Report a cura di William Crippa
Fotografie di Francesco Castaldo
Arriva a Milano il tour celebrativo per il venticinquesimo anniversario dei Gotthard, con la band forte di un nuovo grandioso album, “Silver”, da presentare dal vivo. Certo, dal 1992, anno di formazione del gruppo, molta acqua è passata sotto i ponti, ed oggi i Gotthard sono decisamente diversi da quelli che venticinque anni fa presentavano le varie “Firedance”, “Standing In The Light” e le inossidabili “Angel” e “Hush”, ancora oggi cavalli di battaglia dal vivo; ma lo spirito, la voglia di ribalta, la fame di consensi da parte dei fan, sono ancora gli stessi. Per questo tour c’è una novità annunciata, ovvero la presenza dietro le pelli della batteria del drummer degli Helloween, Dani Loble, a sostituzione di Hena Habegger bloccato a casa da non meglio precisate condizioni di salute non ottimali. A supporto degli svizzeri, ecco i danesi Pretty Maids, che i venticinque anni di carriera li hanno festeggiati molto tempo fa (sono ormai trentasei per Ronnie Atkins e compagni!) e che recentemente hanno pubblicato l’ennesimo capolavoro, “Kingmaker”, album splendido. Al nostro arrivo troviamo il locale nella sua conformazione a metà, ancora scarsamente popolato, con il palco B già allestito; sono da poco passate le 19.30 quando le luci si abbassano a sorpresa, visto che anche sui cartelli appesi di fronte alla cassa venivano specificate le 20.00 come orario di inizio.
PRETTY MAIDS
Giù le luci per l’ingresso sulla scena dei Pretty Maids, che tornano in Italia dopo l’esibizione ormai lontana al Frontiers Rock Festival 2014. In largo anticipo rispetto all’ora indicata in precedenza, le 20.00, ecco alle 19.35 partire dagli speaker l’intro di “Mother Of All Lies”, accolto alla grande da chi è già nel locale. Da subito colpisce in negativo l’ugola di Ronnie Atkins, stasera decisamente sotto tono dopo una forte influenza, ma ai fan questo sembra non interessare particolarmente, visto che immediatamente regalano calore ed affetto come se fossero di fronte alla band al 100% delle proprie capacità. Una coppia di bordate dall’ultimo “Kingmaker”, la title track e “Face The World”, mostra tutta la bontà della nuova fatica discografica, ed i ragazzi in prima fila, un gruppo di bulgari con tanto di bandiera d’ordinanza, saltano e strillano cantando ogni singola parola dei testi. Un grande party anni ’80, anche se di mercoledì sera, ecco quello che Ronnie promette al pubblico lanciando “Rodeo”, dal seminale “Future World” uscito ormai trent’anni fa, preceduta al solito da una piccola frazione di “Another Brick In The Wall”, scatenando una grande gioia nella venue; l’Alcatraz è conquistata completamente ormai, e la recente “Bull’s Eye”, così come la grandiosa “Little Drops Of Heaven”, aggiunge benzina al fuoco che sta incendiando il locale. Ottimi i suoni ed ottima la prestazione strumentale della band, con l’inossidabile ed iconico Ken Hammer sugli scudi; purtroppo la voce di Ronnie sarà assente fino alla fine, ma il cuore che il cantante mostra continuamente tappa, anche se solamente in parte, la falla. Un momento per scherzare con i fan, soprattutto con i ragazzi bulgari in prima fila, con Atkins che mostra di conoscere bene l’idioma in questione, prima di ripartire verso il gran finale; “Back To Back” (che molti fan conoscono nella versione degli Hammerfall) e “Red, Hot And Heavy” aprono alla doppietta finale composta da “Love Games” e “Future World”, che chiudono un set esplosivo apprezzato da tutti i presenti, con i Pretty Maids che scendono dal palco acclamati a gran voce.
GOTTHARD
Giungono le 21.10 e l’Alcatraz, anche se nella sua conformazione a metà, si mostra ormai completamente pieno; il palco degli headliner è in piena luce, svettano colate d’argento sugli amplificatori ed una grande scritta tridimensionale ‘Silver’ si trova ai piedi della batteria. In leggero ritardo parte un intro composto da spezzoni dei più grandi successi dei Gotthard assemblati, per lasciare spazio a Nic Maeder che si presenta da solo sul palco armato di chitarra eseguendo “Silver River”, per essere seguito poi dal resto della band sulle note di “Electrified”. Giusto un attimo per presentare Dani Loble, batterista degli Helloween ospite per questo tour dopo i problemi di salute che hanno bloccato a casa Hena Habegger, ed ecco che viene annunciato un classico; “Hush”, potente e tremendamente rock, arriva dopo qualche spezzone da “Smoke On The Water” e “Satisfaction”. Il singolone “Stay With Me”, cantato da tutto l’Alcatraz, è la prova tangibile che il nuovo album non solo è stato assimilato dai fan, ma è anche molto apprezzato; un coro si alza ed è all’indirizzo di Leo Leoni, che armato di distorsore vocale dà il via alla poderosa “Mountain Mama”. Il frontman rimane da solo on stage armato di chitarra acustica e si prende un momento per scherzare con i presenti, raccontando la genesi del brano che seguirà, “Remember It’s Me”, concludendo la storia con la raccomandazione a non dedicare mai una canzone ad una donna arrabbiata. Questa sera i suoni sono davvero ottimi e la band suona davvero alla grande, complice l’ospite alla batteria, davvero di livello superiore; sorprende la coesione che Dani Loble mostra con i temporanei compagni, con i quali scherza ed interagisce come se suonasse nei Gotthard da sempre; e ciò viene alla luce nel segmento che segue “Feel What I Feel”, con l’Helloween che si mette a suonare con le bacchette il basso di Marc Lynn durante il solo del bassista, con grandi risate da parte del pubblico. “Sister Moon” ed una tamarrissima versione di “What You Get” aprono ad un solo di Ernesto Ghezzi, necessario per guadagnare tempo per allestire il palco per il segmento acustico. Leoni annuncia un viaggio lungo venticinque anni ed attacca “One Life One Soul”, per la grande emozione del pubblico; una meravigliosa “Let It Be” prende il posto di “Tell Me” per un risultato altrettanto toccante, ed al solito splendida è “Angel”, ma è con “Heaven” che si tocca il climax emozionale. Fortunatissima è tale Claudia, che viene fatta salire sul palco dal pubblico per ballare con Nic durante “Miss Me”, per un risultato più comico che elegante a dire la verità; è tempo che anche le chitarre si mettano in gioco con un assolo, e Freddy e Leo si sfidano in un gioco di assoli che si prolunga dopo “Firedance”. La setlist è davvero lunghissima e trovano spazio anche “Top Of The World” e “Lift U Up”, al termine della quale un assolo di batteria manda lo show in pausa. Si riprende con gli auguri di buon compleanno a Loble, con il coro ‘paga da bere’ che riempie il locale, prima della cover dei Beatles “Come Together” e “All We Are”, che portano ad una ulteriore pausa. “Anytime, Anyway” porta al gran finale di questa celebrazione per i venticinque anni della band, con una torta che spunta dal nulla e viene tirata in faccia al batterista accompagnata dal coro ‘happy birthday to you’ da parte dei fan, per una conclusione di serata davvero spettacolare. Andandocene, una sola domanda ci attanaglia: non era forse il caso, celebrando un così importante anniversario, di ricordare chi è stato il frontman della band per diciotto anni (un solo riferimento sfuggente da parte di Leo Leoni prima di “Heaven” e nulla altro)? Ma forse stasera era più forte il desiderio di fare festa, e festa è stata.