Report a cura di Davide Romagnoli
Uno degli scioglimenti e riavvicinamenti più rapidi della storia delle band è stato quello dei Graveyard, durato poco meno di un anno. La band è infatti già alla carica con un nuovo batterista e un nuovo tour europeo. Per fortuna, sicuramente, essendo gli svedesi ancora una delle formazioni che non ci si stufa mai di vedere, con all’attivo quattro album, di cui sempre snello risulta quell'”Hisingen Blues” il cui vinile dura poco più di mezz’ora al banchetto del merch. Ad accompagnarli in questa calata europea, questa volta tocca ai Troubled Horses (con l’ossatura dei membri dei Witchcraft) e, per la data al Bloom di Mezzago, ai biellesi Electric Ballroom. Serata rock’n’roll a tutti gli effetti, stivali e jeans a zampa d’elefante per tonalità vintage e revival Seventies. Pochi fronzoli e tanto fuzz!
ELECTRIC BALLROOM
Ormai non è così raro vedere in qualche serata hard rock il trio di Biella Electric Ballroom, in particolare nei dintorni del capoluogo lombardo. Poco tempo è infatti passato dall’apertura ai Rival Sons di qualche mese fa al Carroponte, in cui la formazione di Giulia Osservati aveva ancora una volta preparato la strada ad un nome così importante. Sicuramente merito della capacità dei biellesi di non strafare e di risultare sempre opportuni, precisi e convincenti in ogni situazione, ormai rodati in sede live e da poco ritornati da un tour nel Regno Unito. Tra le migliori canzoni della band ricordiamo un’immancabile “Golden Trigger”: rocambolesco brano blues rock à la Rival Sons che ormai abbiamo imparato a conoscere ed apprezzare ad ogni presenza dei Ballroom.
TROUBLED HORSES
Il quintetto witchcraftiano di Örebro è decisamente al posto giusto nel momento giusto. L’ottimo “Step Inside” viene presentato in apertura al tour dei conterranei main act della serata, con quel suo piglio garage-punk unito alle sonorità più hard rock tipiche dell’appuntamento del week-end. La buona mezz’ora degli svedesi scorre veloce e potente come quella “Hurricane” sbarazzina che mette insieme becero e rock’n’roll come piace a tutti (soprattutto a Lee Dorrian, che li aveva presentati qualche anno fa tra le sue scoperte migliori) e imposta bene le coordinate del progetto Troubled Horses. Più soft e docile risulta “My Shit’s Fucked Up”, che ricorda i migliori episodi di blues sporco e intorpidito, proprio di certe tonalità americane. Martin Heppich, pitturato à la Turbonegro, risulta coinvolgente e trascinante, facendo meritare ai suoi meritati applausi di consenso.
GRAVEYARD
“I remember the days I don’t recall / It was a time of innocence and decadence / All the fights, the fun and the ignorance”. Così inizia l’introduttiva “The Apple And The Tree”, tratta dall’ultimo “Innocence And Decadence”, in una versione sicuramente più incalzante e rumorosa di quella su disco. Attitudine, questa, che coinvolgerà quasi tutta la performance della band di Göteborg nel corso della serata. Se infatti inizialmente si percepisce una ‘botta’ di suono piacevole e ammaliante, come naturalmente ci si aspettava, è però vero come a lungo andare i brani risuonino quasi tutti uguali a se stessi, con un tono di smussamento sonoro significativo per tutte le varie tonalità che la musica dei Graveyard può portare ad esprimere, soprattutto quella più concentrata su una produzione maggiormente curata che contraddistingueva le ultime uscite discografiche della band. Forse una scelta della stessa – che non ha effettivamente mai brillato per varietà – o contingenze della cornice del club di Mezzago, non sappiamo, ma già da metà della setlist si percepisce un certo sentore di mancanza di varietà performativa e una certa pesantezza di suono. La buona notizia è che il nuovo batterista, con l’arduo compito di sostituire Axel Sjöberg (che rimane impegnato con il suo progetto Big Kizz), riesce nell’impresa e aiuta i suoi a riuscire sempre a fornire una prestazione musicalmente ottima e in grado di far esaltare i numerosi fan presenti, adattandosi perfettamente alle tonalità di cui i Graveyard si fanno portavoci I brani migliori, mancando proprio quella timbrica più aperta degli ultimi lavori, restano sempre quelli di “Hisingen Blues”, come l’omonima title-track e l’accoppiata “Uncomfortably Numb” / “The Siren”, fluttuanti e sprezzanti tonalità zeppeliniane a go-go, ormai immancabili in ogni live. Per chi gode nell’assaporare sempre questo tipo di tripudi Seventies senza eccessivi fronzoli e orpelli, ancora una volta i Graveyard hanno saputo rendere il loro status assai degno delle alte considerazioni che si sono sempre fatte; anche se da una band così ci si aspetta sempre qualcosa di più, soprattutto inquadrandoli in un percorso di evoluzione, maturazione, ricerca di autenticità. Probabilmente il tour di Fen-Fire risulta essere un consolidamento, una comunicazione, da parte della band, che nulla è cambiato e che il suo sound rimane quello di una volta, scioglimenti flash a parte.
Setlist:
The Apple and the Tree
From a Hole in the Wall
Exit 97
Cause & Defect
Granny & Davis
Hisingen Blues
The Suits, the Law & the Uniform
Too Much Is Not Enough
Goliath
Buying Truth (Tack & Förlåt)
Uncomfortably Numb
Ain’t Fit to Live Here
Evil Ways
The Siren