GODS OF METAL 2012 – giorno 4
24/06/2012 – Arena Fiera Milano – Rho (MI)
Running order:
Apertura porte: 10.00
10.30-11.00 – I KILLED THE PROM QUEEN
11.30-12.00 – KOBRA & THE LOTUS
12.30-13.10 – AUGUST BURNS RED
13.40-14.25 – DEVILDRIVER
14.55-15.45 – TRIVIUM
16.15-17.25 – LAMB OF GOD
17.55-19.05 – BLACK LABEL SOCIETY
19.35-21.00 – OPETH
21.45-23.45 – OZZY & FRIENDS
I KILLED THE PROM QUEEN – 10.30-11.00
Provenienza: Australia
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Sono gli I Killed The Prom Queen a dare il via alla quarta ed ultima giornata di questa ricchissima edizione del Gods Of Metal. Un cartellone che sa quasi di Ozzfest, per il gusto americano dell’appuntamento, e chi meglio di una formazione come gli IKTPQ, alfieri di quel metalcore/fashioncore che tanto è andato di moda negli anni successivi al loro debutto nella prima metà del 2000, può dare il via agli show? Riunitisi recentemente, i Canguri fanno parlare forse più per la presenza di JJ Peters e Jonah Weinhofen, oggi rispettivamente frontman dei Deez Nuts e chitarrista dei Bring Me The Horizon, che per l’effettivo valore del loro metalcore da manuale. La loro prova è divertente ed energica, ma non fa strappare i capelli a nessuno, anche se tutti i mattinieri della giornata se li godono con piacere, facendo partire anche un accenno di circle-pit. Oggi è anche il compleanno di Sean e JJ Peters, una data speciale! Weinhofen intrattiene il pubblico in un set di degno minutaggio nonostante l’orario infame. Buona la prima!
(Maurizio Borghi)
KOBRA & THE LOTUS – 11.30-12.00
Provenienza: Canada
Sito ufficiale
Giunti all’ultima data del loro tour, i semi-sconosciuti canadesi Kobra And The Lotus arrivano ad infiammare il parterre del Gods Of Metal con il loro classic-power metal robusto e potente, in grado di sorprendere e convincere gli astanti praticamente all’istante – e scusate l’assonanza! La pittata vocalist Kobra Paige ci risulta infatti immediatamente simpatica e valida, senza esagerare con le pose da frontgirl, bensì inscenando uno show heavy metal a tutti gli effetti, correndo a destra e a manca e profondendosi in movenze à la Bruce Dickinson. Proprio Iron Maiden e Judas Priest ci sono sembrati buoni punti di riferimento per la band, aggiungendo poi il reparto power devoto a Iced Earth e, in parte, Hammerfall. Da segnalare anche l’ottima prestazione dei musicisti al seguito, impegnati oltretutto in cori (basi?) che hanno ricordato per epicità i Manowar. Bel concerto davvero, non ce lo aspettavamo!
(Marco Gallarati)
AUGUST BURNS RED – 12.30-13.10
Provenienza: Lancaster, Stati Uniti
Sito ufficiale
Dopo i due opener della giornata, ecco iniziare il mini-festival interno al Gods dedicato al metal-core, o comunque ad un manipolo di gruppi venuti alla ribalta grazie al o durante l’avvento del tanto discusso trend. Gli August Burns Red, statunitensi di Lancaster, sono i primi del quartetto interessato e purtroppo non si trovano davanti, almeno all’interno del Pit, la loro audience ideale, in quanto il pubblico delle prime file pare quasi totalmente disinteressato alla musica dei ragazzi. Atteggiamento ben diverso risulta invece al di là delle barriere divisorie, dove circle-pit e pogo si alternano piuttosto costantemente. La prova della formazione yankee, che per curiosità ricordiamo essere una band cristiana, è valida, non entusiasmante ma comunque in crescendo. Abbigliati con una moltitudine assortita di calzature – scarpe da tennis, espadrillas, infradito… – gli americani si prodigano per far muovere il più possibile i loro osservatori, come già detto molto più attivi nelle retrovie che nell’avanguardia. E questo è inevitabilmente uno dei principali motivi di critica, in verità, al Pit Ticket. Procediamo ora con i Devildriver…
(Marco Gallarati)
DEVILDRIVER – 13.40-14.25
Provenienza: Santa Barbara, Stati Uniti
Sito ufficiale
I Devildriver proseguono l’ondata modernista che sta travolgendo il Gods Of Metal, in un ultimo giorno che già dal primo pomeriggio presenta un’affluenza molto più abbondante rispetto al sabato e soprattutto rispetto ai due giorni feriali. Devastante l’approccio allo show del gruppo capitanato da Dez Fafara, che impatta l’audience con una violenza assurda, supportata da un wall of sound notevole, anche se non particolarmente pulito. Definire metal-core la proposta dei Devildriver è certamente riduttivo, in quanto death metal e black metal sono chiaramente influenze preponderanti nel songwriting del combo, che raggiunge l’apice dello show durante l’esecuzione di “I Could Care Less” e “Hold Back The Day”, due perle del passato di Fafara & Co.. La divisione del Pit non inficia troppo lo spettacolo, anche perché, rispetto agli August Burns Red, i Devildriver coinvolgono molta più gente e sono ben più noti. Massacro totale fino all’ultimo pezzo, dunque, compreso anche un quasi innovativo wall-of-death – sorpresa e novità per parecchie persone accorse al festival! – che ha coinvolto davvero parecchia gente. Finora si è trattato sicuramente della performance migliore della giornata.
(Marco Gallarati)
TRIVIUM – 14.55-15.45
Provenienza: Orlando, Stati Uniti
Sito ufficiale
Introdotti come da copione dal piano di “In Waves”, i Trivium irrompono in scena su uno stage visivamente curato, con la nuvola nera e minacciosa come stendardo e rami scuri a riempire i lati. Gli stessi musicisti vestono completamente di nero, per un impatto omogeneo e ben curato. Come in tutte le performance recenti, la band appare concentratissima, con suoni assolutamente perfetti e una batteria molto triggerata a dettare i tempi di un’esibizione rodatissima e priva di qualsiasi sbavatura. Heafy, in un’inedita versione scapigliata, sembra più carico del solito e incita a più riprese il pubblico al circle pit: rispondono sia i ragazzi sotto il palco che quelli dietro le transenne, in un’esplosione di energia notevole. La cosa più bella? Vedere nonna Gregoletto assistere a lato palco, seduta su una seggiola col bastone in mano, alla performance scalmanata del nipote Paolo (di chiare origini italiane), immobile in uno sguardo tra curiosità e fierezza! Per gli hater, i Trivium sono troppo puliti e perfettini e non esisterebbero senza una label come Roadrunner alle spalle, ma il pubblico odierno non sembra pensarla affatto così. A nostro parere, passo dopo passo, i ragazzi floridiani stanno costruendo la loro carriera nella maniera migliore, e lo show di oggi è un altro importante mattoncino.
(Maurizio Borghi)
LAMB OF GOD – 16.15-17.25
Provenienza: Richmond, Stati Uniti
Sito ufficiale
O il fonico é impazzito o qualcuno dello staff dei Lamb Of God ha preso posto in cabina di regia: i volumi durante l’esibizione del gruppo sono altissimi, vicini alla soglia del rumore, devastanti! Il tutto a discapito delle prime file, purtroppo, che invase dal tornado di decibel non hanno la percezione ottimale che hanno coloro che sono posizionati ad altezza mixer. Il gruppo non ha intenzione di fare prigionieri e lo chiarisce sin da “Desolation” e “Ghost Walking”, estratte dall’ottimo “Resolution”. Quando parte ‘il meglio del meglio’ della loro discografia potete ben immaginare la reazione dei pubblico astante, presente in maniera numerosa e decisamente agitato. Se Campbell è oramai un giovane Gandalf, Blythe si distingue per la chioma bionda e i rasta: cambia leggermente l’aspetto fisico, passano gli anni, ma il groove viscerale che i Lamb Of God riescono a trasmettere è pauroso, animalesco, primordiale. “Set To Fail”, “Now You’ve Got Something To Die For” e “Ruin” sono una tripletta da cui è difficile riprendersi, ma non ci sono spazi per respirare: ecco “Hourglass”, “The Undertow”, l’ottima “Contractor”. Le mazzate finali sono dispensate da “Redneck” e “Black Label”: lo scambio di energie tra band e pubblico è tale che pure Randy termina con uno stupito ‘Mamma mia!’, seguito da un estratto imbarazzante di “That’s Amore”. Ce ne hanno messi tanti di anni, ma finalmente i ragazzi di Richmond Motherfuckin’ Virginia hanno conquistato i metallari italiani!
(Maurizio Borghi)
BLACK LABEL SOCIETY – 17.55-19.05
Provenienza: Los Angeles, Stati Uniti
Sito ufficiale
Grande Capo vuole pranzo! Zakk Wylde si presenta sul palco del Gods Of Metal 2012 con il copricapo indiano pennuto, che di solito sfoggia Belladonna degli Anthrax, iniziando l’esaltante performance dei Black Label Society, come sempre fatta di decibel, distorsione, pelle e corde infuocate. Non c’è la birra ma chissenefrega: Zakk è in una forma fisica impressionante, come urlano i suoi bicipiti, e l’Order Of The Black ne è pienamente felice. Wylde è centro indiscusso dell’intera setlist e non ha bisogno di alcun discorso per domare la platea: bastano le sue bordate soniche e qualche cambio di chitarra per affascinare, anche se continuiamo a non capire il lunghissimo spazio lasciato ad un assolo ultra-distorto. Il numeroso pubblico accorso per Ozzy non può che apprezzare considerevolmente i quattro biker sul palco: anche chi ha in mano una bionda e in bocca un hot dog non può che tenere gli occhi verso il palco, alzando occasionalmente le vivande e mimando gli assoli del biondo-crinito chitarrista. Nel pit troviamo anche il bassista di Ozzy Blasko, che osserva divertito. Tanti avrebbero voluto versare un sorso di birra sull’asfalto per offrirlo simbolicamente al compianto fratello Dimebag Darrell sulle note di “In This River”, ma si arriva alla chiusura di “Stillborn” senza questo atteso siparietto, riservato alle esibizioni da headliner. Non so a voi che leggete, ma a chi scrive è venuta voglia di una bella birra gelata…
(Maurizio Borghi)
OPETH – 19.35-21.00
Provenienza: Svezia
Sito ufficiale
Gli svedesi Opeth sono attesi ad una prova difficilissima: inserirsi senza colpo ferire tra due mostri disumani del metallo mondiale quali Zakk Wylde e i suoi Black Label Society e i seguenti Amici di Ozzy + Ozzy Osbourne stesso. Davvero un esame quasi insuperabile, considerato anche che siamo arrivati al penultimo concerto di tutto il Gods Of Metal 2012 e, nonostante l’arena sia piena zeppa di gente, il pubblico mostra evidenti segni di stanchezza e cedimento. A sorpresa, comunque, Mikael Akerfeldt e compari tirano fuori dal cilindro uno show impeccabile e molto più vigoroso di quanto ci si aspettasse, utilizzando finalmente di nuovo il profondo timbro growl del cantante-chitarrista, che tanto ci era mancato nella data di novembre tenuta all’Alcatraz. Dopo un inizio dedicato prevalentemente all’ultimo nato e settantiano “Heritage”, il combo scandinavo è sceso nel passato della sua ormai lunga discografia, rispolverando pezzi di assoluto livello, “Demon Of The Fall” e “The Grand Conjuration” su tutti. Forse questo lieve back-to-the-roots non è servito completamente a svegliare i fan in attesa di Ozzy, ma per chi si aspettava di dormire per tutta la setlist, si sarà in parte ricreduto. Mendez, Akesson ed il tastierista Joakim Svalberg hanno ottimamente supportato la solita umoristica prestazione di Mikael, quest’oggi particolarmente fissato su ‘Eros Ramasotti, my idol’, mentre Martin Axenrot alle drums, pur facendo un ottimo lavoro, ha confermato le perplessità dovute alla sua ‘mano pesante’, soprattutto in occasione dell’esecuzione dei brani più recenti. In definitiva, comunque, un concerto più che positivo per gli Opeth, che ci hanno in un certo senso anche stupito. E mentre terminiamo questo report, le note di una serie di video di Ozzy stanno già partendo, con la massa metallara e rockettara in corsa rapida verso il Pit…
(Marco Gallarati)
OZZY & FRIENDS – 21.45-23.45
Provenienza: Regno Unito / varie
Sito ufficiale italiano
Mentre l’Italia calcistica si sta giocando la sua qualificazione alle semifinali degli Europei contro l’Inghilterra, il pubblico del Gods Of Metal si sposta dal fondo dell’arena, dove di fronte ad un televisore centinaia di persone assistevano al match, verso il palco, per presenziare all’ultimo show di questo lungo festival. Ozzy & Friends, in sostituzione dei Black Sabbath a causa della malattia di Tony Iommi, si apprestano a salire sul palco per uno spettacolo-evento con diversi special guest. Il megaschermo si accende ed ecco un video che ripercorre la carriera di Ozzy ad introdurne l’ingresso in scena con largo anticipo rispetto al programma. Si parte con una “Bark At The Moon” suonata dall’attuale formazione di Ozzy e con il Madman che palesa da subito qualche difficoltà con la voce. D’altronde, negli ultimi giorni, l’ultrasessantenne frontman dei Black Sabbath è stato costretto a rinunciare ad uno show e a ridurre la scaletta dell’Hellfest, a causa di uno stato di forma non ottimale. Ad ogni modo il pubblico, giustamente, non fa mancare il proprio supporto, accogliendo la successiva “Mr. Crowley” con un boato e cantandone a gran voce le strofe. Ozzy apprezza, ringrazia e, imbracciando come al solito un idrante, inonda le prime file. Ottima la prestazione strumentale della band, con il chitarrista Gus G. impegnato al massimo, probabilmente consapevole che da qui a poco lascerà il posto ad altri assi del calibro di Slash e Zakk Wylde. La prima parte di setlist dedicata all’Ozzy solista si chiude dopo “Shot In The Dark”, con le evoluzioni soliste di Gus G. e Tommy Clufetos su “Rat Salad”, primo brano dei Black Sabbath che viene proposto questa sera. Si parte quindi con gli ospiti di lusso: Blasko lascia il posto a Geezer Butler e Gus G. ad un acclamatissimo Slash, per una grandiosa versione di “Iron Man”, suonata magistralmente dall’ex chitarrista dei Guns N’ Roses, affiancato alla seconda chitarra da Adam Wakeman. Ozzy ora sembra aver scaldato meglio la propria ugola e prende meno stecche rispetto ad inizio show, anche se la sua prova resta lontana da quelle più convincenti delle ultime apparizioni in Italia. L’allarme antiaereo preannuncia una “War Pigs” da urlo, seguita a ruota da “N.I.B.”, prima dell’ingresso di Zakk Wylde al posto di Slash su “Fairies Wear Boots”. Accolto anche lui con entusiasmo dal pubblico, il carismatico frontman dei Black Label Society, e per anni al fianco di Ozzy, è autore della sua solita prestazione funambolica e carica di personalità. Nuovo cambio al basso: esce Geezer Butler, rientra Blasko e si torna su materiale solista di Ozzy con “I Don’t Wanna Change The World” e “Crazy Train”. Bellissimi i cori da stadio con cui il pubblico invoca a gran voce Ozzy tra un brano e l’altro, con lui che ripaga, come da copione, con secchiate d’acqua alle prime file. “Mama, I’m Coming Home” ci prepara all’ultimo atto: Slash, Geezer Butler e Zakk Wylde rientrano sul palco e, assieme a tutti gli altri musicisti, ci regalano il gran finale con l’immancabile “Paranoid”. Si chiude così una maratona metal durata ben quattro giorni e che proprio nella sua giornata conclusiva ha fatto segnare il maggior numero di spettatori, complice sicuramente il fatto che inizialmente avrebbero dovuto suonare i Black Sabbath in reunion. E proprio con la speranza di poter un giorno rivedere questi grandi classici suonati dal suo principale compositore Tony Iommi, ci uniamo alla massa che staziona di fronte ad un televisore per vedere il finale della partita dell’Europeo che, purtroppo per Ozzy, vedrà la nostra nazionale eliminare quella inglese ai calci di rigore.
(Alessandro Corno)
Setlist
– Ozzy (voce), Tommy Clufetos (batteria), Gus G. (chitarra), Blasko (basso) –
Bark At The Moon
Mr. Crowley
Suicide Solution
I Don’t Know
Shot In The Dark
Rat Salad
– Ozzy (voce), Tommy Clufetos (batteria), Slash (chitarra), Geezer Butler (basso) –
Iron Man
War Pigs
N.I.B.
– Ozzy (voce), Tommy Clufetos (batteria), Zakk Wylde (chitarra), Geezer Butler (basso) –
Fairies Wear Boots
– Ozzy (voce), Tommy Clufetos (batteria), Zakk Wylde (chitarra), Blasko (basso) –
I Don’t Wanna Change The World
Crazy Train
Mama, I’m Coming Home
– Ozzy (voce), Tommy Clufetos (batteria), Zakk Wylde (chitarra), Slash (chitarra), Geezer Butler (basso), Blasko (basso) –
Paranoid