Introduzione a cura di Marco Gallarati
Report a cura di Andrea Raffaldini, Marco Gallarati, Matteo Cereda, Alessandro Corno, Emilio Cortese
Foto a cura di Francesco Castaldo
Gods Of Metal 2009, 13^ edizione, quella del tanto auspicato ritorno allo stadio di Monza, il quadrato e accogliente Brianteo. Dopo i due anni al piacevolissimo Idroscalo di Milano e l’anno scorso in quel dell’Arena Parco Nord di Bologna, nel girone infernale più torrido mai immaginato, la plebaglia metallica ha circondato di buzzo buono per due giornate di intensa musica il fresco capoluogo di provincia lombardo, per un festival che quest’anno ha rispettato tutte le attese in campo musicale e, con picchi e baratri, anche quelle più strettamente logistiche. Noi di Metalitalia.com questa volta l’abbiamo vissuto non da semplici spettatori, bensì penetrando, per quanto concessoci, nelle viscere organizzative della macchina Gods Of Metal, frenetico sistema che da più di un decennio ci riesce a regalare buona/ottima musica e sufficiente/discreto divertimento. La prima giornata dell’edizione 2009 è stata caratterizzata dalla netta predominanza del metal classico su quello estremo, per la verità assente e sostituito da un’orda di concerti hard-rock e glam che sicuramente hanno richiamato l’attenzione di frange di audience di tutte le età: davvero tanti i personaggi visti sul prato conciati in maniera oltraggiosa, un paio al limite del drag-queenismo, prodi seguaci di Motley Crue e – perché no? – Backyard Babies. D’altro canto, gli Heaven And Hell sono attualmente la migliore rappresentazione del metal classico per eccellenza, quindi anche per loro c’era davvero tanta gente. Tesla, Queensryche, le incognite Lita Ford e Marty Friedman, i ‘superheroes’ Edguy: band e artisti autori di performance più o meno appaganti e, per alcuni, anche sorprendenti! Sacrificati Voivod ed Extrema, in posizioni mattiniere poco consone al loro status, giusto per agevolare come al solito l’onnipresente Lauren Harris – basta!! – o per dare più visibilità di quella che meritano ai pur bravi Epica.
A livello logistico, non abbiamo potuto fare a meno di notare – per averlo visto o per averlo sentito dire – come la tanto decantata presenza dei gettoni-consumazione non sia stata poi una trovata molto riuscita: tanti ragazzi si sono lamentati per code interminabili ai punti-ristoro sparsi all’interno dello stadio. E poi, altra cosuccia a dare un pochetto fastidio, la zanzarosa presenza di ceffi ‘zainati’ che tranquillamente giravano tra il pubblico a vendere birra in bottiglie di vetro! Abbiamo visto di persona la cacciata di uno di questi tizi da parte della security, ma ci chiediamo cosa servissero i controlli all’entrata e la polizia fuori dallo stadio. Ma si sa, l’Italia è questa e l’arte della scavalcata è piuttosto diffusa…
Nota: i report delle singole esibizioni sono gli stessi che avete letto nello speciale in diretta. Dopo tanto ‘lavoro’, abbiamo deciso di mantenere la freschezza di quelle opinioni a caldo, anzi a caldissimo!
EXTREMA
Dopo i brevissimi The Rocker, costretti a ritardare di un quarto d’ora la loro performance, la prima sveglia alla già ben nutrita cornice di pubblico mattutina ci pensano a darla i padroni di casa Extrema, che col loro vigoroso power-thrash d’assalto iniziano a dare la carica ad un’audience esaltata. “Money Talks” e “This Toy” sono i pezzi più acclamati di una setlist composta da cinque brani, di cui l’ultimo tratto da “Pound For Pound”, la recente fatica discografica dei milanesi. Buona partenza per una prima giornata che si preannuncia calorosa!
LAUREN HARRIS
Dopo il ciclone Extrema che si è abbattuto come un’incudine sul pubblico del Gods Of Metal, i toni si smorzano con l’arrivo di Lauren Harris. La figlia d’arte di papà Steve propone uno show che non si discosta di molto rispetto alla sua ultima performance sul suolo italico. La band che l’accompagna suona indiavolata, mentre Lauren fa di tutto per aggraziarsi il favore delpubblico. Purtroppo i brani di “Calm Before The Storm” non riescono a far presa, così come la presenza scenica della giovane singer lascia molto a desiderare. La sua voce in più momenti perde di incisività e compromette la resa dei brani. Nella mezz’ora a lei concessa, Lauren ancora una volta non convince e ci lascia sempre più perplessi sul suo futuro artistico: le corsie preferenziali di cui hagoduto e sta godendo non sopperiscono ad una maturazione musicale che è ancora lontana dallo sbocciare.
VOIVOD
Presenza importante quella dei canadesi Voivod al Gods Of Metal 2009, dopo una lunga assenza dai palchi italiani. La band, in questi giorni fuori con il nuovo “Infini”, si è mostrata in discreta forma, fornendo una prestazione in crescendo dopo i primi pezzi un po’ in sordina. L’hard-rock atipico della formazione nord-americana è stato guidato da un Denis Belanger quanto mai su di giri, grottesco nelle sue pose e nella sua interpretazione, ben coadiuvato da Away alle pelli, Dan Mongraine alla chitarra e soprattutto da un redivivo Blacky al basso. Tutto sommato più che buono lo spettacolo dei Voivod, un po’ penalizzati dalla posizione in scaletta, ma di certo efficaci! In conclusione non è mancata la toccante dedica allo scomparso chitarrista Denis ‘Piggy’ D’Amour.
BACKYARD BABIES
I Backyard Babies alzano la temperatura già bollente, vista l’ora, del Brianteo con una performance adrenalinica e ricca di attitudine glam-rock. L’apertura è affidata alla melodica “Nomadic”, ma è con pezzi come “Brand New Hate”, “Degenerated” e “Minus Celsius” che la band svedese dà il meglio di sé coinvolgendo la platea con salti e danze. Il sound ègrezzo al punto giusto e il leader Dregen alla chitarra si dimostra animale da palco incitando continuamente il pubblico. Buona anche l’esibizione del resto della truppa, con una nota di merito per il singer Nicke Borg, anche alla chitarra, preciso quanto basta in unconcerto votato al rock n’ roll più sfrenato. Chiusura con applausi riservata al classico “Dysfunctional Professional”, che evidenzia le influenze punk da sempre marchio di fabbrica della band.
EPICA
Epica, l’ennesima sensation olandese in campo female-fronted gothic metal: sufficientemente energico lo spettacolo dei ragazzi capitanati dalla carinissima Simone Simons, per la verità poco sotto i riflettori, contate le volte che è rientrata nel backstage durante le sezioni che non prevedono la sua partecipazione. Tre quarti d’ora di discreto metal, quindi, abbondantemente derivativo – Within Temptation, Orphanage, After Forever – ma anche potente e a tratti trascinante. Si impegnano a fondo gli Epica, stupiti al solito dell’accoglienza di un pubblico tricolore abbastanza partecipante. Non sono dei fenomeni, ma un applauso se lo meritano.
MARTY FRIEDMAN
Sotto il caldo torrido delle 15.00, Marty Friedman e soci calcano il palco per scaldare ulteriormente glianimi. Contrariamente a quanto possano pensare gli scettici, il quartetto riesce a divertire nonostante la sua proposta sia esclusivamente strumentale. Merito soprattutto di una certa varietà delle canzoni, che non mirano soltanto a stupire il pubblico con esercizi di bravura o fredde dimostrazioni di ineccepibile tecnica.Le tracce dell’ex-chitarrista dei Megadeth infatti sono ben definite e varie, alternano momenti rock ad aperture melodiche e cadenzate, variando poi in partiture prettamente heavy o sfociando in assoli evocativi e trascinanti. A tratti, ascoltando i brani, vengono in mente certe canzoni di Steve Vai (fra i ranghi del quale, tra l’altro, ha militato anche iltatuatissimo Jeremy Colson, oggi dietro le pelli). Una conferma per chi già conosceva l’artista, e potrebbe essere stato una scoperta per chi fino ad oggi aveva escluso dai propri ascolti gli album di Marty Friedman, trattandosi di una proposta strumentale.
EDGUY
Dopo la prova strumentale, peraltro positiva, di Marty Friedman, c’è bisogno di qualcosa di un po’ piùallegro e movimentato: gli Edguy in questo senso sono un gruppo di grande presa live, con parecchi pezzi molto diretti come “Dead Or Rock”, il primo che propongono in questa torrida giornata di Gods Of Metal. I cinque salgono sul palco con l’attitudine di chi sa il fatto suo, capitanati dal frontman Tobias Sammet, che però questo pomeriggio non ha fatto i conti con una forma vocale non smagliante. Tobi, infatti, corre e salta solo ad inizio show, mentre dopo“Speedhoven” e “Tears Of A Mandrake” inizia a faticare un pelo sulle note più alte e si concentra quindi maggiormente sulla prestazione. Il resto del gruppo è invece preciso come al solito, con un’ottima prova soprattutto della sezione ritmica. Il tempo stringe ma Tobias non rinuncia ad intrattenere il pubblico con il suo carisma prima di introdurre “Lavatory Love Machine”. La risposta dell’audience è positiva, soprattutto sui brani più hard rock e dairitornelli immediati come “Superheroes” o la conclusiva “King Of Fools”; mentre, come già constatato nella loro ultima data milanese, i vecchi cavalli di battaglia power del passato, tipo “Babylon”, non sono più attesi come un tempo. Una prova dunquetutto sommato sufficiente, ma meno incisiva rispetto a quanto visto durante il recente tour da headliner.
LITA FORD
Gli anni passano ma Lita Ford appareancora in grande forma, non stiamo parlando dell’aspetto fisicoperaltro invidiabile considerando le cinquanta primavere sullespalle, ma della prestazione della bionda cantante statunitense cheappare quanto mai vivace nell’ora a disposizione qui al Gods OfMetal. La cantante-chitarrista di origine albionica sforna unaprestazione di spessore, riportando in auge le sonorità hard rockanni 80′ della sua carriera solista. Pezzi immediati, dotati direfrain memorizzabili sin dal primo ascolto investono la platea chereagisce positivamente, con partecipazione alla performance dellabionda Ford. Tra le canzoni più riuscite citiamo i classici “KissMe Deadly” e la ballata “If I Close My Eyes Forever”(originariamente interpretata con Ozzy Osbourne), senza dimenticarel’appeal sprigionato da “Don’t Catch Me”. Finale incandescente con unpezzo inedito che sarà presente nel nuovo album di Lita previsto persettembre. Supportata da una band di grande qualità, Lita Ford ci haregalato un ritorno coi fiocchi, che visti i risultati ipotizziamoverrà presto bissato da un tour come protagonista.
QUEENSRYCHE
Se il concerto di Lita Ford ci ha lasciato a bocca aperta per il suo fantastico hard rock nostalgicamente ottantiano, i Queensryche sconvolgono per la loro classe sopraffina. La band di Geoff Tate è unica semplicemente per il fatto che brani vecchi vent’anni, oggi proposti in sede live sembrano ancora attuali, anzi avanti anni luce rispetto alla media della musica oggi in circolazione. “Rage For Order” ed “Empire” vengono saccheggiati dei loro brani migliori, eseguiti con una perizia ed un coinvolgimento che solo la band di Seattle sa mostrare. Geoff Tate è un front-man che sprigiona carisma ad ogni suo movimento, la sua voce ipnotica trasmette forti sensazioni che, tradotte in musica, arrivano dritte al cuore (e pare molto più in forma rispetto al suo precedente show a Milano). Durante la prova dei Queensryche purtroppo, il tempo realizza di essere stato fin troppo clemente, si scatena un acquazione e, non contenti, qualche lieve inconveniente tecnico fa saltare la partenza di una base pre-registrata. Il popolo metal giunto a Monza però, non si lascia intimidire, a parte qualche ombrello aperto di fretta e furia sono pochi coloro che fuggono spaventati da qualche goccia d’acqua. Come da copione, a tener banco sono i grandi classici del passato, un curriculum che ha sempre reso i Queensryche una formazione inimitabile. “The Shadows” manda la folla in delirio totale, ma anche gli episodi più recenti come “Sliver” vengono cantati e supportati con calore ed entusiasmo. Il tempo è sempre tiranno, per un concerto dei Queensryche, servirebbero ore e ore per presentare in sede live tutti i cavalli di battaglia degli americani, ciò che conta è che nei pochi minuti concessi (terminano infatti circa quindici minuti prima del previsto), Tate e compagni hanno fatto scintille dimostrandosi, almeno fino al loro turno, i dominatori incontrastati della giornata.
TESLA
Inizio col freno a mano tirato per iTesla, i primi due pezzi, la titletrack dell’ultimo “Forevermore”e “I Wanna Live”, risentono dell’assestamento dei suoni in regiae non rendono come dovrebbero. Un piccolo intoppo che tuttavia nonintacca la performance della band statunitense in grado di dimostraretutto il suo valore dalla terza traccia in avanti. Il quintetto diSacramento non risparmia energie e offre un ottimo spettacolo di hardn’blues con il singer Jeff Keith sempre protagonista con la suatimbrica rauca e nasale. Buona la prestazione anche per il restodella band con lo storico drummer Troy Luccketta che non sbaglia uncolpo e la copia d’asce formata dallo storico Frank Hannon e dal piùgiovane Dave Rude precisa come sempre ed in vena di virtuosismi comedimostra l’assolo finale con tanto di richiamo alla celebre “WeWill Rock You” dei Queen. Buono l’impatto di pezzi recenti come“Breakin’ Free” e “In To The Now”, anche se sono i classici araccogliere i consensi maggiori. Canzoni del calibro di “GettingBetter”, “Heaven’s Trail” e “Hang Tough” mandano invisibilio la folla e allontanano forse per sempre le nubi dalBrianteo. Dopo la sempre gradita esecuzione della cover dei Five ManElectrical Band “Signs” i Tesla prima del congedo ci regalano lasempreverde “Cumin’ Atcha Live”, brano simbolo di una bandsottovalutata per troppi anni che ora raccoglie finalmente i meritaticonsensi.
HEAVEN AND HELL
Signori, più che essere in diretta con il Gods Of Metal, qui siamo in diretta con la storia della musica. Quattro musicisti con sulle spalle quarant’anni di carriera stanno per fare il loro autorevole ingresso su un palco allestito con una scenografia suggestiva, fatta di gargoyle, sfere di cristallo e strutture da cui pende una moltitudine di catene. Quale cornice migliore per uno show suggestivo come quello che si preannuncia? Difficile immaginare un inizio migliore dell’accoppiata “E5150” – “The Mob Rules” e in effetti Dio, Iommi, Butler e Appice danno il via al loro set proprio su queste note, incantando da subito l’audience. Dio (di nome e di fatto) parte col piede giusto e la platea accoglie il piccolo cantante con un un’ovazione. Segue “Children Of The Sea”, uno dei pezzi più attesi della serata e anche una delle punte di diamante della band. Il gruppo dimostra tutta la sua esperienza, suonando con un feeling e una maestria che ben poche altre band possono vantare. I soli di Iommi trasmettono emozioni a non finire e la coppia d’assi Butler-Appice è assolutamente impeccabile. Unico neo i suoni, con la voce di Dio che nei primi brani in più occasioni sovrasta gli strumenti e la chitarra di Iommi che a tratti pare finire un po’ troppo in secondo piano, salvo ritornare in modo anche troppo invadente sui soli. Dopo “I”, arriva l’ora di testare l’efficacia in sede live di “Bible Black”, il singolo dell’ultimo “The Devil You Know”. Il pezzo non delude le attese e con il suo taglio sinistro non sfigura assolutamente di fianco ai grandi classici del gruppo. Vinny Appice si ritaglia il suo spazio personale con un bel drum solo prima di dare il via a “Fear”, secondo estratto dall’ultimo lavoro. Si passa poi a “Falling Off The Edge Of The World” con Dio veramente impressionante sui vocalizzi nella prima parte del brano. “Follow The Tears” con il suo riffing cupo e pesantissimo ci riporta per l’ultima volta alla più recente release. Un sottofondo di tastiere inconfondibile ci porta a “Die Young”, brano da antologia su cui Iommi ci regala il solito eccezionale solo nella parte iniziale. La risposta del pubblico è entusiastica, ma non siamo ancora all’apice dello show, che viene raggiunto con la successiva “Heaven And Hell”. Eseguita alla grande e accompagnata dal pubblico che ne intona il celeberrimo coro e da effetti scenografici curatissimi, lascia tutti di stucco quando il palco si illumina di rosso e delle colonne di fumo si alzano verso il cielo, lasciando intravedere sullo sfondo le fiamme proiettate sul megaschermo. Impressionante. Il tempo purtroppo stringe e “Country Girl” viene praticamente accennata, seguita a ruota dalla conclusiva e immancabile “Neon Knights”. Che dire, i Black Sabb… ehm, Heaven And Hell sono una garanzia e ancora una volta dimostrano che la classe è una qualità che solo i grandi hanno.
SETLIST:
E5150
The Mob Rules
Children Of The Sea
I
Bible Black
Time Machine
Drum Solo
Fear
Falling Off The Edge Of The World
Follow The Tears
Die Young
Heaven And Hell
Country Girl/Neon Knights
MOTLEY CRUE
Sprint finale di questo primo giorno di Gods Of Metal 2009: “Kickstart My Heart” introduce la calata dei Motley Crue sul suolo italico. Gli americani fanno scintille sul palco, Vince Neil e Nikki Sixx sono scatenati come veri animali, mentre Tommy Lee percuote la sua batteria come un indemoniato. I classici della band si susseguono uno dopo l’altro senza tregua, con il culmine raggiunto durante “Shout At The Devil”. Mick Mars, sempre più traballante, appare concentratissimo nel suonare, a dispetto dei suoi compagni più giocherelloni. I Crue ci ricordano che hanno da poco un disco sul mercato e subito partono le note di “Saints Of Los Angeles”. Il palco è formato da grandi lettere e numeri, mentre dietro un grosso schermo luminoso proietta dei filmati stilizzati che accompagnano le canzoni. “Girls Girls Girls” scatena il pubblico femminile e basta un cenno del piacione Vince perchè sul palco arrivi un bel reggiseno. Il concerto dei Motley Crue non ci ha fatto rimpiangere la loro ultima performance al Gods Of Metal, l’unica critica che ci sentiamo di porre è rivolta al finale dello show riservato a “Sweet Home”, dove Tommy Lee si cimenta al piano: la canzone è sempre molto atmosferica, ma per un finale da Dei del Rock ci saremmo aspettati qualcosa di più adrenalinico!