A cura di Andrea Raffaldini e Maurizio “MoRRiZZ” Borghi Foto di David Scatigna
Attese rispettate per l’italianissima realtà del Gods Of Metal, che con la Parte Seconda dà vita al culmine della edizione 2007: un bill corposo e variegato, che integra in scaletta anche formazioni dello stivale e che cresce fino all’esibizione del Principe Delle Tenebre in persona, sorretto da uno Zakk Wylde che calcherà lo stage ben due volte nel giro di poche ore. Vanno spese parole positive per l’organizzazione, oramai rodata, che si è dimostrata accettabile e soprattutto assolutamente puntuale sulla scaletta annunciata; anche la location si è dimostrata all’altezza, essendo in grado di contenere umanamente tutti gli accorsi senza registrare assenze di acqua o cibo (purtroppo a prezzi poco popolari); unico neo un parcheggio sovraffollato che ha ritardato l’ingresso di molti. Gli stand, praticamente gli stessi di inizio giugno, erano nutriti e affollati, soprattutto quello dedicato al videogame Guitar Hero, mentre MySpace stage si è confermato un diversivo simpatico e valido nella sua genuinità. Se il tempo è stato clemente, regalando una bellissima giornata di sole, ci ha pensato qualcun’altro a guastare la giornata di festa metallica: decine di ragazzi infatti si sono trovati “alleggeriti” nel proprio portafogli, e non solo dai ristoratori avari, ma anche da individui entrati di straforo per scippare i presenti – pensate forse che tali miserabili abbiano pagato le sessanta euro per la manifestazione? Non stiamo dicendo ovviamente che l’organizzazione era complice o colpevole in un fenomeno così poco arginabile, ma vogliamo condannare aspramente questi fatti inconcepibili e incivili, che ci fanno scalare parecchio indietro rispetto al decoro dei festival esteri, al quale il Gods vuole paragonarsi: si punta spesso il dito sulle organizzazioni, mentre purtroppo sono soprattutto le persone a fare il festival. Per fortuna che per l’arena girava l’oramai celebre “Frate Heavy Metal”, a dispensare sorrisi e a concedersi al pubblico per foto commemorative, oramai come una vera star. Ad aggiungersi all’uomo di fede anche degli annebbiatissimi Deathstars in preda ai fumi dell’alcool, che in pochissimo tempo hanno scaldato gli animi di parecchie giovani adoranti alla destra del palco, compensando la freddezza di un Peter Steele freddo e poco cosciente al meet & greet con i fan. Ognuno aggiunga poi il suo personale ricordo, anche quest’anno il Gods se n’è andato! Per chi non c’era ci pensa Metalitalia a stilare la telecronaca…
SLOWMOTION APOCALYPSE
Dopo l’esibizione a sorpresa di tali Outsider, che hanno regalato 15 minuti di death thrash ai più mattinieri, sono gli Slowmotion Apocalypse ad avere il compito di scuotere il pubblico rintronato dal sole mattutino, ancora con gli occhi stropicciati, alle indegne 11:00 am. Inutile presentare il death metal dei friulani, oramai di livello superiore e degno della scena internazionale: vanno spese parole però su quanto il gruppo è migliorato in sede live, raggiungendo livelli devastanti che permettono il coinvolgimento anche degli sconvolti sotto il palco. I trenta minuti sono sufficienti a dimostrare la bontà delle canzoni, quasi tutte tratte da “Obsidian”, mentre il finale, affidato al duetto con GL degli Extrema in “Be Quick Or Be Dead” è semplicemente esplosivo. Aspettateveli molto più in alto in futuro!
DEATHSTARS
Cosa ci fanno tutte queste signorine tenebrose e goth nelle prime file del Gods? Hanno per caso anticipato l’esibizione di Peter Steele e soci? La risposta è no, sul palco ci sono i re dell’industrial/glam Deathstars, forti di un interesse sempre crescente e piccoli protagonisti della manifestazione, si scoprirà più tardi. Parlando della performance, non si assiste a nulla di sensazionale: sebbene i pezzi sono appetibili e catchy (nella breve performance ovviamente giocano le loro carte migliori) la resa sonora ammazza la componente industrial, facendoli sembrare una sorta di HIM ipertruccati. Whiplashter è a torso nudo e cosparso di glitter, e gioca a fare il sensualone non risparmiando nemmeno Sharon Osbourne nelle sue uscite ammiccanti: per punizione, le prime file lo seppelliscono inneggiando a Ozzy, ma il longilineo frontman non si scompone, ricordando che per giungere in camera da letto del Madman dovremo tutti passare dall’atrio peccaminoso dei Deathstars. Faranno più spettacolo dopo l’esibizione, concedendosi alle giovani fan dopo essersi stonati a dovere con il liquore centerbe gentilmente concesso dai ragazzi dei Keen… Una nota di colore notevole!
SADIST
Sono i rinati Sadist a riprendere in mano la situazione e a continuare a picchiare durissimo: accolti da una partecipazione inattesa, la formazione, guidata da un Trevor più umano del solito, accompagna tutti nell’universo sadico di tecnicismi e death perverso. Rimarrà negli annali il frontman che, con un mai così evidente accento genovese, si paragona al grasso uomo con la barba bianca e chiede al pubblico “Quanto odiamo Babbo Natale?”, per introdurre il classico “Christmas Beat”. La scaletta ripercorre i classici della band, pescando anche dal nuovo album e dimenticando lo sperimentale “Lego”, chiudendo con la solita “Sometimes They Come Back”. In poche parole, un successo che bissa la performanche dell’anno scorso all’Evolution e che rimette in piedi una figura importante nel metal tricolore.
TYPE O NEGATIVE
I Type O Negative sono tra i più attesi della giornata, considerata la lunghissima assenza dai palchi italiani e il prolungato silenzio discografico. Quattro strisce verdi su un telone nero, ed ecco apparire il quartetto di Brooklyn, anche’esso nerovestito e con strumenti che richiamano il verde (qualcuno ha detto Metalitalia?). I nasini delle ragazze sono tutti per il gigante Peter Steele, che si dimostra abbastanza freddo a dire il vero, ma sa raggelare ancora con la sua voce cavernosa. Silver è invecchiatissimo con la barba grigia grigia che gli è venuta e Johnny Kelly tenta di dare più energia possibile alla setlist di classici, alzando la voce nelle backing vocals. Dato il collocamento nel bill e la durata dei pezzi, i verdenero non riescono ad infilare più di cinque canzoni: “We Hate Everyone”, “The Profits Of Doom”, “Christian Woman”, “These Three Things” e “Black No.1”, quest’ultima con il cameo di Andrea Ferro dei Lacuna Coil. Niente “My Girlfriend’s Girlfriend” purtroppo, ma il pubblico è felice lo stesso.
BLACK LABEL SOCIETY
Il caldo sta cominciando a farsi sentire, gli stand dove vendono birra sono assediati da migliaia di rockers in preda alla sete, solo la sirena che segna l’inizio del concerto dei Black Label Society riesce a distrarre la massa dagli intenti beverecci e farla catapultare sotto il palco! “New Religion” dà inizio alle danze e accompagna i presenti in un mondo dominato da riff pesantissimi e assoli mozzafiato, su cui la figura carismatica del chitarrista Zakk Wylde troneggia indiscussa. Purtroppo i suoni non sono dei migliori e penalizzano la performance degli americani, nonostante brani come “Fire It Up” e “Black Mass Rebel” siano sostenuti dai cori dei fan durante tutta l’esecuzione. Vuoi il tempo limitato, vuoi la voglia di novità, purtroppo classici come “Stoned And Drunk” e la toccante “In This River” non sono state eseguite, con grande dispiacere dei presenti. Il concerto dei Black Label Society è prevalentemente incentrato sulla chitarra di Zakk, che durante l’esecuzione dei brani si concede lunghi intermezzi strumentali. “Stillborn” congeda la band e lascia il sorriso stampato sul volto del pubblico: il poco tempo concesso è stato controbilanciato da una performance davvero convincente.
MEGADETH
Il chitarrista di Ozzy è appena sceso dal palco ed un’altra leggenda della sei corde dà il benvenuto al Gods Of Metal a suon di thrash! Sin dalle prime note, è chiaro che Dave Mustaine ed i Megadeth non hanno intenzione di scherzare: l’opener “Sleepwalker”, estratta dall’ultima fatica in studio della band, è potente come un pugno nello stomaco! La forma di Mustaine è ottima, l’ex componente dei Metallica macina assoli precisi e veloci, mentre la band lo supporta senza mai brillare di luce propria. La maggior parte della scaletta è improntata sui grandi classici: “Tornado Of Souls”, “Skin O’My Teeth” ed “In My Darkest Hour” vengono accolte con applausi scroscianti! Nota dolente dello show il chitarrista Glen Drover che, a differenza delle ultime apparizioni in Italia, non sembrava per nulla ispirato a suonare. “Hangar 18” e “Peace Sells…” scatenano il delirio vero e proprio sotto il palco, ed anche le nuove “Gears Of War” e “Washington Is Next” sono già papabili classici della scuderia Megadeth. Mustaine e compagni concedono un bis, in cui suonano in ordine sparso “A Tout Le Monde” (dove molti temevano apparisse Cristina Scabbia come ospite) ed un medley delle stupende “Holy Wars…The Punishment Due” e “Mechanix”. Come sempre MegaDave non ha interagito molto con il pubblico, limitandosi ad introdurre qualche canzone ed ai ringraziamenti finali; d’altro canto la sua musica parla per lui, una musica che tiene alta la bandiera dell’heavy metal!”
KORN
Quando giunge il momento dei Korn la zona palco è stranamente agevole. In molti sono poco interessati all’esibizione del gruppo di Bakersfield, e preferiscono una pausa al sole o una birretta: quantomeno sintomatico. Se le vendite reggono la lineup si sfalda, infatti Head predica e Silveira preferisce stare in piscina a contare i soldi. Aggiungiamo che Fieldy e Munky non si parlano da anni (sospetto confermato dagli scritti del neo-battesimato)… cosa rimane? Un Jonathan Davis dimagrito e grintoso, ma che si prende una boccata d’ossigeno alla fine di ogni canzone, e una guest star extra lusso chiamata Joey Jordison, di sicuro l’elemento più interessante di questa calata italica. Formazione allargata (Clint Lowery alle chitarre e il backing vocalist quasi-albino) ma senza effetti speciali (niente maschere), in una cornice assolutamente spartana che lascia tutto all’impatto sonoro. Le esecuzioni della scaletta di classici come “Twist”, “Divine”, “Shoots And Ladders” o “Clown” sono impeccabili, ma nei nuovi arrangiamenti peccano della visceralità degli esordi. Più fedeli i singoli recenti come “Twisted Transistor” e “Y’All Want A Single”, applauditi alla grande, ma quando si giunge all’inedito “Devolution” le nubi si addensano più oscure che mai sul futuro della band. Un altro gruppo che si accorpa ai grandi che hanno terminato la linfa creativa, ma che non rinunciano alle arene e ai soldoni per riproporre all’infinito i brani storici.
OZZY OSBOURNE
Ozzy Osbourne è uno dei personaggi più amati e carismaticidel panorama rock mondiale, da troppi anni la sua figura mancava di calcare ipalchi italiani, ma finalmente il pubblico del Gods Of Metal ha potuto gustarsial meglio il vecchio Madman. Sulle note di “Bark At The Moon” inizia l’incuboosbourniano: Zakk Wylde è una furia, Mike Bordin martella poderoso la suabatteria e per un momento ci sembra di essere catapultati nei gloriosi anniOttanta. Lo show continua con la stupenda “Mr. Crowley”, uno dei brani piùbelli in assoluto della discografia solista di Ozzy, in cui il fido Zakk sicimenta in lunghissimi assoli di chitarra ed il pubblico partecipa cantando ilpezzo. La più recente “Not Going Away” rallenta solo per pochi minuti la folliacollettiva, che riesplode quando vengono suonati i primi riff della sabbathiana“War Pigs”. Ozzy non è in gran forma vocale, prenderà molte stecche durantetutto lo spettacolo ma, si sa, non si va ai concerti del Madman per vederevirtuosismi canori! La scaletta è incentrata sui grandi classici come “Road ToNowhere”, “Suicide Solution” e l’esaltante “No More Tears”: giocando sul sicuro,il riscontro positivo dei fan è assicurato! Per rallentare i ritmi viene datospazio a due ballad, “Mama I’m Coming Home” e la nuova “Here For You”, unassolo di chitarra lungo sei minuti fa invece riposare le stanche corde vocalidi Ozzy. Purtroppo l’assolo di Wylde risulta stancante e poco ispirato, sipoteva davvero fare di meglio. A fine concerto, il Prince Of Darkness ci concedeun bis che si concretizza con la proverbiale “Crazy Train”, monumentoinestimabile del periodo Randy Rhoads, e l’immancabile “Paranoid”, innoimmortale dei Black Sabbath datato 1970. John Osbourne non è più un ragazzino e non si dimena sul palco come una volta, ma il suo carisma ed il magnetismo concui tiene concentrata l’attenzione del pubblico è un dono che solo i più grandirockers possono vantare! Lunga vita ad Ozzy.
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