10/06/2017 - GUNS N’ ROSES + THE DARKNESS + PHIL CAMPBELL AND THE BASTARD SONS @ Autodromo Enzo E Dino Ferrari - Imola (BO)

Pubblicato il 15/06/2017 da

Report a cura di Carlo Paleari

E così finalmente il giorno è arrivato. “Non in questa vita”, diceva Axl, ed invece è successo: la reunion più attesa e remunerativa degli ultimi anni è finalmente approdata in Italia e il pubblico di casa nostra non è rimasto fermo di fronte al richiamo dei Guns N’ Roses. 83.000 biglietti venduti, un fiume di persone che si è riversato con costanza nell’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola fin dalle prime ore della giornata, pronto a sopportare ore di attesa e qualunque disagio, per salutare il ricongiungimento di Axl Rose con i suoi vecchi amici-nemici Slash e Duff. E qualche disagio c’è stato, purtroppo: non parliamo dei sacrosanti controlli di sicurezza che, anzi, ben vengano; quello che ci colpisce negativamente sono invece i soliti vecchi problemi di gestione dei grandi eventi in Italia. I temerari che, come chi vi scrive, hanno raggiunto l’area del concerto con largo anticipo, si sono ritrovati ad aspettare ore e ore sotto il Sole sull’asfalto, senza alcun luogo, né naturale, né artificiale, dove poter fuggire dalla calura. Uniche fonti di refrigerio, due minuscole aree-doccia che possono contenere poche decine di persone per volta, e le bottigliette d’acqua da mezzo litro vendute a 2€ l’una. Infine un paio di considerazioni logistiche che, ci auguriamo, l’organizzazione avrà valutato, non trovando soluzioni migliori, ma che hanno avuto un notevole impatto sull’evento: prima, la collocazione del palco che, fino al tramonto, ha avuto il Sole alle spalle, rendendo quasi impossibile seguire la performance dei due gruppi spalla ad una grossa parte della platea, che si è ritrovata accecata dalla luce diretta; seconda, il deflusso a fine concerto che si è concentrato quasi tutto in un’unica uscita, costringendo i partecipanti ad un lento esodo della durata di anche un’ora, solo per raggiungere le prime aree parcheggio. Questioni note e di vecchia data che, purtroppo, continuano a rimanere inascoltate nonostante il trascorrere degli anni. Adesso, però, è il momento di parlare di musica e di provare a raccogliere l’emozione di decine di migliaia di persone.

 


PHIL CAMPBELL AND THE BASTARD SONS

Difficile poter dare un giudizio sull’esibizione di Phil Campbell And The Bastard Sons almeno da parte di chi, come il sottoscritto, non si trova nel Golden Circle. La luce del Sole, ancora accecante, rende faticoso seguire quello che accade sul palco, nonostante i maxischermi, e anche il suono appare molto basso ed impastato. Nonostante questo, riusciamo ad intuire che la band è in buona forma e pronta a far vedere di cosa è capace: dei sei brani presentati, quattro sono estratti dall’EP omonimo pubblicato lo scorso anno, mentre rimangono due episodi per tributare Lemmy e i Motörhead, ovvero “Born To Raise Hell” e l’immancabile “Ace Of Spades”. Imbarazzante, ci spiace dirlo, la risposta della stragrande maggioranza del pubblico che, almeno dal nostro punto di osservazione, non sembra conoscere Phil Campbell e probabilmente conosce solo di sfuggita anche i Motörhead stessi. L’esibizione scorre nel disinteresse generale, tranne qualche timido entusiasmo durante il pezzo più famoso di Lemmy, e ci dispiace che un nome come quello di Phil Campbell riceva così poco dal pubblico italiano. Emblematico il momento in cui il cantante, Neil Starr, urla nel microfono ‘volete sentire un brano dei Motörhead?’, aspettandosi un meritato boato, soppiantato invece da un timido rumoreggiare a cui fa seguito un esasperato ‘ah, fuck off…’ del cantante, costretto poi a rifare la domanda per ottenere una risposta degna. Perdonali, Phil, ci rivediamo in un contesto migliore…

THE DARKNESS
Molto più adatta, invece, la band di Justin Hawkins per la platea di Imola, che ha un profilo perfetto per un happening di questo tipo: la formazione è abbastanza nota al grande pubblico grazie al buon successo raggiunto qualche anno fa e anche grazie alla buona copertura mediatica nelle radio e TV rock. I suoni finalmente iniziano ad essere accettabili, sebbene la visuale del palco continui ad essere inficiata. I The Darkness si concentrano sul loro primo album e il pubblico sembra apprezzare, nonostante sia assolutamente chiaro come l’attesa sia tutta per gli headliner. L’apertura è affidata a “Black Shuck” che convince e diverte con l’appeal immediato, seguita da una manciata di brani sempre efficaci e melodici. Particolarmente apprezzata “One Way Ticket”, uno degli episodi più noto all’audience, ma anche la nuova “Solid Gold” sembra avere le carte in regola per fare la gioia dei fan della band. La performance del gruppo è di buon livello e Hawkins si conferma un frontman carismatico, capace di gestire bene una platea oceanica e anche un po’ distratta. A conti fatti, dunque, una piacevole sorpresa: non avremo a che fare con una formazione imprescindibile, ma innegabilmente i The Darkness sanno fare bene il loro lavoro.

GUNS N’ ROSES
Conoscendo la fama da ritardatario del buon Axl, più di un avventore ha temuto di dover prolungare ulteriormente l’attesa durata già parecchie ore; invece, alle 20.35, dieci minuti prima dell’orario d’inizio previsto, la sigla dei Looney Tunes fa capire che il concerto sta per iniziare: tocca quindi ad “It’s So Easy” aprire le danze con Axl che raggiunge Slash, Duff e il resto della band sul palco…e subito esplode il pandemonio. Ottantamila cuori iniziano a battere all’unisono, cantando a squarciagola ogni parola del primo di una lunghissima carrellata di classici. Il palco è mastodontico, su due livelli, e alle spalle un mega schermo proietta immagini e scenografie che accompagnano i brani: questo Not In This Lifetime è un tour faraonico, per incassi, aspettative, ma soprattutto per qualità, e si vede tutta la perfetta e oliata macchina da guerra che muove questo carrozzone scintillante. Tutto è perfettamente calibrato, rendendo il concerto un perfetto bilanciamento tra rock, che comunque continua a bruciare nelle tracce proposte dai Guns N’ Roses, e la tipica costruzione dei grandi allestimenti della popular music. Anche nella band stessa ci sembra di avvertire la responsabilità di fronte ad un tour di questa portata: tutti i musicisti sono concentrati, a loro agio, certo, ma assolutamente focalizzati sullo spettacolo. Bastano pochi passaggi per entrare nel vivo del concerto: “Mr. Brownstone” travolge gli spettatori, mentre su “Welcome To The Jungle” la frenesia del pubblico è assolutamente palpabile e vibrante. Non manca qualche estratto anche da “Chinese Democracy”, sebbene si senta in maniera evidente la differenza con il materiale storico della band; ma c’è poco da fare, il pubblico vuole sentire i pezzi del periodo d’oro, così spazio a “Double Talkin’ Jive”, “Estranged”, “Rocket Queen”, “You Could Be Mine”: un classico dietro l’altro. Axl Rose è in ottima forma e se dovessimo giudicarlo solo sulla performance ascoltata ad Imola non ci sarebbe spazio per i meme e gli sfottò che accompagnano l’ex-sex symbol degli anni ’90. Chissà, forse è stata anche questa la sua sfortuna: invecchiare peggio di molti suoi colleghi da un punto di vista meramente estetico, mostrando il fianco più per il suo presunto amore per i burrito che per altro; perché, diciamolo, non sono poi tanti gli artisti che si destreggiano in totale tranquillità dopo i cinquant’anni con il materiale di venti-trent’anni prima. Invece il buon Axl ha retto per quasi tre ore, con qualche cedimento, ma veniale; paradossalmente, gli errori più evidenti sono stati in qualche assolo di Slash (“Estranged” e “November Rain”). Che dire, invece, degli altri? Slash rimane una delle icone più vivide del rock, con il suo cilindro, la sua chitarra e i suoi capelli ricci a nascondergli il viso; Duff è solido, asciutto, una certezza nel sound del gruppo e ci regala anche un momento da cantante durante la cover di “Attitude” dei Misfits. Anche il resto della band si rivela ineccepibile, con un ottimo Richard Fortus a fare da contraltare a Slash (vogliamo parlare della pregevole rilettura di “Wish You Were Here” dei Pink Floyd fatta dai due?). A proposito di cover, per chi ama il genere, c’è stato davvero di che gioire: dalla già citata “Attitude” alla classicissima “Knockin’ On Heaven’s Door”, passando per la bondiana “Live And Let Die” o l’energica “The Seeker” degli Who, per non parlare, poi, del sentito tributo a Chris Cornell, omaggiato con la sempre splendida “Black Hole Sun”. Con la sua eccezionale durata di quasi tre ore, il concerto dei Guns N’ Roses può mostrare un ventaglio di emozioni invidiabile, costellato di brani che il pubblico ama e conosce, che sia la potenza selvaggia di una “Nightrain” o la delicata e commovente intensità di “November Rain” o “Don’t Cry”, ed un valore aggiunto viene dato dall’ottima prova dei musicisti che possono concedersi di allungare le canzoni, dialogando con gli strumenti e inserendo anche qualche citazione d’alta scuola (“Only Women Bleed” di Alice Cooper, come da tradizione, o “Layla” dei Derek And The Dominos). Quando con “Paradise City” cala il sipario su questa serata monumentale, tra fuochi d’artificio ed un tripudio di coriandoli, la sensazione che rimane è di avere appena assistito ad una di quelle serate storiche, da ricordare a lungo, dimenticando come per magia le ore passate buttati sulla graticola dell’asfalto a friggere nell’attesa del grande circo del rock ’n’ roll, che sarà anche imbolsito e appesantito da qualche chilo di troppo, ma quando arriva in città, signore e signori…che spettacolo!

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