Report a cura di Andrea Raffaldini e Claudio Giuliani Foto di Andrea Raffaldini
Si conclude con una terza giornata di caldo asfissiante il Gods Of Metal 2008, sicuramente da ricordare come la più sahariana delle edizioni! Una giornata che è stata praticamente divisa in tre parti dagli organizzatori, non sappiamo quanto logicamente: all’inizio, un miscuglio di esibizioni eterogenee, fra le quali la strombazzata performance del Redentore dei ‘metallari brutti, sporchi e cattivi’, quel Fratello Metallo poi finito a far brutta figura di sè in una trasmissione deprecabile e ultra-trash quale Lucignolo; in mezzo, l’ondata di metal estremo vedente quale protagonisti i grandiosi norvegesi Enslaved (esibitisi dopo il frate, alquanto particolare, non vi sembra?) e le due ‘vecchie glorie’ Obituary e Morbid Angel; infine, drastico cambio di rotta e ritorno a sonorità che più classiche non si può, grazie all’arrivo di SuperMalmsteen – graziato dall’intervento di un certo ‘Ripper’ Owens – degli Iced Earth (con Barlow rientrato alla voce) e dei MetalGods per contratto, i Judas Priest. Insomma, un bill che sulla carta avrebbe dovuto dividere quasi completamente i fan, conoscendo l’attitudine e i gusti del metallaro italiano medio. Precisando che non ci è stato possibile seguire l’esibizione degli opener The Sorrow, andiamo ad iniziare quest’ultima disamina concertistica…
NIGHTMARE
Le raccomandazioni, si sa, esistono in ogni ambiente e l’avere amicizie nelle giuste posizioni giustifica l’apparire dal nulla di un aiutino, in questo caso innocente. Mentre tutti i fan inneggiano a Fratello Metallo, scopriamo che magicamente il suo posto in scaletta è salito di ben due posizioni, ovvero dopo l’esibizione degli Infernal Poetry. Poco male, i francesi Nightmare, non appena calcano il palco del Gods Of Metal, ci assalgono con un turbinio di riff taglienti e bordate metalliche. I veterani dell’heavy metal, attivi sin dagli anni Ottanta, propongono infatti una vincente miscela di power e sonorità classiche risalenti alla NWOBHM, che si concretizzano in interessanti episodi come “Wicked White Demon”. Dal vivo la band capitanata da Jo Amore possiede una marcia in più rispetto a quanto ci propone in studio; il carisma ed un’esperienza ultraventennale permette alla formazione di conquistare senza molta difficoltà l’affetto del pubblico presente. Headliner a parte, la performance dei Nightmare sarà una delle migliori dell’intera giornata.
INFERNAL POETRY
Anticipato, dunque, anche lo show degli Infernal Poetry, i nostri alfieri marchigiani autori di un death metal imprevedebile, schizzato e completamente fuori dalle righe. Non si fanno problemi, Daniele Galassi e compagni, e come al solito ci danno dentro come dannati, impegnando il loro poco tempo a disposizione con una performance tutta grinta, tecnica e cuore. “Nervous System Failure” è ancora in fase di preparazione, ma la band, che ha scelto i pezzi da eseguire tramite un sondaggio sul proprio Myspace, sembra già pronta a presentarlo, avendo proposto ben due anteprime. “Beholding The Unpure” ronza ancora spesso nelle nostre orecchie ed è sempre un piacere riascoltare i suoi brani, suonati alla grande dai ragazzi. L’ospitata di Trevor dei Sadist, proprio in occasione dell’esecuzione di un pezzo inedito, è stato l’apice di una performance energica, frenetica e aggressiva come ormai ci si attende dagli Infernal Poetry, certamente tra le più brave e sottovalutate formazioni italiane (vogliamo dire europee?) in attività.
FRATELLO METALLO
Da giorni padre Cesare troneggiava su tutti i più importanti quotidiani nazionali: un religioso che inneggia l’heavy metal, la musica del Demonio per antonomasia, è certamente un fatto inedito che fa notizia, per cui al concerto del celebre frate si sono presentati fior fior di giornalisti e cameraman di svariate emittenti televisive nazionali ed estere. Francamente, lasciatecelo dire, speriamo che il giro di immagine, la pubblicità, il merchandise con tanto di CD e magliette firmate Fratello Metallo siano mosse destinate ad opere di carità, perché dal punto di vista prettamente musicale tutto questo polverone non avrebbe senso. I fan urlano a squarciagola ‘Fratello Metallo!’ che, non appena si presenta, dà vita ad uno spettacolo a metà strada tra un concerto metal ed una messa, ribadendo l’assoluta non pericolosità della nostra musica preferita e toccando una serie di argomenti un po’ scottanti, ad esempio il sesso. A parte la stravaganza e l’originalità di questo personaggio, dal punto di vista prettamente musicale c’è poco o nulla di interessante. Ma il metal spesso è spettacolo, intrattenimento, e di questo diamo atto a padre Cesare di aver centrato l’obiettivo.
ENSLAVED
All’una e mezza della domenica sono saliti sul palco gli Enslaved, che torneranno a Bologna a fine ottobre per un altro concerto. La band, più volte ammirata dalla redazione di Metalitalia.com nell’ultimo anno, si è resa protagonista del solito show, un’esibizione caratterizzata dalla solita bravura nel ricreare dal vivo (peccato per la luce del sole) le atmosfere degli ultimi album, specie quelle di “Ruun”, ultima fatica del combo norvegese. “Path To Vanir” ha aperto il concerto, una canzone molto bella per la quale è stato girato anche un video. Pezzi forti del concerto sono stati ovviamente “Isa” (molto acclamata), “Return To Yggdrasill” e la conclusiva “Ruun” che, specie nella parte finale, ha veramente coinvolto i numerosi ascoltatori presenti nonostante il caldo Sahariano. Concerto di spessore per una band che ha trovato la quadratura del cerchio con il passare degli anni. Peccato per la mancata esecuzione di “Slaget I Skogen Bortenfor”, canzone storica del demo, tagliata dalla setlist per motivi di tempo. Senza dubbio alcuno, le band che erano in giro all’inizio degli anni ’90 e che non si sono sciolte godono oggi di una marcia in più. Gli Enslaved del leader Grutle Kjellson sono fra queste.
OBITUARY
Subito dopo gli Enslaved, in un orario dove difficilmente troverete un messicano sveglio, sono saliti sul palco gli Obituary. Death metal dalla Florida sempre preciso, sempre potente, sempre tagliente e sempre coinvolgente. Alla chitarra abbiamo trovato Ralph Santolla (Vital Remains, Deicide) che ha sostituito il precedente chitarrista rimasto coinvolto in alcuni problemi con la giustizia. Il concerto è stata la solita caterva di riff profusa in faccia ai fan sulle note di “On The Floor” e di “Insane” (estratte dall’ottimo album “Frozen In Time”). “Evil Ways” è stato uno degli episodi meglio riusciti di “Xecutioner’s Return”, ultimo lavoro, rivelatosi flop per i floridiani. Dal vivo il pezzo ha goduto della cattiveria live e non ha demeritato. Sono stati poi i classici (“Chopped In Half “), come previsto, a scatenare il putiferio: molto bella “Slow Death”” e ovviamente la conclusiva “Slowly We Rot”. Santolla ha mostrato tutta la sua maestria alla sei corde, ma è la sezione ritmica con Donald Tardy alla batteria e Trevor Watkins al basso a dare al suono degli Obituary quella corpulenza che dal vivo si produce in un impatto veramente possente. Peccato per il poco tempo a disposizione. Ottima la voce di John Tardy (abbigliato a maniche lunghe fra lo stupore bolognese). Grandi Obituary.
MORBID ANGEL
Molti fan della band americana aspettavano questo momento da molti anni: erano pochi in Italia– chi vi scrive è uno di questi – ad aver visto i Morbid Angel suonare dal vivo con David Vincent e quindi il ritorno del frontman è stato atteso come manna dal cielo. Alla seconda chitarra in sede live è stato reclutato il chitarrista già negli Zyklon, ma chiariamo subito le idee: c’è stato disappunto per l’esibizione di Vincent e compagni. Il suono di chitarra del divo Trey Azagthoth (sempre più magro!) suonava quasi punk! Il cambio di chitarra non deve avergli giovato più di tanto e comunque l’impatto dei suoni della sei (e anche sette) corde non è stato dei migliori. Dalla scaletta, poi, ci si attendeva qualcosa di più (perché non è stata suonata “Dominate”?), specie dopo il ritorno di David Vincent. Bene Sandoval alla batteria – aveva come roadie niente meno che un enorme Nick Barker! – sebbene il suono fosse troppo artificiale, così come David Vincent, a parte il costume in latex pacchianissimo, la cui voce è sempre potente e inconfondibile. La band ha estratto molti pezzi da “Covenant” e da “Altar Of Madness”: ha aperto con “Rapture” e chiuso con “God Of Emptiness” e ha proposto inoltre “Pain Divine”, “World Of Shit”, “Chapel Of Ghouls”, “Maze Of Torment” e “Immortal Rites”. Da “Domination” sono state proposte “Dawn Of The Angry” e la classica “Where The Slime Live”, con il solito, superbo assolo di chitarra a firma Trey. “Fall From Grace” ha rappresentato l’album “Blessed Are The Sick”, mentre nessuna canzone è stata estratta dagli album che non hanno visto David Vincent in line-up. Proposta anche una nuova canzone, molto d’impatto e sicuramente ottima, che però si è incanalata sul solito schema americano: riffone, partenza, stacco uptempo e ripartenza con assolo. Un qualcosa di già sentito dai Morbid Angel, in linea con quanto proposto su “Heretic”. Brutta anche la scelta di Azagthoth di accorpare i pezzi in scaletta a seconda dell’utilizzo della chitarra: dapprima tutti i pezzi da suonare con quella a sei corde e poi quelli da suonare con l’altra ascia a sette corde. Deludente, come detto, il suono di chitarra. Certo, la band è valida e dal vivo spacca, ma era lecito attendersi qualcosa di più, specie dopo il ritorno di Vincent. All’epoca del concerto di qualche anno fa a Milano per il tour di “Gateways To Annihilation”, con Tucker in formazione, i Morbid Angel furono strepitosi e con dei suoni perfetti. Al Gods non è stato così.
YNGWIE MALMSTEEN
Uno dei chitarristi più discussi, contemporaneamente idolatrato e criticato per uno stile poco evoluto negli anni, per le masturbazioni chitarristiche di cui è ferocemente accusato e per un ego fuori dal comune. Purtroppo per i detrattori del maestro svedese, non appena Yngwie si presenta sul palco, suonando le note di “Rising Force”, è subito il putiferio. C’era grande attesa per il nuovo singer Tim ‘Ripper’ Owens (ex-Judas Priest ed ex-Iced Earth) e pure qualche dubbio, ma sono bastate un paio di strofe per spazzare via tutte le perplessità. L’ugola di Owens infatti non solo riesce a valorizzare al meglio l’aspetto melodico delle composizioni Malmsteeniane, ma il suo timbro tagliente e Halfordiano riesce a conferire ai brani una veste heavy e metallica che mai hanno avuto in passato. Il carisma e tutte le doti di entertainer di Malmsteen si vedono grazie al suo stare sul palco, alle sue mosse, alle smorfie ed al suo modo unico di imbracciare e suonare la Stratocaster. “Never Die” distribuisce noti taglienti come lame, interrotte soltanto dagli intermezzi strumentali “Trilogy Suite” e “Far Beyond The Sun”. Lo spirito epico e battagliero della band conosce il suo punto massimo con “I’m A Viking”: Ripper è strepitoso e riesce a superarsi soltanto durante l’esecuzione della toccante “You Don’t Remember, I’ll Never Forget”. “I’ll See The Light Tonight” chiude un concerto memorabile: Malmsteen è in forma smagliante (musicalmente parlando) e Ripper Owens si è rivelato ancora una volta uno dei migliori cantanti in circolazioni. Con una squadra così portentosa, speriamo solo che sia altrettanto valida la prossima fatica in studio dell’ultimo grande guitar hero.
ICED EARTH
Il ritorno in formazione dello storico singer Matt Barlow ha ricreato quell’interesse nei confronti degli Iced Earth che negli ultimi anni, a causa di release non proprio riuscite, era andato scemando. “The Dark Saga” dà inizio alle danze e si capisce subito che la band americana è in gran forma, mentre Barlow non ha perso nulla della sua potenza vocale. Jon Schaffer dal canto suo macina riff veloci e precisi per tutta la durata dello spettacolo, mentre si alternano classici come “Burning Times”, “Ten Thounsand Strong” e la fantastica “Dracula”, interpretata in modo eccezionale dal rossocrinito singer. Nella scaletta appare poi “Declaration Day”, incisa in studio con Ripper Owens dietro al microfono: avendo da poco finito di suonare insieme a Malmsteen, è impossibile non mettere Barlow e Owens su due piatti della bilancia per i dovuti paragoni: emotivamente parlando, il timbro tagliente dell’ ex Judas Priest è irraggiungibile, ma siamo di fronte a due veri cantanti di razza. “Travel To Stygian” e “Melancholy” sono particolarmente apprezzate dal numeroso pubblico, sempre intento ad elogiare e dar carica ai musicisti. Sul palco la band, a livello di coinvolgimento, presenta sempre numerosi problemi: a parte il singer intento ad incitare il pubblico, Schaffer e gli altri musicisti fanno poco o nulla per dimostrarsi animali da palcoscenico, preferendo rimanere staticamente concentrati a suonare le loro canzoni. “Iced Earth” chiude uno spettacolo molto intenso di una band ritornata al top grazie al figliol prodigo Barlow di nuovo nelle fila. Dopo l’estate uscirà il nuovo disco…ci aspettiamo davvero molto!
JUDAS PRIEST
Finalmente il grande momento della serata è arrivato! I Judas Priest, forti del nuovo disco “Nostradamus” da poco nei negozi, stanno per dar vita ad uno show sensazionale! La strumentale “Dawn Of Creation” crea il giusto pathos prima che Glen Tipton, K.K. Downing e Rob Halford facciano la loro apparizione. Il Metal God appare all’improvviso sulla parte alta del palcoscenico con tanto di scettro e tunica argentata, mentre nel frattempo partono le note di “The Prophecy”. Halford canta in modo profondo e teatrale, anche se praticamente immobile, e il suo carisma ha un qualcosa di sovrumano. “Metal Gods” e “Eat Me Alive” riportano i Priest su lidi più classici, dominati dai riff di chitarra e vocals ruggenti come il metal insegna. La scaletta proposta è sorprendente, vengono ripescati un sacco di vecchi brani che da anni non venivano proposti: “Between The Hammer And The Anvil” e “Devil’s Child” vengono accolte con un boato dalla folla. Halford non ha più l’estensione di un tempo, i suoi acuti non convincono come una volta, ma l’esperienza e l’espressività con cui il singer inglese impreziosisce le sue performance fanno dimenticare che l’età avanza anche per un Dio del Metallo. Come se non bastasse, anche il mitico duo Tipton/Downing, con una serie di sbavature, attacchi sbagliati e imprecisioni, non si è dimostrato in giornata; nulla però di talmente grave da compromettere l’esito dello show. Si continua con “Breaking The Law” ed “Hell Patrol”, due classici Priestiani che colpiscono dritti in faccia tutti i presenti lanciati in un furioso headbangin’. “Dissident Aggressor” precede “Angel”, che serve per concederci una pausa dall’alto tasso di adrenalina in corpo. Momento topico dell’intero show è la maratona “Electric Eye”/”Rock Hard Ride Free”/“Sinner”, in cui maestosità, filosofia metallica e rabbia si sono lanciate in un vortice di sensazioni con cui hanno travolto l’intera arena. Veniamo svegliati – ahinoi! – da questo sogno idilliaco da una scarsa versione di “Painkiller”, in cui la stanca voce di Halford si confonde con quella di Udo Dirkschneider. “You’ve Got Another Thing Coming” cala il sipario su uno spettacolo intenso, emotivo, con qualche pecca di troppo, ma memorabile. I padri dell’heavy metal si ostinano a tenere lo scettro della musica pesante, d’altronde nessun erede è all’altezza di scalzarli.
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