A cura di Alessandro Corno
Foto a cura di G.A.
Dopo lo scorso novembre, ecco un altro mese di fuoco in quanto a concerti, almeno se consideriamo Milano. Incredibile infatti il sovraffollamento di date in questo periodo, con gli show di Grave Digger, Kreator, Dragonforce, Children Of Bodom, Saxon, Soulfly e altri ancora, tutti ammassati nell’arco di venticinque giorni. In un periodo di crisi economica come questo, non si può certo pretendere che l’affluenza sia delle migliori in tutte queste date e a farne le spese per primi sono stati i Grave Digger, che, sebbene come sempre autori di un’ottima prestazione, hanno suonato di fronte ad un Rolling Stone mezzo vuoto. In questo senso, non devono essere stati d’aiuto il pessimo tempo e i due gruppi di supporto. I Taletellers non li conosceva quasi nessuno, mentre i ben più noti Alestorm non hanno certo guadagnato molti fan, vista la prestazione incolore che hanno offerto. Si aggiunga anche l’insolita assenza di merchandising ufficiale e si capirà come questa serata sia stata salvata solo dallo Scavafosse tedesco, una band che, nonostante gli anni, dimostra sempre di essere uno dei gruppi storici heavy metal più in forma quando si tratta di calcare le assi di un palco.
TALETELLERS
In pochissimi sono di fronte al palco quando i Taletellers iniziano il loro show. La giovane band tedesca, con all’attivo un solo full length intitolato “Detonator”, è in effetti praticamente sconosciuta e cerca di farsi valere con un heavy metal misto hard rock molto semplice, diretto e ottantiano anche nel look. La prestazione del quartetto è discreta, sia come esecuzione che come tenuta del palco, ma i pochi pezzi proposti questa sera sono qualitativamente discontinui, e si passa da episodi efficaci come “Ride The Peril” o “Kings Of Death” ad altri abbastanza scontati, dove le idee sembrano latitare, come “Bad Motherfucker”. I suoni abbastanza confusi non sono certo d’aiuto. La mezzoretta scarsa a disposizione dei quattro ragazzi volge presto al termine e il cantante italo-tedesco Alan Costa ringrazia i fan italiani che non fanno comunque mancare il loro supporto. Non hanno impressionato, ma hanno dato l’idea di un gruppo già affiatato che deve però lavorare sul songwriting.
ALESTORM
Non c’è dubbio sul fatto che gli Alestorm siano stati spinti parecchio dalla Napalm Records, la quale, giocando d’astuzia anche sulla loro immagine piratesca, li ha inseriti nell’arco di due anni in altrettanti tour europei, prima con i Tyr e ora con i Grave Digger. Rivoluzionati come formazione, con Dani Evans passato alla chitarra e l’arrivo del bassista Gareth Murdock, i quattro folk-power metaller scozzesi entrano in scena con “Over The Seas”, traccia d’apertura di “Capitain Morgan’s Revenge”, il loro album di debutto uscito lo scorso anno. Da subito si capisce che qualcosa non va. I suoni sono sbilanciati, con il rullante della batteria troppo alto come volume, la voce troppo bassa e la chitarra che si perde nel frastuono generale. “Leviathan”, dall’ultimo omonimo EP, soffre gli stessi problemi di audio, ai quali si aggiunge anche una prestazione strumentale in più occasioni imprecisa. I ragazzi sono giovani e ancora un tantino timidi, soprattutto il paffuto chitarrista. Il magrissimo cantante Christopher Bowes è invece il più disinvolto ed è anche un personaggio simpatico con la sua keygtar a tracolla, una voce roca proprio da bucaniere, una mimica facciale tutta sua e una figura alla Poker D’Ossi (ve lo ricordate nel mitico “Bomber” con Bud Spencer?). “Nancy The Tavern Wench” riesce decisamente meglio per via dei suoi ritmi più rilassati e per l’atmosfera da beergarden. Il pubblico infatti applaude, ma è evidente che il gruppo stasera non è in forma. Seguono “Wenches And Mead” e “Huntmaster”, dove la sezione ritmica perde qualche colpo sulla parte più tirata. I quattro vanno avanti comunque e, dopo “Set Sail And Conquer”, chiudono con “Capitain Morgan’s Revenge”. Una prestazione dunque abbastanza scarsa per una giovane band che può fare di meglio e dalla quale ci si aspettava decisamente di più. Da rivalutare in un’altra occasione, magari con alle spalle un po’ più d’esperienza e una formazione assestata.
Setlist:
Over The Sea
Leviathan
Nancy The Tavern Wench
Wenches And Mead
Huntmaster
Set Sail And Conquer
Capitain Morgan’s Revenge
GRAVE DIGGER
Una scenografia minimale, fatta di un solo telo sul fondo del palco e qualche luce aggiuntiva alle spalle dei musicisti, fa da cornice all’ingresso dei sei Scavafosse sulle note della nuovissima intro “The Gallows Pole”. I fan presenti non sono molti ma, al grido “Digger, Digger!”, accolgono la band con grande entusiasmo e, all’irrompere di “Ballad Of A Hangman”, titletrack dell’ultimo disco, scatenano immediatamente un pogo devastante. Il pezzo dal vivo rende parecchio e il ritornello viene intonato a gran voce dai presenti, così come per la successiva “Valhalla”. Da subito evidente la presenza del nuovo arrivato Thilo Hermann, ex-chitarra dei Running Wild, finalmente ritornato in un’altra band che ha fatto la storia del metal teutonico. Il chitarrista si integra a meraviglia con Manni Schmidt, in certi casi alternandosi nei soli, in altri con delle belle armonizzazioni. Il protagonista però resta Chris Boltendahl, magro come un chiodo, grigio di capelli, ma sempre dannatamente in forma sia nel cantare con la sua voce più unica che rara che nell’incitare i fan. Segue “Hell Of Disillusion”, un altro estratto dell’ultimo bel lavoro, che il pubblico sembra aver apprezzato parecchio a giudicare dalla partecipazione. A ruota la vecchia “Wedding Day”, purtroppo il solo pezzo da “The Reaper”, e la grandissima “Lionheart”, sostenuta da una sezione ritmica impeccabile e a dir poco devastante come impatto. La tensione cala parecchio con la più pacata “Silent Revolution”, unico brano preso dal penultimo e abbastanza debole album “Liberty Or Death”, ma ci pensa un altro pezzo di “Ballads Of A Hangman”, “Stormrider”, a rialzare il livello. Chris non perde occasione per ringraziare i presenti e annuncia “The Last Supper”, seguita dalla bomba “Headbanging Man”, che scatena il marasma a centro platea. Lo show scorre con ritmi serrati e i diciotto pezzi in scaletta vengono riproposti quasi senza pause con “Knights Of The Cross” e “Dark Of The Sun” come al solito tra le migliori, prima della hit “Rebellion (The Clans Are Marching)”, il vero inno della band al pari della conclusiva “Heavy Metal Breakdown”. Il concerto si chiude tra gli applausi con la solita reprise del brano e la band che fa il giro delle transenne a salutare i suoi sostenitori. L’affluenza non sarà stata delle migliori, ma l’affetto che i fan italiani hanno verso i Grave Digger ha fatto ancora una volta la differenza, e una band di professionisti come questa non poteva che ricambiare con l’ennesima grande prestazione. Resta solo qualche dubbio sull’assenza in setlist di brani dai mitici “Witchunter” e “Heart Of Darkness”.
Setlist:
The Gallows Pole
Ballad Of A Hangman
Valhalla
Hell Of Disillusion
Wedding Day
Lionheart
Silent Revolution
Stormrider
The Last Supper
Headbanging Man
The House
Knights Of The Cross
The Dark Of The Sun
Excalibur
Rebellion (The Clans Are Marching)
The Round Table
Prey
Heavy Metal Breakdown