Report a cura di Giovanni Mascherpa
Nei due anni trascorsi da “Au Cabaret Vert”, i Goodbye, Kings hanno messo in fila una discreta serie di concerti, che ne hanno plasmato sotto una forma più personale idee di partenza già pendenti verso una concezione piuttosto anomala del post-rock. Per presentare nei dovuti modi il nuovo “Vento”, nella settimana della sua pubblicazione l’ensemble milanese si offre a fan e curiosi in un release party di ampio respiro, preparato per essere un evento unico e che potesse mostrare i Goodbye, Kings nella loro veste più splendente e pregiata. Così, in un freddo sabato sera novembrino il sestetto, coadiuvato da alcuni ospiti, ci fa immergere nelle tenui atmosfere del nuovo album, concentrato emozionale di cui risulta difficile fare a meno una volta che si è imparato ad assaporarne i mutevoli sapori.
I refoli d’aria di “Shurhuq”, traccia interamente pianistica di “Vento”, qui solo registrata, introducono all’esecuzione pressoché integrale del full-length appena edito. Il centinaio di persone presenti si raccoglie attorno al palco con molta calma, la stessa evocata dai primi tocchi compiti sulla chitarra. Gli altri musicisti si accomodano alle rispettive postazioni dopo qualche minuto, su uno stage affollato di strumentazioni. Due batterie, un set di tamburi davanti all’ampio corredo di tastiere, sintetizzatori gestiti da uno dei chitarristi, una chitarra classica che sarà imbracciata a più riprese durante l’esecuzione. Fiorisce gradualmente “How Do Dandelions Die”, ghermisce di soppiatto. In questo sospirare sempre più coeso degli strumenti, apprezziamo un amalgama privo di tentennamenti, la sicurezza nel procedere di chi conosce perfettamente lo spartito e sa integrarsi al meglio coi compagni. La musica dei Goodbye, Kings, fatta più di assonanze che di contrasti, ma forte comunque di un corredo emotivo profondo e variegato, fluisce potente, particolareggiata, con una tale continuità e trasporto da rendere quasi fuori tono gli applausi e gli incitamenti. Il bombardamento di “Fujin vs. Raijin” ostenta un’identificazione col post-metal dei Cult Of Luna prima solo accennata, utile grimaldello per qualche necessario colpo di headbanging in un set altrimenti sbilanciato su incastri dolci e ambientazioni soffici, caleidoscopio di biancori e azzurri celestiali, se non di grigiori lucenti. L’abbondanza di arrangiamenti non sfocia in sovrapposizioni inutili, le aggiunte e le sottrazioni caratteristiche del dipanarsi placido ma vivace dei concepimenti del gruppo hanno una riuscita enfatizzazione durante il concerto, quando alcuni ricami un po’ sottotraccia su disco hanno qui adeguato spazio di manovra. Se il pianoforte, e alcune sue combinazioni in particolare, è il motivo di più facile richiamo anche per i meno attenti nell’uditorio – invero, la proposta non si presta di per sé a un ascolto disimpegnato – le protuberanze chitarristiche assumono sovente una tempestosità di tutto rispetto. Il battimani generoso in conclusione delle tracce del secondo album dà un segno tangibile dell’apprezzamento ricevuto, al termine di un crescendo emotivo che nulla ha da invidiare a compagini post-rock più esperte e rinomate. Una piccola pausa serve ai ragazzi per sincronizzarsi sulla seconda porzione di set, dove sono alle prese con tre estratti di “Au Cabaret Vert”. Seppure più classico nell’impostazione e colmo di filamentosi fraseggi in alcuni casi assimilabili a certo shoegaze, anche il trittico conclusivo dà grosse spallate ai primi segni di intorpidimento dell’audience, un poco provata dall’ora tarda e dall’intensità della performance. Sempre suggestivo, in questo caso particolarmente secco e veemente, il tribalismo urbano di “A Crack Of Light Will Destroy This Comedy”: uno alla volta gli strumenti vengono abbandonati e in contrasto al loro silenzio sono i tamburi a farsi largo, sempre più forti, fino all’impressionante big-bang di chiusura. È raro che una formazione con una storia così breve alle spalle abbia l’ardire di suonare per due ore filate, completamente al centro dell’attenzione. L’ottima resa dell’esibizione del Lo-Fi ci pare abbia ampiamente giustificato la scelta, fungendo da ideale compendio e rivisitazione live di quanto “Vento” promana dal cd.
Setlist:
Shurhùq (intro)
How Do Dandelions Die
Fujin vs. Raijin
The Tri-state Tornado
12 Horses
If Winter Comes…
The Bird Whose Wings Made The Wind
Ototeman
Memoire
A Crack Of Light Will Destroy This Comedy