Introduzione a cura di Marco Gallarati
Report a cura di Marco Gallarati, Luca Pessina e Andrea Raffaldini
Foto di Andrea Raffaldini
28 giugno 2008, seconda giornata del Gods Of Metal: a memoria di chi scrive, raramente, in un sol giorno di concerti, si è potuto ammirare un tale dispiegamento di forze e talenti; una sequela di band, più o meno datate, che hanno fatto, stanno facendo o sono in procinto di fare la Storia della nostra musica preferita! A partire dagli obbligati headliner Slayer – per l’ennesima volta chiamati a chiudere l’extreme day della manifestazione – passando per i colossi Testament e Meshuggah, entrambi fuori da poco con lavori superlativi, e giungendo ai due eventi speciali che hanno letteralmente marchiato a fuoco l’intera edizione del festival, ovvero le esibizioni dei redivivi At The Gates e Carcass, formazioni fra le più rimpiante in assoluto in campo estremo. Non bastasse questo, a fare da antipasto ad una tale cinquina da sogno, anche la possibilità di ammirare gli inventori del math-core, i The Dillinger Escape Plan, ed uno dei gruppi emergenti più interessanti d’America, i Between The Buried And Me. A completare un bill già fantasmagorico, anche i nostrani Stormlord, a dire il vero un po’ fuori posto e forse più indicati per la giornata di domenica. Detto dell’esauriente menù musicale, veniamo alla parte logistica: il Gods tornato all’Arena Parco Nord non ha deluso le aspettative, anche se bisogna ribadire come la venue non sia proprio il massimo dell’accoglienza, avendo esigui spazi all’ombra, asfalto e ghiaia come principale terreno ed essendo situata in una conca accogliente calore. Il caldo: ebbene sì, l’assoluto protagonista delle esibizioni del sabato è stato proprio lui, altro che Tompa Lindberg o Alex Skolnick! Asfissiante, impietoso, martellante…a tratti è stato stoico resistere sotto il Sole anche per più di dieci minuti. A questo punto, viene quasi da chiedersi se non converrebbe agli organizzatori pensare ad un Gods settembrino oppure da svolgersi a maggio: sebbene l’Italia sia ormai una succursale dei Tropici, il caldo sarebbe meno opprimente e pubblico e artisti ne soffrirebbero meno. Ma lasciamo da parte per ora queste tenui speranze e tuffiamoci nel dettaglio di uno dei giorni Godsiani più interessanti mai organizzati. Un applauso e delle scuse vanno agli Oltrezona e ai Brain Dead, questi ultimi vincitori del concorso per band emergenti risalente all’Italian Gods Of Metal, le cui performance abbiamo solo intravisto in fase di arrivo all’Arena.
STORMLORD
Solo venti minuti a disposizione per i veri opener della giornata, i symphonic black metaller romani Stormlord. Tre pezzi suonati, quattro chiacchiere promozionali di stampo patriottico e tutto sommato una prestazione positiva, non baciata però da suoni ottimali. “Mare Nostrum”, il nuovo lavoro di Cristiano Borchi e compagni, è da poco uscito per la Locomotive Records, con la quale i nostri sono freschi di contratto, e quindi è stato d’obbligo offrire alla crescente folla sotto palco un triplice assaggio di quello che sembra essere un piccolo ‘back to the roots’ nella discografia del combo capitolino. “Legacy Of The Snake” e la lunga ed epica title-track hanno mostrato le cose migliori, del resto non si poteva chiedere molto più della sufficienza ad un gruppo che ha dovuto suonare a mezzogiorno in punto e solo per una manciata di minuti. L’abbiamo già scritto sopra: forse gli Stormlord erano più adatti alla giornata di domenica, magari scambiati di posto con gli Infernal Poetry… Comunque sia, un concerto senza infamia né troppe lodi per i nostri portabandiera.
BETWEEN THE BURIED AND ME
A tratti davvero spaesato e incapace di comprendere la proposta di Tommy Rogers e soci, il pubblico della pausa pranzo ha assistito alla prima performance italiana dei Between The Buried And Me in un crescendo d’entusiasmo ed approvazione: più sono passati i (pochi) minuti, più la gente ha dato dimostrazione di apprezzare le articolate trame, all’inizio stranianti e fin troppo contorte, della band del North Carolina. La mezzora trascorsa fra le note della giovane promessa yankee è stata sicuramente la più sorprendente della giornata, sebbene anche per lei l’acustica outdoor si sia rivelata un’arma contro, soprattutto durante le parti in clean vocals di Rogers, davvero poco udibili. Una presenza scenica più statica e limitata del solito ha ammantato di connotati prog il math-core evoluto dei BTBAM, elargito a piene mani in “Prequel To The Sequel” e “White Walls”. Non poca gente ha valutato positivamente l’operato della band a fine esibizione, mentre chi per caso ha storto il naso durante i primi minuti della setlist si è dovuto poi ricredere e cominciare ad applaudire. Minutaggio e suoni non sono stati certo dalla loro, ma i Between The Buried And Me hanno convinto praticamente tutti coloro che hanno ascoltato con attenzione la loro cangiante proposta.
THE DILLINGER ESCAPE PLAN
La proposta schizzata e a tratti poco musicale dei The Dillinger Escape Plan non ha coinvolto al 100% la folla posizionata di fronte al palco, per lo più in attesa dei colossi death e thrash che si sarebbero esibiti più in là nella giornata. Le grosse dimensioni del palco, inoltre, hanno in parte annullato la proverbiale, esaltante, presenza scenica della band statunitense, brava comunque a muoversi tanto e con la sua solita frenesia, ma calata in un contesto non esattamente adatto a lei. In ogni caso, nulla da dire sulle doti di frontman di Greg Puciato e sull’impatto di pezzi come “Sugar Coated Sour” o “Milk Lizard”. Le prime file hanno dimostrato di gradire ugualmente, un po’ meno le altre e la gente seduta sulla collina, ma pazienza… non sono certo queste le situazioni delle quali si deve tenere conto per valutare l’efficacia live di una formazione come i The Dillinger Escape Plan. Sempre professionali e carichi, dal primo all’ultimo minuto, ma preferiamo dar loro appuntamento al prossimo tour nei club.
AT THE GATES
Eccolo qua, in pieno primo pomeriggio e sotto un Sole dilaniante, il primo Evento della giornata: Adrian Erlandsson, Jonas Björler, Martin Larsson, Anders Björler e Tomas ‘Tompa’ Lindberg, ovvero i mitici At The Gates nella loro formazione più classica e nota al completo!! Non appena viene issato il telo nero con il logo della band, l’animo di chi scrive – e si suppone di molti dei presenti – si rituffa nei primi anni ’90, agli albori dello swedish death e del Göteborg sound, pronto ad urlare e a movimentarsi con le sciabolate (Piccinini docet) dei cinque svedesoni. La calura delle quindici è veramente devastante e non ci sentiamo di biasimare troppo i fratelli Björler e Larsson per essere stati delle colonne di marmo per tutta la durata del concerto…del resto, anche con i The Haunted i gemellini non si sono mai distinti per la dinamicità on stage. Quello che importa è che Tompa si sia fatto sentire alla grande, non lesinando camminate a destra e a manca del palcoscenico, durante un set a dir poco da urlo, pregno e pieno di brani storici ed epocali. La bassezza dei suoni – soprattutto quelli delle chitarre – ha purtroppo reso meno caustico e corrosivo lo show degli At The Gates, per il resto del tutto soddisfacente: dopo l’intro registrata, l’attacco del riff di “Slaughter Of The Soul”, le quattro botte di piatti e cassa e il ‘go!’ di Lindberg sono stati adrenalina pura, per una partenza al cardiopalmo bissata subito da “Cold” e “Terminal Spirit Disease”. Una scaletta davvero ben assortita ha garantito alla band il successo atteso, anche se a giochi fatti i Carcass hanno stravinto il confronto revival: quasi tutto “Slaughter Of The Soul” è stato eseguito, da “Nausea” a “Suicide Nation”, dalla sinistra “Need” a “Under A Serpent Sun”, fino a giungere all’agognata “Blinded By Fear”, eseguita per ultima a mo’ di bis, mentre molti spettatori già stavano correndo via alla ricerca di uno spicchio d’ombra… “The Swarm”, “The Burning Darkness”, “Windows” e la primitiva “Raped By The Light Of Christ” hanno invece onorato i fasti dei dischi precedenti il Capolavoro riconosciuto del Göteborg sound. Certamente penalizzati dalla posizione nel bill e dall’arsura soffocante, gli At The Gates hanno comunque fatto storia, regalando una stupenda ora del loro death metal a tutti quanti i convenuti. Forever enslaved.
TESTAMENT
Il concerto degli At The Gates ha scaldato non poco il folto pubblico presente, così che l’attesa per lo show dei Testament si è fatta incandescente. Un fragoroso boato ha accolto Chuck Billy e compagni, che non hanno perso tempo in chiacchiere e hanno iniziano il bombardamento con “Over The Wall” e “Into The Pit”! Chuck Billy è visibilmente ingrassato, ma carisma e soprattutto la sua inimitabile voce sono sempre quelle di un tempo. Purtroppo i suoni hanno penalizzato non poco i maestri della Bay Area: le chitarre di Skolnick e Peterson hanno suonato impastate ed i volumi sono stati eccessivamente bassi per permettere ai Testament di scatenare tutta la loro furia omicida! Solo due gli estratti dal nuovo “The Formation Of Damnation”, ovvero l’opener “More Than Meets The Eye” e “Henchman’ Ride”. Il resto del concerto ci ha deliziato con i grandi classici quali “The New Order”, “Disciples Of The Watch” e “Alone In The Dark” (allungata all’inverosimile). Ottima la prova del batterista Paul Bostaph, una macchina di morte veloce, precisa e potente, che da quando ha abbandonato gli Slayer non ha perso le sua splendida forma. Il carisma e la bravura di Alex Skolnick, pittoresco con il suo ciuffo bianco di capelli, sono indiscussi tanto quanto l’alchimia di tutta la band, massimo esempio vivente della filosofia thrash metal! Solo i suoni non all’altezza hanno penalizzato un concerto altrimenti letale.
MESHUGGAH
I Meshuggah, ormai quasi aficionados della penisola italica dopo anni di assenza, sono probabilmente coloro i quali hanno tratto più giovamento dalla posizione scelta per loro in scaletta: sebbene gli At The Gates abbiano un pelo più di storia e ‘alone di mito’ alle spalle e i Testament riescano benissimo a richiamare folle da headliner durante le loro esibizioni, la band di Tomas Haake si è trovata catapultata al terzultimo posto del running order, purtroppo per loro proprio ai limiti estremi di resistenza al caldo del pubblico, letteralmente fuso e bisognoso di getti d’idrante. Dal canto suo, il quintetto di Umea non è proprio il massimo in quanto a coinvolgimento emotivo, per cui è stato piuttosto normale assistere ad un’esibizione quasi perfetta ma – paradosso meteorologico – fredda. Jens Kidman addirittura ad un certo punto si è messo a cantare seduto, dopo aver pronunciato un annoiatissimo ‘how are you doing?’, che ha stabilito il nuovo record di mancato consenso ad una risposta durante un concerto metal. Comunque sia, il muro sonoro e la precisione dei Meshuggah non sono certo venuti a mancare, così come le meraviglie di Haake dietro le pelli e quelle di Thordendal alla chitarra solista. “Stengah”, “Rational Gaze”, “Suffer In Truth” e la solita, impressionante “Future Breed Machine” hanno tenuto attaccati al palco i veri sostenitori della band, mentre “Obzen”, “Electric Red” e l’ottima “Combustion” hanno mostrato quanto di buono i nostri sono riusciti a fare nel loro ultimo lavoro. Certo non è stato il miglior concerto della giornata, forse il più deludente, e l’impressione è che il gruppo tenda sempre più a dividere i metalfan, tra chi li ama incondizionatamente e chi li considera solo monotoni e noiosi. Da rivedere un’altra volta al chiuso, tra fumate di ghiaccio secco, al buio, con Terminator a fianco e durante un attacco di panico da claustrofobia.
CARCASS
Senza voler nulla togliere all’altrettanto importante esibizione degli At The Gates, quello dei Carcass era per chi scrive lo show assolutamente da non perdere in questa seconda giornata del Gods Of Metal 2008. Il fatto di trovarsi di fronte alla band in grado di contribuire alla nascita del filone grindcore, così come di quello death metal melodico (con “Heartwork”) ad anni e anni dalla sua ultima performance nello Stivale aveva fatto sognare e venire l’acquolina in bocca a tutti gli amanti di questo tipo di sonorità. Attesi on stage senza lo storico batterista Ken Owen – omaggiato comunque, come previsto, verso il termine dello show – i Carcass hanno offerto esattamente il concerto che ci si attendeva da loro. Suoni perfetti, precisione chirurgica nell’esecuzione e una scaletta da brividi, che non ha tralasciato alcun full-length della loro discografia. Certo, non tutti hanno apprezzato in pieno la ferocia di un pezzo come “Exhume To Consume”, mentre altri hanno storto il naso durante la catchy “Keep On Rotting In The Free World”, ma le composizioni provenienti dai capolavori “Necroticism” ed “Heartwork” hanno messo d’accordo proprio tutti, generando fra gli astanti un moto di approvazione secondo soltanto a quello riservato agli headliner Slayer. Tra l’altro, il sottoscritto non esita un secondo a consegnare la palma di miglior show della giornata al quartetto anglo-svedese: vero che gli Slayer sono sempre gli Slayer, ma quest’oggi i Carcass non hanno davvero fatto prigionieri. Che non venga loro in mente di realizzare un nuovo album – i leggendari classici del passato bastano e avanzano – ma speriamo prendano in considerazione l’idea di imbarcarsi anche in un tour indoor… non ce lo perderemmo per nulla al mondo.
SLAYER
C’è poco da fare, un thrash metal più distruttivo ed estremo di quello degli Slayer non esiste! Quando Tom Araya e Kerry King calcano un palco c’è da temere il finimondo, specialmente se sono in perfetta forma come in questo Gods Of Metal. Il buon Tom infatti ha urlato dall’inizio alla fine dello spettacolo e la sua voce ha retto nonostante il clima impietosamente caldo. “Darkness Of Christ” ha mandato subito la folla in delirio, il pogo si è scatenato ovunque e i corpi lanciati in un frenetico headbangin’ non si sono potuti nemmeno contare. Dave Lombardo come sempre è stato il trascinatore ritmico degli Slayer, il suo drumming potente quanto una batteria di cannoni, sicuro e maestoso nello scandire brani storici come “Chemical Warfare”, “South Of Heaven” ed “Hell Awaits”. Mentre il pubblico ha imperversato nel pogo sfrenato (diverse persone sono crollate esauste a riposarsi sul prato dell’arena), Kerry King ha macinato i suoi riff infernali come una furia, senza nemmeno un minuto di sosta. Dall’ultimo “Christ Illusion” sono stati estratti ben quattro pezzi, tra cui “Jihad” e “Eyes Of The Insane”. Ogni tre o quattro canzoni la band, complice l’età, si è presa piccole pause per recuperare fiato ed energie, particolare ben trascurabile se paragonato all’intensità dello show tenuto. Non appena sono partite le note di “Raining Blood”, il pubblico è impazzito, davvero difficile continuare ad ascoltare in tranquillità la canzone senza lasciarsi prendere dall’istinto di lanciarsi nel pogo: siamo di fronte al capolavoro assoluto degli Slayer, che dal 1986 ad oggi non è ancora stato eguagliato da nulla e nessuno. “Mandatory Suicide” e “Angel Of Death” sono stati i capitoli conclusivi di un concerto in cui band e fan hanno dato tutto in termini di energia e coinvolgimento; tutto ciò che è venuto prima viene spazzato via dall’incontenibile onda d’urto degli Slayer. I Re sono loro. A quando dei giovani leoni degni di scalzarli dal trono?