GODS OF METAL 2012 – giorno 1
21/06/2012 – Arena Fiera Milano – Rho (MI)
Running order:
Apertura porte: 10.00
10.30-11.00 – CLAIRVOYANTS
11.30-12.00 – ARTHEMIS
12.30-13.10 – HOLYHELL
13.40-14.25 – CANNIBAL CORPSE
14.55-15.45 – UNISONIC
16.15-17.25 – ADRENALINE MOB
17.55-19.05 – AMON AMARTH
19.35-21.00 – CHILDREN OF BODOM
22.00-24.00 – MANOWAR
CLAIRVOYANTS – 10.30-11.00
Provenienza: Como, Italia
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Tocca ai Clairvoyants aprire il Gods Of Metal 2012 sotto un Sole che già alle 10 del mattino mette a dura prova la bianchissima pelle dei pochi metallari presenti di fronte al palco. Il gruppo lombardo attacca con “No Need To Surrender” con dei suoni ancora in via di sistemazione e un Gabriele Bernasconi inizialmente con la voce un tantino ‘fredda’. Le cose migliorano con “I Don’t Believe Their Lie”, nella quale la band suona più compatta e precisa; il secondo brano estratto dal nuovo “The Shape Of Things To Come” riesce a fare una buona impressione. In realtà, la mezzora a disposizione della band viene impiegata proprio per la promozione dell’ultima uscita, con le successive “Endure And Survive” e “To Heaven And Back” a ben rappresentare il lavoro. Unico brano estratto dal primo disco “Word To The Wise” è il singolo “Journey Through The Stars”, pezzo che rispolvera la vena maideniana della band. Una brevissima scaletta che non ha certo permesso ai Clairvoyants di dimostrare tutto il loro potenziale, ma che quantomeno ha consentito al gruppo di calcare il palco del festival metal più ambito d’Italia.
(Alessandro Corno)
ARTHEMIS – 11.30-12.00
Provenienza: Verona, Italia
Sito ufficiale
La canicola procede impietosa sulle note della seconda band italiana in apertura di giornata, i veronesi Arthemis. I ragazzi paiono esaltatissimi dalla possibilità di esibirsi al Gods Of Metal e dalla grinta che mettono on stage pare proprio vogliano demolire il palco. La band è decisamente esperta, non per nulla ha all’attivo ben sette full-length album, e la sua lunga militanza sulle scene viene bene espressa dall’esibizione vigorosa di quest’oggi. Il nuovo disco “We Fight” è uscito da poco più di una settimana e gli Arthemis ci propongono un bel terzetto di pezzi tratti da esso, fra cui segnaliamo le valide “Empire” e “Still Awake”. I suoni si rivelano ottimi, nonostante la cassa della batteria sovrasti un po’ tutto il resto, ma nulla di cui potersi lamentare seriamente. In definitiva, il classic metal contaminato da sane dosi di thrash anthemico e robusto del combo nostrano ha ottenuto un buon riscontro di pubblico, quest’ultimo ancora esiguo ma ben coinvolto. E ora si parte con i gruppi stranieri…
(Marco Gallarati)
HOLYHELL – 12.30-13.10
Provenienza: New York, Stati Uniti
Sito ufficiale
Gli Holyhell potrebbero essere la band ideale per aprire un concerto dei Manowar, con il loro classic metal spesso e volentieri cadenzato, in cui le tastiere creano un tappeto epico sul tessuto ritmico minimale e sulle vocals evocative della prosperosa singer Maria Breon; peccato che agli headliner manchino ancora diversi gruppi e il Sole cocente non aiuta ad apprezzare il quintetto statunitense. Nulla o poco da dire sulla prestazione tecnica della band, apparsa in buona forma con la presenza in formazione di talenti del calibro di John Macaluso alla batteria e Joe Stump alla chitarra. Ciò che non convince è il songwriting scontato, a tratti scadente, che inficia inevitabilmente la prestazione, con canzoni votate prevalentemente al mid-tempo e condizionate da linee vocali macchinose e con un retrogusto neoclassico (portato soprattutto dal guitar-working di Stump) strasentito. Le canzoni sono divise tra l’omonimo debutto e il prossimo di pubblicazione, “Visible Darkness”, ma al di là di “Wings Of Light” e qualche posa sexy della succitata singer, resta poco da salvare dello spettacolo degli Holyhell. La cover di “Holy Diver” in chiusura, se possibile, alimenta ulteriormente le nostre riserve sul potenziale compositivo della band.
(Matteo Cereda)
CANNIBAL CORPSE – 13.40-14.25
Provenienza: Buffalo, Stati Uniti
Sito ufficiale
Lontani dai palchi del Gods Of Metal da solo due anni, i Cannibal Corpse sono certamente la band più estrema in esibizione nella quattro-giorni di questo 2012 Godsiano. Descrivere per un’ennesima volta la performance della formazione di Buffalo è sempre più difficile, in quanto il Cadavere Cannibale è granitico e inossidabile esattamente come la sua musica, che per la stessa ennesima volta ha triturato impietosamente gli astanti in cottura sul cemento dell’Arena. Le roteate di collo di George ‘Corpsegrinder’ Fisher non hanno risentito un minimo della calura opprimente e hanno dato refrigerio a tutti gli altri componenti, fra cui si è distinto Alex Webster, precisissimo al basso. Suoni all’inizio condizionati dal venticello che è un po’ salito e naturalmente non puliti e rifiniti come le icone del death metal americano richiedono dagli amplificatori. “Hammer Smashed Face”, “Priests Of Sodom”, “Disfigured” e la iper-cadenzata “Evisceration Plague” sono state le protagoniste di un crescendo di violenza, accolto meglio più dal pubblico presente oltre le transenne divisorie del Pit, che dai ragazzi un po’ fermi posizionati all’interno del recinto. Insomma, dietro il pogo, davanti solo le corna. Cannibal Corpse, la solita sicurezza. Una noia, ovviamente, per chi non apprezza la band.
(Marco Gallarati)
UNISONIC – 14.55-15.45
Provenienza: Germania
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Uno degli eventi più attesi della giornata è indubbiamente il ritorno sui palchi italiani di Michael Kiske, con la sua nuova band: gli Unisonic. Il quintetto teutonico ha pubblicato ad inizio anno l’omonimo debutto e attacca lo spettacolo proprio con la titletrack del suddetto album. L’attenzione di tutti ovviamente è rivolta alla coppia Kiske-Hansen, un duo che anni fa ha fatto sognare migliaia di fan con la musica degli Helloween ed oggi si ritrova a suonare davanti a poche centinaia di persone ad un orario reso infame dal gran caldo. Ciò nonostante, gli Unisonic forniscono una buona prestazione, con un Kiske penalizzato dal volume basso del proprio microfono, apparso a suo agio su partiture tra power metal, metal melodico ed hard rock. I siparietti che improvvisano Kiske e Hansen durante le canzoni fanno sognare i fan di vecchia data e le riproposizioni di “March Of Time” e “I Want Out” riescono a sconfiggere l’afa pomeridiana scatenando l’entusiasmo generale. Il resto dello show, come prevedibile, è tutto incentrato sul pluricitato “Unisonic”, con buone riproposizioni di pezzi quali “Never Too Late”, “My Sanctuary” e “We Rise”. Non saranno a livello dei classici, ma il divertimento è assicurato!
(Matteo Cereda)
ADRENALINE MOB – 16.15-17.25
Provenienza: New York, Stati Uniti
Sito ufficiale
Per far fede al proprio monicker, lo spettacolo degli Adrenaline Mob è quanto di più adrenalinico si possa sperare al cospetto del caldo che imperversa impietoso sulle teste di un pubblico in aumento. Il quartetto statunitense è conosciuto ai più per la presenza in formazione del drummer Mike Portnoy e del cantante Russell Allen, ma lo spettacolo di oggi ci dice che, oltre alla grande tecnica di questi due musicisti, c’è comunque un gruppo compatto, ciò dovuto all’ottimo lavoro del chitarrista Mike Orlando e del bassista John Moyer. Il debutto di pochi mesi orsono a titolo “Omertà” non ha entusiasmato, ma i pezzi carichi di groove e dotati di appeal moderno che lo caratterizzano risultano assai indicati per la riproposizione in sede live, come dimostrano “Undaunted”, “Psychosane”, “Indifferent” e perfino la cover dei Duran Duran, “Come Undone”. Il resto, come detto, l’hanno fatto i musicisti in questione, il grande talento di Portnoy, la voce impeccabile di Allen ed una coesione difficile da ipotizzare considerando i pochi anni insieme. Finora si è trattato dello spettacolo più completo: tecnica, groove, potenza, melodia, impatto…non è mancato proprio niente. Rivalutati!
(Matteo Cereda)
AMON AMARTH – 17.55-19.05
Provenienza: Svezia
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Dopo i due spettacoli incentrati sul classico e sul moderno, con Unisonic e Adrenaline Mob, si torna sul versante estremo-melodico con gli Amon Amarth, i vichingoni svedesi per antonomasia. Anche loro, come i Cannibal Corpse, tornano al Gods Of Metal dopo solo due anni e lo fanno con uno spettacolo al solito ferale e possente, senza troppi rallentamenti e completamente devoto all’epicità pura. Come da pronostico, l’Arena si sta lentamente riempiendo, anche se l’affluenza resta abbastanza risicata, in attesa di vedere cosa succederà all’avvento dei Manowar. Johan Hegg è parso in forma, sebbene chi scrive lo preferisca molto più quando sfodera il suo basso e cavernoso growl rispetto alla timbrica più orientata verso lo screaming. I minutaggi cominciano ad allungarsi e gli Amon Amarth hanno potuto godere di un’ora e dieci di performance, quasi come una data singola da headliner, dunque. In questi settanta minuti, si sono ovviamente alternati più o meno tutti i classici della formazione, con menzione particolare per “The Fate Of Norns”, “Cry Of The Black Birds”, “Live For The Kill”, “Destroyer Of The Universe”, “For Victory Or Death” e chiaramente il gran finale affidato a “Guardians Of Asgaard”, che a chiuso uno show del tutto positivo, a parte dei suoni non completamente impeccabili, soprattutto sotto palco. Finora quindi, escludendo probabilmente i precedenti Adrenaline Mob, la prima giornata del Gods 2012 si sta svolgendo senza particolari sorprese. Un giorno di ordinaria canicola.
(Marco Gallarati)
CHILDREN OF BODOM – 19.35-21.00
Provenienza: Finlandia
Sito ufficiale
Nuvole minacciose oscurano il Sole e la temperatura si abbassa quanto basta per permettere ai presenti sotto il palco di tirare un respiro di sollievo. I finlandesi Children Of Bodom attaccano il loro show a tutta velocità con un classico, “Warheart”, che subito scatena un headbanging incontrollato tra le prime file. I volumi spropositati non ci permettono, almeno durante l’esecuzione dei primi pezzi, di distinguere in modo nitido tutti gli strumenti, ma l’energia e la carica trasmesse da Alexi Laiho e compagni sopperiscono a questo temporaneo inconveniente. “Hate Me!”, “Silent Night, Bodom Night” e “Needled 24/7” fanno parte dei cavalli di battaglia più apprezzati della setlist. Tutti i riflettori sono puntati sull’esile Alexi, chitarrista/cantante talentuoso dallo spiccato carisma, a cui basta compiere un paio di passi lontano dal suo microfono per scatenare applausi e corna al cielo in segno di approvazione. Janne Wirman dona il suo tocco virtuoso di tastiera, pur rimanendo praticamente immobile, quasi distaccato e disinteressato ad incendiare il cuore dei fan. Tutta la zona attorno al pit si riempie sempre più, a conferma che l’heavy metal di questi musicisti di valore suscita il giusto interesse. I Children Of Bodom non hanno intenzione di alzare il pedale del freno, il loro unico scopo è ruggire metal tonante: “Deadnight Warrior” e “Blooddrunk” riescono alla perfezione nell’intento. Lo show si avvia verso la conclusione, anticipata da un inspiegabile taglio di scaletta malamente accettato da un Alexi che mostra in modo palese la sua arrabbiatura, scagliando la chitarra a terra. Al momento del congedo, dopo una dirompente “Are You Dead Yet?”, il pubblico saluta i propri beniamini con applausi ed urla, un segnale ben chiaro che i Children Of Bodom, in sede live e nonostante lo stop forzato, hanno fatto centro ancora una volta. Con un concerto di tale intensità, i Manowar troveranno la strada spianata ed un pubblico caldo e pronto ad un’ultima dose di heavy metal, almeno per stasera.
(Andrea Raffaldini)
MANOWAR – 22.00-24.00
Provenienza: Auburn, Stati Uniti / Cimmeria
Sito ufficiale
Ormai i Manowar sanno come caricare i loro fan: un’ora abbondante di musica folkeggiante durante il cambio palco ha messo a dura prova i nervi dei presenti. Con “Manowar” e “Gates Of Valhalla”, Joey DeMaio e compagni calcano nuovamente il palco del Gods Of Metal (e un palco italiano) dopo lunghi anni di assenza. Sebbene i suoni nei primi brani non siano definiti al meglio e una doppia cassa tonante ci faccia vibrare gli organi interni, Eric Adams al microfono intona con rabbia gli ormai leggendari testi a base di ‘steel’, ‘sword’, ‘thunder’ e ‘metal’, destreggiandosi più che bene e in certi casi risparmiandosi con un briciolo di esperienza tra le impegnative linee vocali dei brani. Lo show prosegue con “Kill With Power” e “Sign Of The Hammer”, con i fan impegnati a fare headbanging e ad unire all’unisono le braccia al cielo. Sistemate alcune imperfezioni nei suoni, i volumi dalle prime file sono talmente alti da risultare insopportabili, come a ricordarci i tempi in cui i Manowar vinsero il Guinness dei Primati come band più rumorosa al mondo. “Fighting The World”, “Kings Of Metal” e “Metal Warriors” sono un trittico letale all’insegna dell’acciaio più puro, perchè “i Manowar sono il metal” e ci tengono a ribadirlo. Come primo siparietto della serata, Joey DeMaio chiama un fan sul palco, gli insegna come si beve la birra ‘all’italiana’ e lo mette alla chitarra per suonare “The Gods Made Heavy Metal”; per poi regalargli la sei corde firmata da tutta la band. Dopo una serie di brani più recenti che rispondono al nome di “Sons Of Odin”, una scialba “Hand Of Doom” e “King Of Kings”, arriva puntuale come un orologio l’immancabile assolo di basso, tradotto nelle note di “Sting Of The Bumblebee” che, a causa del volume spropositato, risulta quasi fastidioso alle orecchie. Sempre il buon Joey si lancia nel suo proverbiale discorso, questa volta in un buffo italiano contro i ‘cabrones e i bastardos’, i poser e contro tutti coloro che vogliono il male del metal, mentre nel finale della ramanzina chiede un toccante minuto di silenzio in onore del suo defunto padre e dell’amico scomparso Scott Columbus, batterista storico dei Manowar. Terminata la filippica, le soavi note introduttive di “Hail And Kill” ci regalano un momento di intense atmosfere, come preludio a quell’assalto metallico che il pezzo ogni volta scatena. Il solito inno “Warriors Of The World United” fa cantare chiunque, anche se il famigerato pit di fronte al palco e la conseguente separazione in due della frangia di fan più fedele alla band, rovina in parte l’atmosfera di unione che il brano solitamente ci regala. Si torna su ritmi sostenuti con “Thunder In The Sky” e “The Power”, prima della maestosa e sempre emozionante versione Manowar (ossia tamarra) della celeberrima “Nessun Dorma”. Chiude la calata italica del quartetto newyorkese, la bordata “Black Wind, Fire And Steel”, celebrazione finale di uno show meno prolisso rispetto alle ultime apparizioni al Gods Of Metal e che ci ha messo di fronte ad una band ancora in buona forma nonostante la sessantina sia alle porte.
(Andrea Raffaldini e Alessandro Corno)
Setlist
Manowar
Gates Of Valhalla
Kill With Power
Sign Of The Hammer
Fighting The World
Kings Of Metal
Metal Warriors
Brothers Of Metal
Call To Arms
discorso di Joey
The Gods Made Heavy Metal
Sons Of Odin
Hand Of Doom
King Of Kings
Sting Of The Bumblebee
Drum Solo e discorso di Joey
Hail And Kill
Warriors Of The World United
Thunder In The Sky
The Power
Nessun Dorma
Black Wind, Fire And Steeeeeeeeel