A soli 6 mesi dal recente Gods Of Metal, ecco tornare in terra italica gli alfieri del metallo teutonico più puro ed incontaminato: signori e signore, ecco a voi i Grave Digger!!!
WHITE SKULL
Il compito di aprire il concerto spetta, ad ogni modo, ai nostrani White Skull, che, orfani da ormai qualche anno della storica singer Federica, vera anima della band, mettono in piedi uno spettacolo più che dignitoso, presentando pezzi dagli ultimi dischi (dal tiro maggiormente melodico) mischiati col grezzo heavy/power che caratterizzava la band su dischi quali “Tales From The North”, e su pezzi come le storiche “Asgard” e “The Roman Empire”, dove la prestazione vocale del nuovo singer non fa rimpiangere l’aggressiva voce di Federica.
GRAVE DIGGER
Finito il gustoso anticipo, dopo un’attesa forse un po’ troppo prolungata, ecco presentarsi sul palcoscenico i Grave Digger, che si dimostrano, speciead inizio show, leggermente penalizzati da un suono non proprio eccelso, ma sin dalle prime note dei recenti highlight tratti dall’ormai collaudato “Rheingold” e dalla storica “The Dark Of The Sun” concedono spettacolo e danno grande prova di padronanza dei propri strumenti, specie un Chris Bolthendal che appare molto più in forma che non al gods, dove la sua prestazione si era rivelata piuttosto svogliata. La scaletta è ben assortita, e sebbene tenda a privilegiare le recenti produzioni, lascia ampio spazio al mai dimenticato glorioso passato della band; e così, insieme alle più raffinate “Excalibur” e “Lionheart”, ecco irrompere il riffing quadrato e granitico di “Under The Flag”, “Son Of Evil” e “The Grave Digger” (queste ultime ripescate dal penultimo – mai abbastanza lodato – album della band), sorretto a dovere dall’ugola energica di Chris, che riesce a portare a termine con grande dovizia il suo compito fino in fondo; fondo che è il degno finale di un’ottima esibizione, con l’esecuzione degli immancabili classici. E così, dopo l’epica title-track del recente “Knights Of The Cross”, ecco incedere le incitazioni del pubblico alla track-manifesto della band, la notissima “Rebellion”, immancabilmente eseguita prima dell’ultimo bis, caratterizzato dalla presenza della recente “Round Table” e dall’ovvia (ma mai abbastanza stantìa!!!) “Heavy Metal Breakdown”, cantata a squarciagola da un pubblico che vorrebbe ancora di più… ma nonostante la mancanza delle altrettanto eccezionali “Headbanging Man” e “The Reaper” una cosa è certa: i Grave Digger, dopo vent’anni abbondanti di attività, sono ancora qui per restare a lungo, in barba a tutte le nuove (nonchè passeggere) new sensation del metallo modaiolo…