DGM
La seconda, e purtroppo ultima, band italiana a calcare il palco della seconda giornata del Gods sono i DGM. Il progressive metal del quintetto romano si dimostra più che adatto nel destare l’assopita audience che comincia ad affluire sotto al palco. Il gruppo è in forma e da subito colpiscono in positivo i due nuovi membri, Simone Mularoni alla chitarra ed Emanuele Casali alle tastiere. Un Titta Tani molto impegnato nella difficile interpretazione dei brani, si dimostra anche valido come frontman, incitando a più riprese la folla. I suoni non sono molto definiti, anche se paragonati a quelli dei Sinestesia, ma pezzi come “A New Life”, “Signs Of Time” o “Close To You”, tutti estratti dall’ultimo ed ottimo album della band “Different Shapes”, si rivelano vincenti anche dal vivo. Alla fine i molti fan di Symphony X e Dream Theater, che nel frattempo hanno occupato i pochi angoli liberi da fango della platea, non possono far altro che applaudire una delle band più valide della attuale scena prog metal italiana.
ANATHEMA
SYMPHONY X
Che i Symphony X siano uno dei gruppi, tecnicamente parlando, migliori dell’intero panorama metal si sapeva già, ma la prova di quest’oggi mette un chiaro sigillo a questa affermazione. Michael Romeo e soci partono in quarta con “Of Sins And Shadows” e da subito appare evidente la potenza vocale del mastodontico Russell Allen (che poco dopo inciampa e cade rovinosamente, mettendo a dura prova le assi del palco). Si passa al primo estratto dall’ultimo disco “Paradise Lost”, ossia “Domination”, apprezzata dagli astanti e seguita da “Inferno”. Romeo spara assoli alla velocità della luce e macina riff con precisione chirurgica. Non da meno la terremotante sezione ritmica e Michael Pinnella alle tastiere, anche se i suoni si sono rivelati ancora una volta il tallone d’Achille di questa performance. Gli altri brani estratti dal nuovo disco, “Set The World On Fire (The Lie Of Lies)” e “Serpent’s Kiss”, seppur poco conosciuti dal pubblico, si dimostrano efficaci e la platea esprime la sua approvazione. Tocca a “Sea Of Lies” chiudere questa performance, probabilmente una delle migliori della giornata.
Setlist:
Of Sins And Shadows
Domination
Inferno
Communion And The Oracle
Smoke And Mirrors
Set The World On Fire (The Lie Of Lies)
The Serpent’s Kiss
Sea Of Lies
DARK TRANQUILLITY
DIMMU BORGIR
La corazzata norvegese pseudo-black metal si presenta on stage ‘imborchiata’ e pittata a dovere, con terribili schinieri acuminati e facce cosparse di bianco terreo, risaltante soprattutto sulla pelata totale del buon Galder. Hellhammer è attesissimo dai fan del gruppo e, nonostante sembra abbia dovuto autografare a forza una T-shirt di Burzum, imprudentemente indossata da un imberbe blackster durante il meet&greet, il batterista, così come i suoi compari, si prodiga in una buona prestazione complessiva, non certo supportata da un’ambientazione ideale. “Progeny Of The Great Apocalypse” dà fuoco alle polveri e la prima parte dello spettacolo sarà incentrata sulla produzione più recente del gruppo, sebbene dal controverso “In Sorte Diaboli” vengano tratte solo la title-track e “The Serpentine Offering”. Man mano che si prosegue nel minutaggio, ecco le note di “A Succubus In Rapture”, “The Insight And The Catharsis”, “Indoctrination”, “Spellbound (By The Devil)”. Fra corna e stra-corna, occhi e malocchi, prezzemoli e finocchi, la performance dei Dimmu Borgir si chiude negli osanna rovesciati di “Mourning Palace”, lasciando un’ottima impressione sonora, quantunque la musica della band risulti non particolarmente avvincente dal vivo, a meno che non si conoscano a menadito i brani. Shagrath e il monumentale ICS Vortex non sbagliano una virgola, mentre Silenoz dà sempre l’idea di essere sul palco per grazia divin…oops, satanica. Tutto sommato, quindi, un degno spettacolo per la black metal band più commerciale del pianeta. Sperando che Hellhammer non legga…
BLIND GUARDIAN
Eccoci ad uno dei momenti più attesi della giornata. La maggior parte del pubblico li attendeva con trepidazione ed ecco finalmente gli echi di battaglia di “War Of Wrath”. Come da copione esplode “Into The Storm” e dalla platea si leva un boato manco avesse segnato l’Italia in finale. Pochi minuti sono sufficienti a constatare come il gruppo ci tenga ad accontentare gli astanti, ma purtroppo Hansi Kursch palesa da subito qualche problema di voce in più del solito. Il cantante ce la mette tutta e cerca più volte di schiarirsi le corde vocali con chissà quale razza di bevanda preparatagli da un tecnico a bordo palco. Oggi però non è proprio la sua giornata e prosegue tra strofe abbassate, ritornelli cantati dal pubblico e scream alla Mille Petrozza. La folla però ha voglia di cantare e sostiene il gruppo alla grande tra pezzi ormai storici quali “Nightfall” o “The Script For My Requiem”. Nella parte centrale del concerto trovano spazio anche canzoni più recenti, nella fattispecie “Fly”, “This Wil Never End” e la maestosa “And Then There Was Silence”, brani ottimi ma che dal vivo sono sicuramente meno coinvolgenti di una “Valhalla”, non a caso cantata da quasi tutto il pubblico. Andre Olbrich e Marcus Siepen dimostrano la loro solita perizia e non da meno è la sezione ritmica, con Fredrik Ehmke che si conferma una macchina da guerra (certo, non vedere Thomen dietro alla batteria mette sempre un po’ di tristezza…). Il tempo passa velocemente e dopo “Imaginations From The Other Side” ci si avvia verso la fine con la classica “The Bard’s Song”, quasi interamente cantata dal pubblico. La folla la aspettava, ed ecco quindi la conclusiva “Mirror Mirror”: inutile dire che la gran parte dei presenti conosce il pezzo a memoria e alla fine non possono che piovere applausi. Al termine resta il rammarico per lo stato di forma di Hansi, perché il gruppo è stato qui accolto quasi come fosse un headliner da un pubblico che ha dimostrato ancora una volta il suo grande attaccamento alla band.
Setlist:
War Of Wrath
Into The Storm
Born In A Mourning Hall
Nightfall
The Script For My Requiem
Fly
Valhalla
Time Stands Still
This Will Never End
And Then There Was Silence
Imaginations From The Other Side
The Bard’s Song – In The Forest
Mirror Mirror
DREAM THEATER
La prima volta dei Dream Theater al Gods Of Metal rimarrà sicuramente nei cuori dei fan per un bel pezzo. Erano stati dapprima annunciati come headliner, salvo poi lasciare il posto alle leggende Heaven And Hell. Loro però hanno saputo soddisfare alla grande i loro numerosissimi sostenitori, accorsi da tutta Italia e non solo. Diversi sono stati i motivi di questo successone: un James La Brie in forma smagliante, un gruppo come al solito perfetto nell’esecuzione e, cosa più importante, il fatto che la band abbia deciso di suonare per intero nientemeno che tutto “Images And Words”, disco ormai passato alla storia del metal progressivo. Ma andiamo con ordine… sono circa le 19:30 ed il sole comincia a farsi tenue, quando Mike Portnoy si mette al comando del suo immenso drum-kit ed il resto della squadra entra in scena con “Pull Me Under”. Il pubblico è subito in visibilio e al termine della canzone arriva l’annuncio di La Brie che, per onorane i quindici anni dall’uscita, avrebbero eseguito tutto “Images…”. Incredibile il vociare della platea, che già pregusta i brani che da lì a poco verranno riproposti in maniera pressoché perfetta. Da “Another Day” e “Take The Time” fino alla splendida “Wait For Sleep” e “Learning To Live “, è tutto un tripudio di applausi e sorrisi stampati sulle facce degli ancora increduli ed emozionati astanti. Jordan Ruddess esegue alla grande le partiture pregne di classe che furono del magistrale Kevin Moore e il resto del gruppo non fa una sbavatura. In questo caso, per fortuna, anche i suoni non tradiscono. C’è ancora tempo per “Home” e la più recente “As I Am”, che fa da conclusione ad un concerto pressoché unico. Il gruppo, tra cui un simpatico Mike Portnoy con magliettazza interista targata Ibrahimovic, saluta il suo fedele e, a questo punto, più che soddisfatto pubblico. Una band che ha saputo confermare le attese e che si è imposta con autorevolezza e grande professionalità. Unico punto di critica, ma assolutamente indipendente dal gruppo in questione, è stato il vedere fiumi di gente lasciare l’arena dopo questa esibizione, ignorando che successivamente avrebbero potuto assistere ad un concerto memorabile tanto quanto quello appena tenutosi (ma anche di più), senza considerare l’importanza storica di tale evento.
Setlist:
Pull me under
Another Day
Take The Time
Surrounded
Metropolis, Pt. 1: The Miracle and the Sleeper
Under a Glass Moon
Wait For Sleep
Learning To Live
Home
As I Am
HEAVEN AND HELL
La luce è ormai calata e l’atmosfera è quella giusta. Il palco è allestito con una scenografia non certo faraonica ma di grande effetto, fatta di cancelli, schermi a forma di archi subito sotto all’impianto luci ed immagini proiettate su un megaschermo sul fondo dello stage. Ce n’è più che a sufficienza, perché quello che conta d’ora in poi è la musica. Gli amplificatori fanno uscire le note di “E5150”, che introduce “The Mob Rules”. L’emozione è tanta, se si considera che stanno suonando delle vere e proprie leggende del rock come Tony Iommi, Geezer Butler, Ronnie James Dio e Vinnie Appice, personaggi che hanno fatto la storia del rock e che hanno in buona parte contribuito a creare quel genere che oggi chiamiamo “metal”. Ronnie è in gran forma, incredibile se si considera che ormai ha abbondantemente passato i sessanta, e canta con il solito trasporto e passione, impegnandosi al massimo per donare ad ogni brano quel tocco di classe tipico del suo modo di esibirsi. Seguono canzoni che chiunque abbia a cuore questa musica dovrebbe conoscere, ossia “Children Of The Sea” e “I”, quest’ultima con un Tony Iommi spettacolare in fase solista. La marcia in più di questi musicisti sta nel fatto che sono in grado di “passare” all’ascoltatore ogni singola nota, che si traduce così in un’emozione. Il pubblico viene quindi in gran parte rapito da questa sensazione unica ed acclama a più riprese il frontman, gustando pezzi come “The Sign Of The Southern Cross” e “Voodoo”, seguita da un drum solo di Appice. Iommi e Butler non fanno una piega e non proferiscono parola ma questo è il loro inconfondibile stile. Un teatrale Dio prosegue nella sua marcia trionfale, annunciando con la sua solita calma la successiva “Computer God”, secondo estratto dal sottovalutato “Dehumanizer”. Sul fondo del palco vengono proiettate immagini di verdi montagne e “Falling Off The Edge Of The World” (da paura!) ci porta alla nuova ed ottima “The Shadow Of The Wind”. Quest’ultima, scritta per la raccolta dei Black Sabbath, “The Dio Years” ci introduce quindi ad una tripletta conclusiva da pelle d’oca. “Die Joung”, altro pezzo da infarto, è la chiara espressione di cosa significhi suonare con un gran tiro pur mantenendo un’eleganza unica. A ruota arriva “Heaven And Hell” che, infarcita di parti soliste di Iommi, coinvolge il pubblico in maniera incredibile e spettacolare è l’effetto creato dalle grandi croci proiettate sullo sfondo. Conclusione affidata a “Neon Knights”, altro pezzo da infarto sul quale Dio mostra segni di stanchezza e ci mancherebbe altro, dopo un’ora e mezza passata a cantare così! E’ evidente che ancora una volta la passione ha prevalso sull’inesorabile scorrere degli anni e chi è stato presente a questo intensissimo evento, può esserne fiero, perché difficilmente potrà ripetersi.
Setlist:
E5150
The Mob Rules
Children Of The Sea
I
The Sign Of The Southern Cross
Voodoo
Computer God
Falling Off The Edge Of The World
Shadow Of The Wind
Die Joung
Heaven And Hell
Neon Knights