Report di Simone Vavalà
Foto di Simona Luchini
Vent’anni (e poco più) di onorata carriera alle spalle, un successo crescente e soprattutto un’evoluzione stilistica continua hanno fatto dei Gojira una delle più solide realtà ‘moderne’ del metal. Magari troppo trasversali e piacioni, se così si può dire, per molti, ma l’impatto e l’onestà della band francese sono indiscutibili.
E non a caso premiati dai numeri: il sold-out è solo sfiorato, questa sera, ma il pubblico è numeroso e partecipe, come in occasione di ogni calata dei quattro sodali. Come aperitivo due band non proprio notissime, che comunque tra luci e ombre riescono a scaldare il pubblico prima che il palco, letteralmente tappezzato di ampli, con la ieratica postazione rialzata per dare il giusto spazio alla tellurica batteria di Mario Duplantier, diventi il terreno di battaglia di questo monstrum a quattro teste.
Tocca agli URNE aprire le danze questa sera e il trio inglese non delude. Rispetto a quanto sentito su disco, il loro sound prettamente sludge, con non poche cessioni al lato più oscuro e funereo del genere, assume un impatto molto più intenso e ritmato dal vivo; viene facile pensare che avere Joe Duplantier come sponsor, ma anche come produttore del nuovo, imminente disco abbia contribuito a trasformare in parte gli Urne in una band più quadrata, a tratti glaciale, decisamente con buon esito.
La distanza siderale tra i tre componenti della band, determinata dal palco decisamente vasto, con la batteria relegata in un angolo, lascia inizialmente interdetti, ma gli ci vuole poco a riempire gli spazi di onde sonore potenti e marce, in cui anche la loro sotterranea componente metalcore trova buona espressione. Joe Nally riesce ad avere discreta varietà vocale, senza affossare pezzi che vivono di ritmiche assillanti e incalzanti, che in certi momenti ci fanno pensare persino a degli High On Fire in salsa più pulitina.
Per i CONJURER, purtroppo, vale praticamente il discorso opposto. Detto che l’alveo musicale è simile, quindi potenzialmente c’erano tutte le carte per un concerto coinvolgente, o quantomeno dotato di potenza, la forza del quartetto di Rugby si esaurisce quasi sempre entro le prime otto battute di ciascun brano.
Non solo è discutibile se esista una direzione musicale chiara e consapevole, con avvii in salsa Pantera che appunto diventano presto anonimi brani groove metal di serie C, ma soprattutto pesa l’assenza di qualsivoglia dinamica; i brani proposti questa sera, almeno sul palco, suonano tutti uguali, con segmenti appiccicati ad alternare scuotimenti di testa poco convinti e noia totale. E a conferma della quasi totale asimmetria rispetto ai loro predecessori, anche la prestazione vocale è piatta, votata solo a urla senza troppa varietà. Decisamente rimandati, e forse sarebbe una buona idea invertire l’ordine di esibizione delle band di supporto.
Sono le 21:50 quando nel buio della sala inizia a diffondersi il crescendo di “Ocean Planet” e un sole sorge grazie alle proiezioni – immaginifiche e bellissime per l’intera serata – alle spalle della batteria.
L’impatto sonoro dei GOJIRA è veramente strepitoso, ma ormai questo non stupisce: i quattro francesi sanno come mettere in scena un grande show, alternando momenti di staticità che acuiscono la potenza dei brani, e occasionali ‘visite’ di Joe al piano superiore e al fratello Mario. Sono ovviamente loro due i veri mattatori della scena, pur senza nulla togliere agli eterni sodali Christian e Jean-Michael, perfettamente funzionali al suono della band.
Grazie a una scaletta ben studiata, che mette in primo piano il recente “Fortitude” e, pur trascurando i primi due dischi, percorre efficacemente la storia della band, viene fugato qualsiasi dubbio sull’evoluzione dei Gojira: una band progressive nel senso più classico del termine, cui non servono assoli di venti minuti o passaggi intricatissimi per essere tale. Elementi che pur non mancano, a partire dall’assolo di batteria con cui Mario Duplantier celebra anche il suo compleanno con i fan italiani, e come sempre colpisce l’ingegnosità e la potenza messe in luce con un set, tutto sommato, scarno, mentre pezzi come “Flying Whales”, “Born For One Thing” o “Amazonia” esprimono al meglio la loro intelligenza compositiva, e anche l’attenzione a temi elevati.
A tal riguardo, appena arrivati all’Alcatraz abbiamo notato la presenza di un banchetto di Sea Sheperd, verso cui i Gojira non hanno mai nascosto vicinanza, così come in generale nei confronti dei temi ambientalisti e animalisti. Tra i momenti di più alto coinvolgimento, citiamo sicuramente “Another World”, brano incalzante ed euforico, accompagnato da un bellissimo visual animato che unisce il tratto di Moebius e citazioni da “Il Pianeta delle Scimmie”, sebbene traslato in terra di Francia; e ancora “The Chant”, con i cori a squarciagola del pubblico, decisamente felice per questi ottanta minuti di vera e propria festa musicale.
Una festa con anche fumo, strobo e coriandoli, ma è la sostanza a far grandi i Gojira, non gli orpelli.
Setlist Gojira:
Ocean Planet
Backbone
Stranded
Flying Whales
The Cell
The Art Of Dying
Drum Solo
Grind
Another World
Born For One Thing
L’enfant Sauvage
Oroborus
The Chant
Amazonia
Silvera
Vacuity
URNE
CONJURER
GOJIRA