Introduzione a cura di Lorenzo Mirani
Report a cura di Gennaro Dileo, Carlo Paleari e Andrea Raffaldini
Terza giornata di questo Gods Of Metal segnato dall’anniversario per i dieci anni di attività, e si comincia davvero a fare sul serio: e così, oltre ai ‘soliti’ nomi da palco italiano, comunque di tutto rispetto, come Gamma Ray, Angra, Stratovarius (per una giornata nel segno della doppia cassa!) e Motorhead – ormai onnipresenti nella nostra patria, ma sempre seguitissimi dal fedele pubblico italico – il Parco dell’Idroscalo ha l’onore di ospitare due nomi assolutamente altisonanti e di straordinaria qualità, quali Def Leppard e Whitesnake; i primi, forti di un nuovo album, sono attesissimi alla prova dal vivo (ampiamente superata!) da tutti i rock ‘n’ roll maniac d’Italia, ed i secondi, che ritornano al Gods Of Metal dopo la fantastica prova di tre anni fa, per entusiasmare ancora una volta e per dimostrarci che per qualcuno il tempo, nonostante qualche ruga in più sulla fronte, non è assolutamente passato… Insomma, musicalmente parlando, una giornata di hard ‘n’ heavy ai massimi livelli, che non ha deluso le aspettative, regalando a tutti i presenti band in forma smagliante e setlist degne di cori da stadio. Ma l’appunto di chi scrive si vuole soffermare anche su quegli aspetti che, oltre ai gruppi, sono stati al centro di discussioni, ancor più degli anni passati: poiché, se musicalmente i protagonisti sono stati David Coverdale, con la sua camicia elegante, e il completino bianco (oltre al basso con aerografatura della bandiera inglese!) del bassista dei Def Leppard Rick Savage, dall’altra parte, in negativo, si segnala come sempre l’organizzazione, che mai come quest’anno è stata al centro di polemiche: tralasciando un increscioso fatto che ha visto il sottoscritto protagonista, al quale è stato impedito in tutti i modi di uscire dall’area concerti nonostante avesse avuto bisogno urgente di cure mediche, non si può non calcare ancora una volta la penna per parlare di chi ha fatto di tutto per rendere questo festival peggiore: uscite ‘programmate’ e rade dall’area concerti, trattamento ben al di sotto della sufficienza sia nei confronti del pubblico che ha fatto grande questo festival, che nei confronti degli addetti stampa, e la discutibile idea del moshpit sotto al palco, per non parlare dell’impossibilità di uscire dall’area concerti dopo aver ritirato il famoso braccialetto. Soprassediamo, ancora una volta, sperando che le nostre parole sortiscano prima o poi l’effetto dovuto, ovverosia un’organizzazione di alto livello, come spetterebbe ad uno dei festival più importanti d’Europa quale il nostro Gods Of Metal. Nel frattempo, il sottoscritto conclude, riponendo questa stupenda giornata di musica nel novero dei suoi più bei ricordi, e vi lascia alle parole degli amici e colleghi Andrea, Carlo e Gennaro, che vi racconteranno attraverso le loro parole la magia di una bellissima giornata che la carente organizzazione non è riuscita comunque a rovinare. Buona lettura!
CRUCIFIED BARBARA
Il compito di aprire le danze per il terzo giorno del Gods Of Metal spetta alle Crucified Barbara, che si presentano cariche e pure un po’ alticce davanti al pubblico già parecchio numeroso. La proposta della band è diretta e accattivante, riuscendo nella mezz’ora a disposizione a divertire e intrattenere la platea che, come di consueto, inizialmente era più intenta a decantare le lodi della… ‘femminilità’ della band. Lo show procede senza troppi scossoni, sia in positivo che in negativo, ma bisogna sottolineare come la band sia stata penalizzata fortemente da un sound penoso, condizione che accompagnerà quasi tutte le band esclusi i due headliner.
SONATA ARCTICA
Il concerto dei Sonata Arctica non si è certo svolto come Toni Kakko avrebbe voluto: purtroppo l’esibizione della power metal band finlandese è stata rovinata da una serie infinita di problemi ai suoni che non riuscivano a bilanciare correttamente i vari strumenti, alzando spropositatamente i volumi per alcuni, azzerandone altri. Nonostante l’imprevisto, in modo molto professionale la band ha speso tutte le energie possibili per regalare ai fan uno show coinvolgente: “Misplaced”, “My Land” e “8th Commandment” fanno breccia sulla frangia più power dei fan, per la maggior parte ragazzi giovani, ma non ci sono dubbi che le melodie orecchiabili dei Sonata Arctica riescano a far breccia anche nelle orecchie più avverse al genere. Lo show prosegue con altri classici: “Don’t Say A Word” viene accolto con un’ovazione generale, benché il sentir continuamente una batteria suonare a velocità pazzesche ed in doppia cassa continua, alla lunga, sia stancante. A conti fatti, la prova dei Sonata Arctica non ha corrisposto le aspettative dei presenti, il power metal melodico e pulito che siamo abituati ad ascoltare su disco è stato rovinato da suoni al limite della decenza; speriamo che la band possa rifarsi in futuro.
EDGUY
Il successo dello strepitoso “Rocket Ride” ha consolidato la fama internazionale di cui godono i tedeschi Edguy e la loro calata in suolo italico era attesa da molti fan. Non appena Tobias Sammet mette piede sul palco, la folla esplode impazzita, esultando e salutando il suo beniamino. Lo show degli Edguy è al fulmicotone, “Babylon” scatena un headbanging sfrenato sotto al palco, mentre la band, forte di suoni finalmente all’altezza, riesce a sprigionare tutta la sua potenza e melodia. Tempo pochi minuti ed ecco la nuova “Sacrifice” mettere in luce tutta la maestria con cui gli Edguy sanno tenere il palco e coinvolgere la folla nei loro concerti. Il mid-tempo “Mandrake” spezza il ritmo serrato e ci concede un attimo di pausa, ma il vecchio cavallo di battaglia “Mistheria”, power song molto catchy e veloce ci riporta su ritmi andanti. Il tempo per gli Edguy è quasi agli sgoccioli, c’è giusto il tempo per l’inossidabile “Vain Glory Opera” (tratta dall’omonimo disco della band), che con la sua impronta epica dà l’ultimo guizzo di energia alla folla soddisfatta per lo spettacolo. Non c’è che dire, il ragazzino di qualche anno fa che muoveva timidamente i suoi primi passi nel music business è riuscito a costruirsi una carriera di tutto rispetto ed ha portato la sua band ad un successo invidiabile e meritato.
ANGRA
I brasiliani salgono sul palco con il Sole a picco del primo pomeriggio e si lanciano subito in un paio di estratti dalla loro ultima fatica, “Spread Your Fire” e “Waiting Silence”. Il suono è assolutamente imbarazzante, con le chitarre che vanno e che vengono, tanto che in più di una occasione il sottoscritto si vede costretto a cambiare posizione, nella speranza di trovare un posto migliore (senza troppo successo). Il pubblico, che era rimasto un po’ freddo davanti ai nuovi pezzi, torna arzillo con l’esecuzione di un paio di classici di “Holy Land”: “Nothing To Say” e, soprattutto, “Carolina IV”. Sfortunatamente l’esecuzione non è impeccabile come al solito, sia da parte dei musicisti che di Falaschi, decisamente sottotono e in difficoltà sulle parti di André Matos. Dopo un altro paio di canzoni dei ‘nuovi’ Angra (“Angels And Demons” e “Rebirth”), si passa ancora alla vecchia “Carry On”, anch’essa parecchio zoppicante, che lascia la platea con un po’ di amaro in bocca. Peccato. Sarà per la prossima volta.
GAMMA RAY
Amati incondizionatamente dal pubblico metal italiano, i Gamma Ray vengono accolti da trionfatori anche se la loro esibizione è stata penalizzata da un’acustica non propriamente eccelsa. Come tutti sappiamo, la voce di Kai Hansen ormai peggiora giorno dopo giorno, ma altrettanto non possiamo dire della sua capacità di coinvolgere il pubblico, sempre pronto a cantare sulle esplosive note di “Garden Of The Sinner” e “Man On A Mission”. Hansen omaggia la sua ex-band con l’ottimo medley composto da “Ride The Sky/Future World/I Want Out”. La stupenda “Rebellion In Dreamland” conclude un concerto intenso che ha lasciato soddisfatti ancora una volta gli estimatori del vero power metal tedesco. Icone.
STRATOVARIUS
È il turno degli Stratovarius, dei veri habitué del Gods Of Metal, che salgono sul palco con la solita professionalità e precisione. Il sottoscritto aveva già avuto modo di assistere al concerto milanese di qualche tempo fa e, quindi, non ha potuto non apprezzare la scelta della band di variare un po’ la scaletta, senza ripetersi eccessivamente sui brani suonati nel tour con gli Hammerfall. Oltre alle classiche “Speed Of Light”, “The Kiss Of Judas” e “Black Diamond”, la band recupera “Paradise” (la grande assente dell’ultimo tour), più alcuni ripescaggi da “Infinite”, come “A Million Light Years Away” e “Phoenix”. Come dicevamo in apertura, la band di Timo Tolkki, nonostante tutte le vicissitudini degli ultimi anni (e, diciamocelo, la pochezza delle ultime uscite discografiche), è sempre molto precisa in sede live. Il concerto si dipana senza sbavature e, malgrado rimanga una certa freddezza di fondo, il giudizio finale si rivela positivo, soprattutto grazie all’ottima performance di Kotipelto, sempre pronto a interagire col pubblico, e al nuovo acquisto Lauri Porra, decisamente più convinto e trascinante del suo predecessore, Jari Kainulainen.
HELLOWEEN
Supportate da una discreta acustica, le zucche di Amburgo ritornano al Gods Of Metal sfornando una prestazione assolutamente positiva. Sulle note della suite “The King For A 1000 Years” ha inizio un concerto decisamente appagante, sia sotto il punto di vista tecnico sia dal lato squisitamente emotivo, con il bravo Andi Deris in ottima forma, capace di intrattenere il pubblico ed interpretare senza eccessive sbavature le canzoni poste in scaletta. Le storiche “Eagle Fly Free”, “A Tale That Wasn’t Right” e “Future World” raccolgono naturalmente i maggiori consensi tra i metal kid, mentre dai dischi recenti vengono ripescate “Mr. Torture”, “If I Could Fly” dal controverso “The Dark Ride”, e “Hell Was Made In Heaven” dal riuscito “Rabbits Don’t Come Easy”, accolte comunque molto bene da una platea quasi sempre ben disposta nei loro confronti. Trovano il giusto spazio anche la rock-oriented “Mrs God”, l’anthem “Power” e l’immortale “Dr. Stein”, brani di genuino happy metal che concludono la loro esibizione tra applausi e pugni alzati.
MOTORHEAD
Oramai cosa ci rimane da scrivere sulla rock’n’roll band più potente del mondo? Che Lemmy sia uno dei personaggi più veri e carismatici della storia della musica moderna? Che Phil Campbell sia un chitarrista dal feeling mostruoso? Che Mikkey Dee sia uno dei batteristi più potenti e precisi del genere? I Motorhead sono una garanzia dal vivo e anche stavolta le aspettative sono state pienamente appagate. Questa volta la scaletta è stata parzialmente rimaneggiata e così hanno trovato spazio alcune perle di straordinaria bellezza come “Stay Clean”, “Love Me Like A Reptile”, “Doctor Rock” e “I Got Mine” ripescata dal sottovalutato “Another Perfect Day”. Non sono mancati i classici amati dai fan di tutto il globo come “Killed By Death”, “Ace Of Spades” e la potentissima “Overkill”, la quale pone la parola fine ad un concerto intenso e sentito. Invincibili.
DEF LEPPARD
Il caldo pomeriggio pre-estivo inizia a volgere al termine e tocca alla storica band di Sheffield intrattenere il pubblico, accompagnandolo sino all’esibizione notturna dei Whitesnake. I cinque ragazzi inizialmente vengono accolti in maniera fredda da parte del pubblico, complice anche la non felice scelta di partire con “Hell Raiser” degli Sweet, canzone pressoché sconosciuta tra i metallari presenti. Le successive “Rock Rock Till You Drop!” e “Saturday Night (High’n’Dry)” iniziano a scaldare a dovere l’atmosfera e quando Joe Elliott rivolge al pubblico la domanda “do you wanna get rock?” i kid rispondono a dovere, iniziando finalmente a partecipare in modo attivo al concerto. Elliott non sbaglia una nota e i cori dei restanti membri sono sempre curati e puntuali, così torniamo indietro al best seller “Hysteria” dal quale viene ripescata la title track, “Animal”, “Armaggedon It” e “Rocket”, sicuramente il brano meglio riuscito del concerto. Il bis di “Pour Some Sugar On Me” chiude uno show sicuramente riuscito per una band poco adatta al pubblico metal. Pollice alto.
WHITESNAKE
Mai azzeccato come in quest’occasione il famoso detto “la classe non è acqua”. La band di David Coverdale sforna la prestazione della vita, regalando al pubblico uno spettacolo di prim’ordine ed una serie di emozioni che difficilmente lasceranno la nostra anima. Si spengono le luci, la band sale sul palco ed il poderoso riff di “Burn” viene accolto dai presenti con un fragoroso boato. Tutti i componenti sono in eccellente forma e va sottolineato il notevole lavoro di Reb Beach e Doug Aldritch alle chitarre che per un’ora e mezza hanno tessuto con precisione chirurgica ritmiche e assoli con un groove impressionante. La bollente “Slide It In”, con Coverdale impegnato in pose a dir poco esplicite, “Fool For Your Loving”, “Ready And Willing” e “Ain’t No Love In The Heart Of The City” suonano ancora fresche e chiaramente non potevano mancare gli estratti del meraviglioso “1987”, ovvero “Crying In The Rain” (nel quale il buon Aldrige si è prodigato nel suo solito pirotecnico drum solo), “Gimme All Your Love” e “Here I Go Again”. Con la romantica “Is This Love?” svanisce la stanchezza fisica e mentale dopo una faticosa giornata trascorsa ad assorbire tonnellate di decibel, lasciando spazio a pochi minuti intensi ed indimenticabili nei quali una sensazione a dir poco magica ha avvolto l’Idroscalo. La storica “Still Of The Night” chiude un concerto che ha rasentato la perfezione tecnico/emotiva ed il buon David ci benedice in nome del Padre Eterno e sotto le delicate note di “We Wish You Well” ci avviamo verso l’uscita consapevoli di avere assistito ad uno spettacolo meraviglioso. Superbi.