Report a cura di Valentina Mevoli
Fotografie di Francesco Castaldo
A un anno esatto dalla pubblicazione di “Magma” e dall’ultima loro sosta a Milano, tornano all’Alcatraz i Gojira per un nuovo show da headliner. È la quarta volta in dodici mesi che la band francese fa tappa in Italia, l’ultima a dicembre a Bologna in apertura degli Alter Bridge, a dimostrazione che la formazione d’Oltralpe ormai è garanzia di interesse e partecipazione da parte del pubblico. È con innegabile curiosità che guardiamo allo show di questa sera: l’8 giugno dello scorso anno, infatti, mancavano pochi giorni all’uscita dell’ultima release, un disco che per molti ha segnato una svolta nella carriera musicale dei francesi di Bayonne. Oggi, a distanza di un anno, abbiamo l’opportunità anche a Milano di assaporarlo con un gusto ormai più allenato e assuefatto e ci domandiamo se quei fan che all’epoca della sua uscita l’avevano trovato un lavoro troppo semplificato rispetto ai precedenti vorranno tornare per sperimentare di persona il suo impatto dal vivo. Tuttavia, ci sembra importante segnalare che in contemporanea, al Magnolia di Segrate, c’è l’In.Fest, evento che propone fra gli altri Architects, Of Mice And Men e Every Time I Die. Qui all’Alcatraz, invece, ad aprire la serata ci sono i The Raven Age, anche loro ormai habitué dei palchi italiani.
THE RAVEN AGE
Un improvviso acquazzone ci sorprende per strada, arriviamo all’Alcatraz qualche minuto dopo le 20. Lì scopriamo che i The Raven Age hanno iniziato con un quarto d’ora d’anticipo, pertanto riusciamo ad assistere solo a una manciata di brani della band inglese. La formazione capitanata da George Harris, figlio del ben più noto Steve, è sicuramente già conosciuta dai fan degli Iron Maiden, non tanto per questioni di legami di parentela, ma perché in più occasioni ha avuto il compito di scaldare il palco della band del genitore. Inoltre, proprio lo scorso marzo, ancora una volta è stata in Italia ad aprire per gli Anthrax. Sicuramente questi ragazzi hanno grinta, si muovono sul palco con disinvoltura e sanno come interagire con il pubblico. Tuttavia la loro proposta è solo godibile ma non indelebile. Un melodic metal con influssi alternative e heavy infarcito di tanti, moltissimi echi e citazioni. Hanno solo un disco all’attivo, “Darkness Will Rise”, pubblicato proprio a marzo 2017, quindi è su quello che prende prevalentemente forma la scaletta proposta. Il pubblico non è numeroso, l’Alcatraz è in formato palco piccolo. Sebbene la nostra sensazione sia quella che il quintetto londinese sia ancora un po’ troppo acerbo per calcare palchi internazionali, chi è presente in questa occasione e presta attenzione al loro show non va in delirio, ma sicuramente si diverte.
GOJIRA
Eleganza, precisione, sincronia, queste sono le prime parole che vengono in mente per descrivere l’inarrestabile fenomeno Gojira. Nonostante si sia ben lontani da un pienone, con l’Alcatraz diviso a metà dai tendoni e un palco in forma ridotta, l’attesa e l’emozione per lo show del quartetto francese rimangono comunque alte e ben palpabili nell’aria. Con l’abbassarsi delle luci e l’inconfondibile incipit di “Only Pain” siamo subito catapultati in un dimensione intimista, il contorno cessa di esistere e l’unico scambio con l’esterno avviene attraverso la potenza delle note che si susseguono con armonica, eppure chirurgica, precisione. L’impatto scenico è forte in una scelta di luci ed effetti di fumo che, nella loro essenzialità, riescono ancora di più a fare leva sull’effetto emozionale dell’insieme. La voce di Joe Duplantier è calda e graffiante, espressione in una dicotomia che si muove fra rabbia e imperturbabilità. Rispetto al 2016 la setlist, come previsto, dà più ampio spazio ai brani dell’ultimo “Magma”. La combo “Silvera” – “Stranded” si riversa carica di pathos su un pubblico ormai completamente ammaliato. Mario, il più giovane dei due fratelli Duplantier, da dietro le pelli fa un lavoro di straordinaria minuzia, che va a scandire e, per quanto possibile, potenziare il suono del basso del sempre ammirevole Jean-Michel Labadie. I quattro di Bayonne sono così concentrati e immersi nella loro esecuzione che sembrano la personificazione dei loro stessi suoni. Su “Flying Whales” dall’album “From Mars To Sirius” il pubblico esplode. È sorprendente la potenza energetica che si sprigiona in tal momento. Duplantier Sr. riemerge dalla sua musica solo saltuariamente, lo fa per ringraziare i fan e l’Italia, per dirci quanto ami il nostro cibo (sbalorditivo, se si pensa che a dirlo sia un francese), per accertarsi che i suoni siano quelli giusti, ma poi, candidamente, ammette di non aver nulla da dire e che preferisce che sia la musica a parlare per loro. “The Cell” e “Backbone” riassumono benissimo in sé l’essenza del concerto: un concentrato di incredibile tecnica che, tuttavia, sfugge da inutili manierismi per andare a consolidare l’aspetto viscerale dell’incontenibile eruzione che è la musica dei Gojira. L’assolo di batteria di Mario ci traghetta verso i suoni più dilatati e avvolgenti di “The Shooting Star” che, nonostante all’epoca della sua presentazione come singolo spaccò l’opinione dei fan in due, stasera sembra ormai essere largamente apprezzata, almeno dalla platea dell’Alcatraz che ne canta tutte le parole. Una nuova sferzata di adrenalina però non tarda ad arrivare: “Toxic Garbage Island” è un tripudio di riff tiratissimi, cambi tempo e suoni sincopati. Velocemente scivoliamo verso la conclusione della serata. Trova ancora spazio l’assolo di Joe Duplantier, che introduce “Pray” e, in un attimo è già il momento dell’encore. Sulle ultime note di “Vacuity” a noi non resta che ritornare alla realtà, riemergendo da un’esperienza che ha un po’ il sapore di un’ipnosi collettiva: in cui, sebbene ciò che abbiamo ascoltato sia stato uguale per tutti, ognuno di noi si porta a casa la consapevolezza di aver sperimentato e riscoperto emozioni e sensazioni uniche e personali.
Setlist:
Only Pain
The Heaviest Matter of the Universe
Silvera
Stranded
Flying Whales
The Cell
Backbone
L’Enfant Sauvage
assolo di batteria
The Shooting Star
Toxic Garbage Island
assolo di chitarra
Pray
Encore:
Oroborus
Vacuity