GODS OF METAL 2016
02/06/2016 – Autodromo Nazionale di Monza – Monza
Running order:
Apertura porte: 10.00
11.00 – 11.25 OVERTURES
11.40 – 12.05 PLANETHARD
12.30 – 13.00 JEFF ANGELL’S STATICLAND
13.30 – 14.00 THE SHRINE
14.30 – 15.15 HALESTORM
15.45 – 16.30 GAMMA RAY
17.00 – 18.00 SIXX:A.M.
18.30 – 19.45 MEGADETH
20.15 – 21.30 KORN
22.00 – 24.00 RAMMSTEIN
Introduzione
Quattro lunghi anni di attesa, dal 2012 al 2016: tanto ci è voluto per veder rinascere il Gods Of Metal, la manifestazione heavy metal/hard rock più storicamente importante e conosciuta in terra italica. Dall’edizione fantasmagorica del 2012, quando si esibirono in quattro giorni Manowar, Guns ‘n’ Roses, Motley Crue e Ozzy & Friends, passiamo oggi, 2 giugno 2016, ad un’edizione in unica giornata con dieci band ad esibirsi. Inutile stare qui a commentare la decurtazione del giorno supplementare previsto fino a qualche mese fa, e le polemiche nate dopo le defezioni di Kiss e Down, avvenute per motivazioni completamente diverse. Ci vogliamo concentrare invece sul presente, per viverci al meglio questa dodici ore e passa di musica rock e metal, oltretutto in una location davvero bella e funzionale – non fosse solo per l’elevato chilometraggio da fare per accedere all’area concerti vera e propria: un ampio stralcio di terreno erboso, all’interno dell’Autodromo Nazionale di Monza, a sua volta contenuto nel maestoso Parco di Monza, è stata adibita a spaziosissima parterre rock, davvero degna, finalmente, di uno dei tanto ammirati festival estivi esteri. Speriamo più che altro che il tempo regga, in quanto le previsioni sono poco incoraggianti. Nel momento in cui scriviamo, la mattinata è instabile e nuvolosa, ma la temperatura è ideale ed il Sole fa ancora spesso capolino.
Due parole, infine, sul bill presenziante in questa edizione: Megadeth e Gamma Ray sono le uniche due compagini ascrivibili al 100% all’ambito metal tout-court, mentre con Rammstein e Korn entriamo in zona ‘mostri sacri del metallo alternativo e industriale’; inutile scrivere che, attualmente, i ragazzi di Berlino forniscano uno degli show più attraenti e spettacolari al mondo (rimanendo chiaramente nel campo di nostro interesse), mentre la band di Jonathan Davis si trova nel bel mezzo di una seconda vita, capace di campare di rendita ma anche di conservare uno zoccolo duro di diehard fan. I Sixx: A.M. forniranno probabilmente una performance energica, alla loro prima calata europea in assoluto (e quindi italica), così come gli Halestorm si confermeranno una realtà sicuramente valida. Curiosità, infine, per il primo poker di formazioni in running order, con Overtures e Planethard a tenere alto il bandierone italiano e Jeff Angell’s Staticland e The Shrine a cercare di farsi notare il più possibile.
Siamo un po’ in ritardo con la nostra tabella di marcia allo stand, ma ora ci siamo attrezzati in pieno e vi invitiamo a seguire il nostro report in diretta,, al solito corredato dalle foto della manifestazione.
Buona giornata, ragazzi!
(Marco Gallarati)
Crediti stand e report in diretta
Organizzazione e allestimento stand: Alessandro Corno, Luca Corbetta e Boris Nieli
Fotografie (band e pubblico): Francesco Castaldo
Report in diretta: Giovanni Mascherpa (Rammstein, Sixx: A.M., Gamma Ray, The Shrine, Planethard), Marco Gallarati (coordinamento, introduzione, Overtures, Jeff Angell’s Staticland, Megadeth), Maurizio Borghi (Korn), William Crippa (Halestorm)
OVERTURES – 11.00 – 11.25
Provenienza: Gorizia, Italia
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Purtroppo, causa ritardi nell’arrivo all’area concerti, dovuti al lungo percorso da compiere, al ritiro pass alla cassa accrediti e ai vari controlli dovuti superare prima dell’accesso allo spiazzo erboso, ci perdiamo mezza esibizione degli opener Overtures (un nome, un ruolo destinato!), band goriziana che propone un melodic power metal di discreta fattura con chiare influenze hard rock. I suoni non sono ancora perfezionati, anzi, e l’ambientazione open-air, con un vento moderato che infastidisce, non aiuta certo i nostri portacolori. L’afflusso è ancora limitato, ma la giornata sarà lunghissima perciò ci aspettiamo un buon pubblico. I venticinque minuti concessi agli Overtures, quindi, trascorrono in un lampo e si passa rapidamente a volgere lo sguardo attorno, studiando l’happening e quanto predisposto dall’organizzazione per vivere la giornata nel miglior modo. Peccato non poter dirvi di più sui friulani, ci scusiamo vivamente con loro.
(Marco Gallarati)
PLANETHARD – 11.40 – 12.05
Provenienza: Milano, Italia
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La vincono con il camaleontismo, i Planethard, la prova del Gods Of Metal. I primi slot sono un onore ma anche una mezza mortificazione, a volte, dato il poco pubblico presente e una certa pigrizia degli astanti nel seguire qualcuno che non conosce bene. L’act milanese la mette giù dura, mischiando chitarroni modern thrash a melodie fini di stampo progressive. I suoni ci fanno tirare un sospiro di sollievo, dignitosamente definiti e su volumi abbastanza alti, che non deprimono la botta di suono della formazione. Emerge la voce potente e cangiante di Alberto Zampolli, in palla fin dalle prime battute e ben coadiuvato dalle due seconde voci. A un’apertura fra il power e il prog alla Dream Theater fa presto seguito un’alternanza convincente di frangenti quadrati e massicci e scivolamenti nella delicatezza, ingentiliti da gorgheggi sottili e solismi di gran gusto. All’altezza di “This World”, terzo brano in scaletta, si alza l’asticella della durezza e chi è già bello sveglio può lasciarsi andare a un po’ di headbanging liberatorio. I musicisti sono sciolti, felici dell’occasione di suonare a un festival così importante, e se la giocano bene, muovendosi disinvolti per l’ampio stage senza segnalare alcun impaccio. Chiedono l’apporto vocale dell’audience in un paio di situazioni, sul singolo dell’ultimo album “Now”, rilasciato nel 2014, e sull’ultimo pezzo in scaletta, ricevendo in cambio un urlo apprezzabile in termini di decibel. Causa pit, il colpo d’occhio è un po’ sconfortante, tanti ragazzi seguono lo show dalle transenne delimitanti la zona VIP dal resto della venue: è un peccato, perché di vuoto vicino al palco ce n’è molto. Al termine del quinto brano, i Planethard salutano ringraziando per un supporto comunque discreto e una prestazione che complessivamente ha soddisfatto chi ha un minimo di amore per sonorità sì progressive, ma belle robuste.
(Giovanni Mascherpa)
JEFF ANGELL’S STATICLAND – 12.30 – 13.00
Provenienza: Seattle, Washington, USA
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Non capiamo l’utilità di chiamare band di siffatto calibro al Gods Of Metal. Questa la scriviamo subito in quanto, in definitiva, è il pensiero comune che avrà attanagliato i presenti all’esibizione degli Staticland di Jeff Angell. Nulla contro il terzetto di Seattle, sia chiaro, anzi: la sua performance è stata sufficientemente convincente e grintosa, fautrice di un rock blueseggiante e psichedelico, di Doorsiana memoria e ricordante anche i più moderni Christian rocker Collective Soul. Vocalizzi rochi e poco melodici, chitarre distorte in giri circolari e groovy ma mai troppo violenti, un drumming portante che ha saputo il fatto suo ed un elemento caratterizzante, la pianola elettrica, tenuta troppo in secondo piano in fase di mixing suoni; tracce di basso pre-registrate – non partite, peraltro, durante la prima canzone – hanno completato la line-up di un combo che ha avuto la possibilità di usufruire di un dieci minuti in più, avendo cominciato prima rispetto all’orario di marcia. Un pubblico ancora distratto, impegnato a bere e rifocillarsi oppure a prendere il Sole, ha seguito con minima attenzione l’onesto show degli Staticland, tributando loro la minima, ma convinta, dose di applausi meritata. Il beltempo benedice per ora il Gods Of Metal 2016 e rimaniamo in attesa dei prossimi The Shrine.
(Marco Gallarati)
THE SHRINE – 13.30 – 14.00
Provenienza: Los Angeles, California, USA
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Solo rock’n’roll. Soltanto rock’n’roll. Visceralmente rock’n’roll. Null’altro sono i The Shrine, dalla California, tre ceffi con dei bei baffoni ad adornar loro il volto. Basterebbe questo dettaglio fuori moda per identificarli e farci capire chi abbiamo davanti. Nessuna sorpresa, infatti, quando parte un hard rock stradaiolo, grezzo e imperlato di sudore, fomentato da un chitarrismo libero, selvaggio, perso in una corsa a perdifiato fra fumosi giri hard degli anni ’70 e quel coacervo di spumeggianti riff a presa rapida che era la prima NWOBHM. A fare da propellente, un certo ruggente disordine ignorante figlio del primo punk e, ogni tanto, qualche grammo di grasso in fuoriuscita dalle chitarre che fa tanto stoner/rock. Un’esibizione sguaiata, quella del power-trio statunitense, che con l’ultimo “Rare Breed” ha raggiunto una sua maturazione nel segno di una rivisitazione alcolica e grezzona del verbo dei Thin Lizzy, con tutte le variazioni di cui sopra. E gli omaggi alla band di Phil Lynott si sprecano e coronano di un pizzico di valore artistico, in aggiunta a quello rumoristico dato quasi per scontato, una prestazione non da annali ma vissuta con grande trasporto e divertimento. Gli assoli di chitarra sono effettivamente piuttosto pregevoli e carichi di feeling, la voce stonata e un po’ afona in questo contesto ci sta tutta e contribuisce a un giudizio cautamente positivo su una mezz’ora di fiero hard rock senza troppe pretese. Chi c’è si diverte, peccato che, come già detto, nelle vicinanze del palco ci sia più gente intenta a navigare sullo smartphone e a sonnecchiare piuttosto che a seguire il concerto.
(Giovanni Mascherpa)
HALESTORM – 14.30 – 15.15
Provenienza: Red Lion, Pennsylvania, USA
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Sono ormai le 14.30 ed a presentarsi sul palco del Gods Of Metal 2016 è la band guidata dai fratelli Hale da Red Lion, Pennsylvania, gli Halestorm. Lzzy ed Arejay si battono il cinque a bordostage prima di irrompere sulle assi sulle note di “Apocalyptic”, primo singolo estratto dall’ultimo album “Into The Wild Life”: il pubblico reagisce alla grande e il gruppo, Lzzy Hale in primis, si mostra carico e voglioso di ‘spaccare’, anche se, come di consueto, Josh Smith e Joe Hottinger si portano nelle retrovie per lasciare il giusto spazio alla ‘Bad Girl Of Rock’. Si prosegue con “Love Bites” e “Mz. Hyde”, che tengono alta la tensione. Buona parte del pubblico sorprende e mostra di conoscere alla perfezione i brani, cantando a gran voce, prima che il mood generale si tranquillizzi con “Amen” e “Scream”, brani formalmente più articolati e meno di impatto. “I Am The Fire” e “Sick Individual” portano allo scioccherello drum solo di Arejay Hale, per fortuna abbastanza breve. La potenza di “Mayhem” precede “I Get Off” dal debut. Lzzy gioca con la voce ed incita i fan a seguirla, fan che affaticano molto le corde vocali ma si divertono nel siparietto. Arriva anche il turno di “Freak Like Me”, al termine della quale, con disappunto da parte dei presenti, viene annunciata l’ultima canzone per oggi, “I Miss The Misery”, che in versione prolungata chiude il set. Grande successo per la band, che vince e convince, con la cantante sugli scudi, acclamata a gran voce. Spiace che in una setlist da dodici brani non abbiano trovato spazio le rinomate ballad della band, “Break In” e “I’m Not An Angel” su tutte, ma questo è comunque il Gods Of Metal e l’energia è più consona dei dolci sentimenti.
(William Crippa)
GAMMA RAY – 15.45 – 16.30
Provenienza: Amburgo, Germania
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Quando la tua band è in fase calante e stai andando stancamente verso la pensione, l’avvicendamento alla voce principale è una scelta dolorosa, ma in molti casi vincente. Allunga la vita, con buona pace dei nostalgici. Ecco allora che ascoltare al posto di Kay Hansen, che ormai interviene solo alle secondi voci e in pochissimi frangenti alle lead vocals, il vocione pulito di Frank Beck alza esponenzialmente il livello dello show. Libera da zoppie e incertezze e permette al gruppo di spingere deciso, indirizzandosi verso il materiale più energico e di impatto. La batteria rimane troppo secca e metallica per l’intera durata del concerto e si perde qualcosa anche nelle ritmiche chitarristiche, ma tutto sommato ciò non inficia l’apprezzamento di una performance che entra subito nel cuore dei presenti. Il power melodico alle latitudini italiane fa sempre breccia, “Heaven Can Wait” infiamma un pit finalmente quasi tutto in piedi e fa alzare battimani convinti, anche da parte di chi è rimasto un po’ intorpidito fino a questo momento. Quando poi arriva il ripescaggio ruffiano degli Helloween con “I Want Out” abbiamo le prime mischie, che non vanno a calare neanche quando arrivano canzoni più recenti come “Master Of Confusion”, suonata con impeto, voglia, la necessaria volontà di non fare solo del revival ma di essere ancora un nome che conta sulla scena. La risposta è davvero buona e un’ottima risposta la ricevono anche “Man On A Mission” e “Rebellion In A Dreamland”, a unire passato e presente in un unico, saldo, abbraccio d’acciaio. Chiude all’insegna della velocità e delle melodie sorridenti “Send Me A Sign”, salutata da un altro scroscio d’applausi, a tenere a bada per ora una pioggia scesa un poco durante i Gamma Ray ma che almeno per il momento non si è scatenata sul prato del Parco di Monza.
(Giovanni Mascherpa)