11/03/2025 - GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR + MAT BALL @ Estragon - Bologna

Pubblicato il 16/03/2025 da

Ci sono band, nel panorama artistico internazionale, che hanno incarnato nel tempo più di altre il ruolo di icone, portabandiera di generi e transizioni che hanno aiutato la musica a superare momenti difficili (vedi fine anni ’90) e portarla con successo a superare il cambio di millennio con spirito acceso, provocatorio e rivoluzionario.
Citare i Godpseed You Black Emperor! (il punto esclamativo si sposterà solamente in un periodo successivo della carriera all’interno del monicker) significa letteralmente citare la band post-rock per eccellenza, quella che più ha saputo dare una forma ed un contenuto al genere grazie proprio alla sua proposta paradossalmente priva di forma e contenuti precisi, ibrida, sperimentale, quando il termine ancora possedeva un carattere di ricerca e sperimentazione oggi ormai codificato e strettamente definito entro rigidi ranghi stilistici.
Non si può infatti dimenticare l’importanza fondamentale che l’ensemble canadese ha rappresentato anche per la musica drone, l’ambient, il noise, fusi insieme secondo un’alchimia misteriosa ed affascinante che pur avendo ispirato centinaia di nuove band, difficilmente ha trovato un degno erede e successore.
Padri assoluti di una scena da loro plasmata, i Godspeed You! Black Emepror hanno evoluto nel tempo la loro proposta con nuove atmosfere, nuove soluzioni, risvolti in carriera che dal fenomenale “F♯ A♯ ∞” in poi, ne hanno reso la discografia così variegata ed intensa, pregna di emozioni e sensazioni che la musica ha saputo descrivere più di mille parole, mai utilizzate dalla band se non sotto forma di monologhi ed interviste campionate.
A pochi mesi dall’uscita dell’ultimo “NO TITLE AS OF 13 FEBRUARY 2024 28,340 DEAD” (titolo emblematico, a modo proprio, riportante il numero dei morti nella striscia di Gaza in quella data) quindi, la notizia di un nuovo tour europeo ed una serie di date in Italia scuotono l’interesse dei vecchi, fedeli fan del combo canadese, così come la curiosità delle nuove generazioni che li hanno scoperti successivamente, portando così l’Estragon di Bologna verso un clamoroso sold-out, che vedrà mischiarsi giovani e più attempati ascoltatori uniti sotto l’insegna dell’amore e del rispetto verso gli otto artisti, capaci di portare sul palco le sensazioni più intime, viscerali ed universali dell’essere umano.
Vi lasciamo al racconto della serata, un susseguirsi di emozioni travolgenti e suite musicali dalla leggerezza eterea e dal peso schiacciante, da noi (e dal pubblico) vissute con la massima attenzione possibile, disposti con l’animo verso il viaggio ultraterreno che abbiamo intrapreso in quasi due ore che sono sembrate un momento, ma anche una vita intera…

Inaugurare una serata dal carico emotivo così imponente non è certo cosa facile, considerata soprattutto la qualità altissima manifestata dalla band principale in cartellone.
L’arduo compito spetta (forse non a caso) a MAT BALL, chitarrista canadese fondatore dei Big Brave e scafato musicista in attività solista da quasi dieci anni.
Il concetto artistico di Mat, basato sull’assenza di ritmo, lunghissimi feedback e distorsioni epiche annegate in riverberi infiniti, si sposa perfettamente con l’estetica dei GY!BE, e funge da introduzione perfetta al carattere sovraumano ed universale che andrà ad investire l’intero concerto di stasera.
Ball si presenta sul palco da solo, accompagnato solamente da due teste cassa dietro di lui ed una quantità indefinita di pedali per modificare, storpiare, maciullare il suono della sua chitarra verso dimensioni drone/noise non poi così rassicuranti.
La decostruzione ed il minimalismo regnano sovrani durante il suo set, capace di strutturare passo dopo passo un ineffabile sentimento negativo che si sprigiona potente dalle casse, spezzato talvolta da qualche passaggio meno convulso ad alimentare delle dinamiche interessanti durante lo svolgersi dei suoi brani.
Quaranta minuti di musica bastano al solitario chitarrista per mostrare la caratura del suo noise, prima di concludere su una trasognata improvvisazione insieme ad uno dei chitarristi della band madre, segno di approvazione e benedizione dei Godspeed verso questo fedele servitore della scuola ambient da loro stessi creata.

Dopo un cambio palco ben organizzato, veniamo introdotti da un drone monotono che invita all’atteggiamento contemplativo necessario per le due ore successive.
I GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR guadagnano il palco uno alla volta, aggiungendo i propri strumenti alla nota iniziale secondo un’indole progressiva che rientra appieno tra i trademark distintivi della loro musica: entra prima il contrabbasso, con i suoi gravi lamenti, poi le trame nervose del violino di Sophie Trudeau, prima che anche chitarre, batterie (due per la precisione, suonate in maniera sia alternata che contemporanea da due batteristi) e bassi irrompano sulla scena e raggiungano il climax necessario per l’esecuzione di “SUN IS A HOLE SUN IS VAPORS”, disteso brano di apertura dell’ultimo album da poco rilasciato.
In effetti, la creatura di Efrim Menuck non ha certo mai mostrato interesse verso autocompiacimenti di alcun tipo, e non stupisce che molti dei brani presentati stasera appartengano a ““NO TITLE AS OF 13 FEBRUARY 2024 28,340 DEAD”, ovvero la rappresentazione più recente e sincera degli otto musicisti di Montréal.
Si passa infatti con lieve delicatezza ai riverberi e le pause pregne di significato di “BABYS IN A THUNDERCLOUD”, brano dalla dinamica ascendente che finisce per infrangersi su un desolato binomio tra violino e chitarra semplicemente struggente, eseguito con abilità interpretative sbalorditive dai suoi esecutori, verso un finale travolgente salutato al suo termine da un boato pieno di entusiasmo da parte dell’Estragon.
La tracklist del recente disco viene rispettata ancora con la successiva “RAINDROPS CAST IN LEAD”, un’altra lunga composizione basata su atmosfere contrastanti e dotata di alcuni dei momenti più propriamente rock del concerto, grazie ai ritmi incalzanti dei batteristi e delle distorsioni più decise delle chitarre, sempre accompagnate dagli incantevoli interventi del violino che donano un carattere etereo ai movimenti. Sono le chitarre a mettersi in evidenza poi con gli accordi di “Fire At Static Valley”, intramezzo sospeso tra incubo e sogno, prima di concludere l’omaggio all’ultimo lavoro con un medley tra “PALE SPECTATOR TAKES PHOTOGRAPHS” e “GREY RUBBLE – GREEN SHOOTS”, estrapolando dalla prima la parte più tesa ed inquieta e dalla seconda il solenne finale che porta alla conclusione di questa prima parte di serata.

C’è ancora tempo però per un vorticoso salto indietro nel tempo, che ci porta direttamente ai primi anni Duemila di “Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven”, forse il più importante album della band canadese, che regala al pubblico bolognese una lacerante versione di “Chart #3” e “World Police And Friendly Fire”, sezioni del brano “Static”, dotate di mistero, dolore, desolazione e rabbia.
Il mood aperto e più speranzoso delle canzoni di “NO TITLE” lascia il posto ad un’inquietudine più sottile, profonda, che scava nell’animo e scuote la mente. Il ritmo aumenta, il brano assume velocità sempre maggiore, ed anche le visual sullo schermo, magistralmente dirette dalla zona mixer e rigorosamente proiettate in analogico su pellicola da 16mm, passano da immagini floreali e faunistiche ad incendi ed esplosioni, fino ad una reale bruciatura della pellicola a creare immagini psichedeliche e surreali.
Ancora suggestionati dalla coinvolgente esperienza audio/visiva, si viene lentamente trascinati verso l’ultimo atto del rituale, in cui le note di “The Sad Mafioso”, segmento miliare del primo ed insostituibile “F# A# ∞”, aprono squarci insanabili nella memoria degli ascoltatori più grandi presenti in sala. Quattro note, dilatate, sparse nel tempo, sorrette dapprima dalle inquietudini esistenziali degli archi, poi affiancate dai fraseggi di un’altra chitarra, infine accompagnate dal beat blando della batteria, in un continuo crescendo emozionale, sempre più bello, sempre più insostenibile. Ci si sofferma ancora su di un ultimo arpeggio, prima che entrino le distorsioni e si arrivi rovinando a toccare il cielo, a toccare il fondo.
Non rimangono note alla fine, ma solo un denso, pesante loop iperstratificato, che verrà gradualmente abbattuto da Mauro Pezzente, bassista e secondo membro storico del collettivo canadese, secondo un processo destrutturante che suggella il definitivo trionfo dei Godspeed You! Black Emperor sul suolo bolognese.
Menuck parla da sempre di ‘speranza’ come motore primo del suo progetto, e vedere un locale come l’Estragon ricolmo di gente di ogni età, parimenti sconvolta dalla bellezza della musica e dell’Arte (sì, quella con la A maiuscola), non può che darci speranza circa un futuro migliore, almeno musicale.

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