Report a cura di Claudio Giuliani e Maurizio ‘MO’ Borghi
Foto di Maurizio ‘MO’ Borghi
Il primo giorno del Gods Of Metal 2008 è stato il giorno degli Iron Maiden: l’affluenza di pubblico maggiore nella tre giorni bolognese c’è stata non a caso durante questa giornata, quella che ha visto come protagonisti i sei inglesi che hanno scritto la Storia del genere che tutti noi amiamo. E pazienza se, ad ogni calata italica della Vergine di Ferro, dobbiamo sorbirci Lauren Harris. Se questo è il prezzo da pagare, allora ben venga. Ecco a voi la band che più di ogni altra incarna l’essenza heavy metal, la band che è famosa anche ai profani del genere: gli Iron Maiden, signore e signori. A far da apripista, si sono avvicendate tante formazioni: gli italiani KingCrow (suonare a quell’ora del mattino non è stato affatto facile), gli americani Black Tide, Lauren Harris; queste band hanno risentito – in termini di audience – dell’orario impossibile e del caldo veramente insopportabile. Nel primo pomeriggio c’è stato poi l’esordio italiano degli Airbourne e la gente ha cominciato ad avvicinarsi al palco per seguire le gesta dei ‘figli adottivi’ degli AC/DC. Subito dopo è stata la volta del bel concerto degli Apocalyptica, che ha spezzato un po’ l’asprezza delle sonorità hard rock, tornate poi con lo show dei Rose Tattoo, combo sempre gradevole in sede live. Prima degli headliner, si sono infine esibiti gli Avenged Sevenfold, i quali si sono beccati una valanga di cori ‘Maiden! Maiden!’ per via della loro proposta musicale che di tradizionale ha ben poco. La gente, a quel punto, oltre a non gradire la loro musica (ci riferiamo, purtroppo, alla maggioranza dei presenti), aveva voglia di Heavy Metal britannico come mai prima! Al calar delle luci sono comparsi loro, i Re del genere. E Metal fu.
KINGCROW
Il Gods Of Metal 2008 si apre con il progressive dei Kingcrow, formazione dalla capitale che si è fatta notare nei tre album pubblicati ad oggi. Poca gente nell’Arena Parco Nord e temperatura da subito alle stelle, ma nulla impedisce al gruppo del dotato Mauro Gelsomini di lasciare una buona impressione ai metalhead più mattinieri: nei pochi minuti a disposizione, infatti, quasi tutti si sono dimostrati propensi ad applaudire la formazione, protagonista di una performance senza sbavature che ha lasciato spazio ai momenti strumentali come alle peripezie vocali di Gelsomini, che chiude con una “A Merry Go-Round” che lascia tutti soddisfatti.
BLACK TIDE
Poco dopo le 12:30 è il turno dei Black Tide, visti pochi mesi fa di supporto ai Bullet For My Valentine e pompati a dovere come nuova sensazione per un pubblico imberbe. Forse perché ancora irrigidito dal viaggio o forse perché già rintronato dall’afa disumana, il pubblico si dimostra clemente coi ragazzini di Miami: solo un cartellone canzonatorio che recita ‘Abbasso i Finley’ e una attitudine disposta ad applaudire l’hard rock/metal del debutto “Light From Above”, senz’altro piacevole e dal tiro sostenuto. La formazione è sempre a tre elementi e, anche senza un secondo chitarrista, i ragazzini se la cavano benone, grazie all’impressionante disinvoltura del frontman Gabriel e alla precisone del batterista Steven. Lasciano il segno la mini-hit “Warriors Of Time” e la cover dei Metallica “Hit The Lights”, apprezzata da un pubblico benevolo con tanta voglia di divertirsi: niente male per la formazione più giovane che abbia mai calcato le assi del Gods Of Metal!
LAUREN HARRIS
Cognome pesante per la piccola Lauren. Di sicuro non c’è mente senziente nell’arena che non sappia tracciare l’albero genealogico di questa brunetta davvero piacevole da guardare, e probabilmente solo il rispetto infinito nei confronti del padre impedisce al pubblico di cacciare con stupri verbali lei e il gruppo di vecchi session-man al seguito. La miscela di morbido rock old-fashioned è innocua e banalotta a parere di chi scrive e, anche se Lauren si spreca in pose plastiche e tenta di animare la prestazione, i pezzi del debutto “Calm Before The Storm” passano del tutto inosservati, compresa la cover di “Natural Thing” degli UFO. La conclusiva “Steal Your Fire” riporta in mente la bella Tia Carrere che imbraccia la chitarra elettrica nel classico “Fusi Di Testa”: ‘super sexy babà’ direbbe Garth, soprattutto nel regalare la visione dei suoi piedi scalzi ai feticisti nelle prime file (“SHHWIIING!”); ma oltre a questo piacevole ricordo, nulla resta nelle disidratate scatole craniche dei presenti.
AIRBOURNE
In piedi per il rock and roll! Seppur in lingua inglese, e cantandola, gli australiani Airbourne hanno esordito in Italia alle tre del pomeriggio sotto un Sole infernale con la canzone apripista del loro album del 2007, commercializzato in Europa solamente un mese fa. I quattro hanno scatenato la folla che è stata rapita dal loro energico hard rock di chiaro stampo AC/DC. Forti del successo di “Running Wild”, la band dei fratelli O’Keffe ha dimostrato di essere veramente la novità importante dell’hard rock, proponendo dal vivo quell’energia che per anni la band di Angus Young ha sprigionato sui palchi di tutto il mondo. Grandi le esecuzioni di “Stand Up For Rock And Roll”, come detto in apertura, e di “Fat City”. Straordinario il singer nonché chitarrista solista, che durante “Girls In Black” si è arrampicato a venti metri da terra, sulla colonna laterale del palco, e da lì in cielo ha fatto il suo assolo alla sei corde: un folle. Strepitose anche “Too Fast Too Much Too Young”, lenta ma pesante, “Cheap Wine” e la finale “Running Wild”. Il quartetto ha dimostrato di possedere un’energia spettacolare in sede di concerto, il frontman ha tenuto il palco divinamente, da rock star consumata. C’è però una pecca nella musica degli Airbourne: i coristi, bassista e chitarrista ritmico, assolutamente non all’altezza, sfiatati e addirittura stonati! I cori sono fondamentali per la band australiana e urge un drastico miglioramento. Ottimo invece il leader O’Keffe, cresciuto a pane e rock and roll. Cresciuto bene, insomma.
APOCALYPTICA
Violenti a tratti più di qualche metal band che suona con strumenti tradizionali! Questi sono gli Apocalyptica, combo scandinavo che, da quando ha aggiunto la batteria nei concerti dal vivo, ha guadagnato molto in termini di impatto. Impressionanti i suoni bassi, forse un’ovvietà, vista la sfilza di violoncelli schierati sotto il Sole cocente che deve averli distrutti, loro che sono abituati alle temperature finlandesi. Il pubblico ha gradito, comunque, e la loro proposta è stata il giusto intermezzo fra i rockettari Airbourne (prima) e Rose Tattoo (dopo). L’inizio, quello che ha richiamato sotto il palco numerosi fan in cerca di riposo (e di ombra) sui prati del Parco Nord di Bologna, è stato affidato a “Refuse/Resist” dei Sepultura dei tempi d’oro, una fantastica esecuzione. Poi è stata la volta, dopo qualche brano proprio, dei classici dei Metallica, con l’ottima “Creeping Death” e la addirittura toccante – tanto è stata emozionante – “Nothing Else Matters”, canzone che comunque la si suoni resta immortale. Bellissimi anche i pezzi propri: “Grace”, estratta dall’ultimo lavoro “Worlds Collide”, ha ammaliato i presenti con le sue eteree e fantastiche melodie; degna di nota anche “Helden” dei Rammstein, veramente bellissima. Il pubblico ha poi acclamato “Seek And Destroy” e gli Apocalyptica l’hanno eseguita. Il classico della band di San Francisco ha chiuso un ottimo concerto da parte di una formazione originale, musicalmente ineccepibile e che dal vivo ha saputo conquistare il sostegno di numerosi fan.
ROSE TATTOO
Con “One Of The Boys” hanno iniziato il concerto gli australiani Rose Tattoo, portacolori dell’hard rock australiano. Una band storica che non necessita di presentazioni, nata sotto il successo del rock mondiale dei conterranei più famosi AC/DC. Angry Anderson, leader stagionato della band, ha dimostrato di essere in grande forma e di aver mantenuto la voce intatta come tanti anni fa, quando esordirono negli anni Ottanta. Il rock and roll classico della band, dai suoni duri e dai ritmi coinvolgenti, ha tenuto banco per circa tre quarti d’ora: dal nuovo lavoro sono state estratte la granitica “Man About Town” e “Once In A Lifetime”, eseguite ovviamente alla perfezione. “Man About Town”, canzone hard rock, ha conquistato i fan che pazientemente hanno resistito al caldo infernale che non ha dato mai tregua. La scaletta è stata incentrata sui vecchi album del gruppo, sui classici, su tutti la canzone inno della band, “Nice Boys”, allungata a dismisura per permettere al folto pubblico di partecipare: il coro ‘nice boys don’t play rock and roll’ è stato urlato a squarciagola per diversi minuti da tutti i sostenitori (e non) degli australiani. L’impatto del pezzo, uno dei più belli del rock and roll di sempre, è stato assolutamente devastante nel suo up-tempo sostenuto e incessante. Il pubblico ha gradito l’esibizione dei nostri, Anderson si è dimostrato frontman a proprio agio sul palco e dotato di senso dello humor. Puro rock and roll…fra tonnellate di metal è stato bello ascoltare questi puristi.
AVENGED SEVENFOLD
Ore 19:15. Con un quarto d’ora di anticipo, gli Avenged Sevenfold entrano in scena con un compito ingrato: aprire per i leggendari Iron Maiden di fronte ad un pubblico che definire oltranzista è dir poco. La band ne è di certo consapevole e da subito si trova a fare i conti con una delle date più difficili della sua carriera: dal primo secondo fino a fine esibizione, infatti, le prime file, unitamente a centinaia di presenti sparsi un po’ ovunque, tartassano la band gridando “Maiden, Maiden” senza un attimo di sosta, decisi a stroncare i giovani fenomeni di Huntington Beach. La risposta del gruppo è esemplare: mostrando autocontrollo, ironia e professionalità, gli Avenged danno comunque il meglio, a partire da un M.Shadows che sforza la voce all’apice, scherza col pubblico (“Siete un po’ confusi, noi non siamo gli Iron Maiden!”) e si dedica ai gruppi di fan comunque presenti nella folla. La scaletta parte coi pezzi dell’ultimo album, più cadenzati e adatti alla sede live: “Critical Acclaim”, “Afterlife” e “Scream” suonano groovy e potenti, ma il meglio è rappresentato dai pezzi veloci tratti da “City Of Evil”, ovvero le ottime “Beast And The Harlot” e “Bat Country”. Cominciano a volare le prime bottiglie sul palco, come vuole il classico abisso di ignoranza targato Gods Of Metal, ma il gruppo pare tollerare e piazza la abituale cover di “Walk” dei Pantera per coinvolgere tutti nel coro universalmente noto… inaspettatamente però, quasi a beffeggiare i detrattori in maniera estrema, la canzone viene tagliata proprio nel mezzo, quasi a ribadire che di rispetto nei loro confronti ne è stato dimostrato ben poco! Si continua con una toccante versione di “Gunslinger” e successivamente con la vecchia “Unholy Confessions”. Sebbene pochi lo ammettano, a questo punto parecchia gente che all’inzio gridava “Maiden, Maiden” in maniera scriteriata, ha cominciato anche ad applaudire Synister Gates e soci, mentre le prime file continuavano a ripetizione il mantra che avrebbe dovuto far sparire gli americani dal palco. Lo show è chiuso da “Second Heartbeat” e il pubblico è salutato da un ormai stizzito Shadows che getta suo malgrado la spugna. Altra misera figura del pubblico italiano dunque, di fronte a una formazione sempre più grande e professionale che ha sfoggiato tutta la sua personalità anche di fronte, duole scriverlo, a un pubblico maleducato.
IRON MAIDEN
Cosa dovrebbe scrivere il recensore di turno in merito al concerto degli Iron Maiden? Chi è in grado di giudicare la prova live della più grande heavy metal band di sempre? Heavy Metal = Iron Maiden. E parlando di una scaletta fenomenale e di un Dickinson in ottima forma, va solo detto che l’equazione è riuscita. Le splendide ambientazioni della scenografia di “Powerslave” hanno predisposto l’ascoltatore ad un tuffo nel passato: l’inizio è stato di quelli vibranti e da lasciare senza fiato e la doppietta “Aces High”/”2 Minutes To Midnight” ha poi stordito e galvanizzato i presenti. E’ stata poi la volta dei classici, tutti eseguiti senza sbavatura alcuna di fronte ad una folla estasiata, rapita dalla musica dei britannici che continua a rimanere inossidabile al tempo in sede live. Il pubblico dell’Arena Parco Nord è sembrato infinito. La lunga e fantastica “The Rime Of The Ancient Mariner” è stata accolta fra gli ‘ohhh’ dei presenti, così come la seguente “Powerslave”, brani che hanno segnato la storia di ogni metallaro che si rispetti, canzoni che hanno mandato indietro nel tempo i numerosi attempati presenti al concerto, sia nelle vesti di metallari con molti anni di ‘servizio’, sia nelle vesti di accompagnatori dei figli più piccoli tutti già con le t-shirt della band di Steve Harris. Potete immaginare da soli la sensazione di magnificenza provata durante “Run To The Hills”, oppure durante “Iron Maiden”, fino ad arrivare al classico conclusivo “Hallowed Be Thy Name”. Il solito Eddie gigante ha fatto la sua comparsa nel finale, dove i Maiden hanno dato il meglio di loro stessi. La gente era impaziente di ascoltarli, li invocava al cospetto degli Avenged Sevenfold, colpevoli di suonare sullo stesso palco dove poi si sarebbero esibiti questi mostri inglesi. Dickinson ha salutato promettendo il nuovo album per il prossimo anno, ma più che un nuovo lavoro della band, i fan aspettano che la stessa torni a suonare presto dal vivo. Paragonabili ad una lezione di storia.
Setlist
Aces High 2 Minutes To Midnight Revelations The Trooper Wasted Years The Number Of The Beast Can I Play With Madness? Rime Of The Ancient Mariner Powerslave Heaven Can Wait Run To The Hills Fear Of The Dark Iron Maiden Moonchild The Clairvoyant Hallowed Be Thy Name
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