tutta l’esibizione è stata la voce di “Sir” Russel Allen, mai come oggi il corpulento singer si è mostrato così in forma, rendendosi arteficie di una performance nettamente superiore addirittura alle sue prove in studio. Su “Communion And The Oracle” sono purtroppo tornati a farsi vivi alcuni problemi di suono ai danni di Michael Romeo, problemi che non hanno comunque impedito al virtuoso chitarrista di lanciarsi in giochi di prestigio capaci di demotivare anche l’axe-man più incallito. Il tempo per i Symphony X è purtroppo tiranno, e quando alla band viene comunicato che riname tempo per solo un ulteriore brano, l’ira di Russel Allen diventa incontenibile! A chiudere questa breve, ma intensa esibizione è la mitica “…Of Sins And Shadows”, gran cavallo di battaglia del combo che, chiamatela rabbia o chiamatela grinta, oggi viene suonata più aggressiva che mai. Pubblico e band sono sconsolati, ma chi ha seguito Romeo e soci, ricorderà comunque questi venti minuti come uno degli show più intensi della serata. Ancora una volta grandi Symphony X!
RUNNING WILD
Non c’è niente da fare, la frangia più tradizionalista ed incallita del Gods Of Metal, i defenders degli anni ottanta, erano qui per lui, Rock’n’Rolf ed i suoi Running Wild! Il carisma della band teutonica sembra essere uscito indenne dall’ultimo e totale stravolgimento di line-up, e con fuochi e fiamme “Welcome To Hell” scalda la folla nonostante, almeno all’inizio, la voce di Rock’n’Rolf non si fosse ancora scaldata a dovere! Nonostante i nuovi musicisti non siano perfettamente amalgamati come le macchine da guerra Thilo Hermann e Bodo, tecnicamente il livello è buono ed il pubblico sembra inpazzire ad ogni colpo di plettro dei pirati più metallici della storia. A differenza della performance di Vigevano, i Running Wild sono molto più carichi e l’unica pecca che posso riscontrare è l’aver trascurato i cavalli di battaglia più importanti della loro carriera privilegiando invece brani più recenti (e sicuramente meno efficaci). Scoccano tonanti cannonate tra una “Bad To The Bone” ed una “Soulless”, anche il buon Rolf riacquista la padronanza piena della sua voce che raggiunge l’apice nella mitica “Riding The Storm”. Tra fuochi e bandiere sventolanti, i Running Wild chiudono con “Victory”, preceduta da una piacevolissima sorpresa, “Purgatory”: questa song ha trovato spiazzata la maggior parte dei presenti che mai si sarebbe aspettata di poter risentire questo grande classico! A prova conclusa è d’obbligo la promozione a pieni voti per i Running Wild, pur magari avendo avuto qualche incertezza tecnica, hanno conquistato tutti con un carisma maturato in ventìanni di carriera, vent’anni di coerenza in nome del verbo dell’heavy metal!
BLIND GUARDIAN
I Blind Guardian ed il Gods Of Metal non sono mai andati molto d’accordo: chi si ricorda le deludenti performance di Hansi Kursch, prima con la sua band madre, poi con i Demons And Wizards? Ebbene la storia non sembra essere cambiata, i primi brani hanno messo il cantante in seria difficoltà nelle parti più acute, che spesso sono state “superate” grazie all’esperienza ed ai trucchi del mestiere. La scaletta proposta dai bardi è stata comunque efficace grazie alla scelta di incentrarla sulle canzoni più dirette. Sono stati apprezzati i momenti più sognanti di “Nightfall” e la complessa potenza di “The Script For My Requiem”, ma ciò che più mi ha stupito è stata l’improvvisa ripresa dell’ugola di Hansi (aiuto forse di qualche trucco tecnico?), di nuovo in grado di stupire quasi come in passato. L’ultimo “A Night At The Opera” è stato volutamente trascurato, la sua complessità lo rende praticamente impossibile da eseguire dal vivo senza una serie di semplificazioni, che fortunatamente non hanno danneggiato l’esecuzione di “The Soulforged”. Immancabili i classici “Valhalla” o “Imagination From The Other Side”, come sempre interpretati stupendamente dai musicisti in grande forma, Thomen in particolare è stato un vero metronomo dietro le pelli. Peccato, ripeto, per le notevoli difficoltà nel riprodurre il materiale più recente, parliamo degli ultimi due albums, e per la scelta da parte dei Guardians di proseguire verso una direzione che, a poco a poco, distruggerà la forte impronta live che ha reso i quattro menestrelli tanto famosi ed apprezzati.
MANOWAR
Per la terza volta i kings of metal calcano il palco del Gods Of Metal da headliner e, come da tradizione, non mancano di farlo notare con i proclami altisonanti del simpatico Joey DeMaio. Poco più di un ora di show per gli alfieri del true metal, che spezzano la tensione epica della propria scaletta con una serie di assoli forse un po’ prolissa (specialmente il momento di gloria di Columbus non è stato particolarmente esaltante). Al di là delle considerazioni tecniche, il carisma della band e l’amore del pubblico per i Manowar sono stati il motore di uno show in pieno Manowar-style, con tanto di bevuta di birra sospesa a duecento metri sopra la testa del fiero bassista e sproloqui assortiti, conditi da calorosi abbracci agli organizzatori del festival. Parecchi i cavalli di battaglia e non moltissime le sorprese riservate al pubblico dai quattro centauri, che, fortunatamente, ci risparmiano la loro ‘American Trilogy’, noiosissimo pappone autoreferenziale tratto dall?ultimo lavoro, e si concentrano sugli anthem più coinvolgenti della loro carriera. Chiudono lo show il ‘Nessun Dorma’, ottimamente interpretato da un Adams piuttosto in forma (se si esclude una rovinosa caduta on stage) e la superhit ‘Black Wind, Fire And Steel’. In definitiva: i Manowar sono sempre i Manowar, non c’è niente da fare, ma nel caso della loro apparizione di quest’anno a Monza, il quartetto ha dato l?impressione di non essersi concesso più di tanto, riservando ai fan italiani uno spettacolo breve ma intenso. Che dire? ‘Manowar, Manowar, living on the road’? (con obbligatorio segno del martello a pugni chiusi e sguardo che tradisce un certo fanatismo?)