Report di Alessandro Elli
Foto di Simona Luchini
Domenica 5 marzo all’Alcatraz di Milano è stato un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati delle sonorità più intricate e complesse. Sono tre le band che si alternano sul palco: dapprima gli statunitensi Cryptodira, attivi da più di un decennio, e autori di un progressive metal estremo con diverse sfumature e derive; di lunghe presentazioni non hanno bisogno i loro connazionali Between The Buried And Me che, più di vent’anni fa, questo tipo di suoni contaminati e deliranti hanno contribuito ad inventarli e che, ancora adesso, possono essere considerati tra i maestri nella materia; come headliner, infine, gli inglesi Haken, alfieri di un progressive metal decisamente più radicato nella tradizione e ormai affermati a livello internazionale tra i massimi esponenti del genere.
Vediamo com’è andata.
Con il locale già abbastanza affollato, la prima band a salire sul palco dell’Alcatraz sono i newyorchesi CRYPTODIRA: non molto noti dalle nostre parti, anche se sono passati dal nostro paese anche in passato, i quattro si mostrano determinati nel proporre il loro miscuglio musicale che prevede un progressive metal decisamente sporcato da death metal, mathcore e djent e suonato con un bagaglio tecnico importante. L’impatto è buono, con pezzi che si sviluppano in modo indecifrabile tra sfuriate, momenti di calma e funambolismi assortiti; se da un punto di vista strumentale la prestazione appare impeccabile, l’alternanza delle voci non sempre è perfetta, con il growl del secondo chitarrista spesso fuori luogo. Il punto di riferimento più evidente, non a caso, è proprio il gruppo che suonerà dopo di loro e, anche se la differenza di caratura è chiara, la mezz’ora che i Cryptodira ci regalano scorre senza intoppi, nonostante i suoni non ancora a fuoco.
Quando ad entrare in scena sono i BETWEEN THE BURIED AND ME, si capisce subito l’importanza che questa band ha raggiunto, a dispetto dell’osticità della loro proposta, ed è evidente come buona parte del pubblico sia qua per loro, tra magliette e felpe con il loro logo e persone che conoscono a memoria e cantano in coro pezzi che non hanno niente della classica forma canzone. La resa sonora all’inizio non è ancora ideale – migliorerà nel corso dello show – e la scenografia è piuttosto minimale, con la copertina di “Colors II” ripresa sullo sfondo, ma è chiaro che Tommy Rogers e compagnia sono in discreta forma e desiderosi di presentarci finalmente l’ultimo, ottimo disco, uscito proprio durante la pandemia. L’apertura, un po’ a sorpresa, è affidata ad un brano vecchio, “Extremophile Elite”, ed è immediatamente il caos, con il cantante in primo piano a prendersi la scena e gli altri musicisti ad assecondarlo in un vorticoso susseguirsi di cambi di registro. Il viaggio sulle montagne russe continua con la recente “Revolution In Limbo” ed il suo intermezzo di chitarra spagnoleggiante che segue una sfuriata di metal estremo. In generale, l’impressione che i pezzi nuovi funzionino ottimamente anche dal vivo è corroborata dalla resa di “Fix The Error”, ricca di virtuosismi tra cui un assolo di batteria, e di “The Future Is Behind Us”, uno degli episodi più accessibili in scaletta. All’insegna dell’imprevedibilità, si prosegue con l’accoppiata “Dim Ignition”/”Famine Wolf”, con tastiere e voci filtrate, mentre il gran finale è affidato alla delirante “Voice Of Trespass”, in cui l’istrionico leader mette in mostra tutto il suo carisma. Per chi si chiedeva come gli americani avrebbero fatto a riprodurre dal vivo il loro campionario di suoni, la risposta è servita.
E’ poi il turno degli HAKEN e i britannici hanno il difficile compito di pareggiare la prestazione della band che ha finito di suonare appena venti minuti prima. Anche in questo caso la scelta è quella di un palco sobrio, con la sola rappresentazione della cover dell’ultimo “Fauna” a fare da sfondo e lo stesso tema tropicale è ripreso dalle camicie dei componenti della band, dando luogo nel complesso ad una sorta di effetto ‘metallari in vacanza’. In ogni caso, già dall’attacco di “Prosthetic” si può intuire come i suoni siano finalmente perfetti e che sarà uno spettacolo all’insegna dell’energia: Ross Jennings ha una voce stentorea, resa ancor più potente dal missaggio che la pone ad un volume più alto, e si fa notare per movenze d’altri tempi, magari goffe ma che sicuramente trasmettono vitalità; i cinque musicisti che lo circondano sono affiatati e forti di una tecnica strumentale ineccepibile, tanto che spesso non riescono a trattenersi dal metterla in mostra. Curiosamente, gli estratti dall’uscita più recente sono molto pochi: “The Alphabet Of Me”, con le tastiere sugli scudi ed il cantato in falsetto, “Taurus”, molto più metallica ed arcigna in questa vigorosa versione, e la sorprendente “Lovebite”, presentata come “canzone sul sesso e sui ragni“, che, sempre grazie alla versatile voce di Jennings, mostra una seducente anima soul. Ma i pezzi da novanta, quelli tratti dagli album storici dei britannici e più acclamati dai fan di vecchia data, arrivano a circa metà concerto: si tratta di “Falling Back To Earth” (da “The Mountain”), uno dei momenti più prog in assoluto, il cui intermezzo jazzato è suonato con una precisione ed una pulizia incredibili, e “The Endless Knot” (da “Affinity”), che abbina mirabilmente una certa pesantezza a suoni sintetici in stile Genesis o Yes. Il finale è un tripudio, con l’esecuzione di tutti e cinque i movimenti della suite “Messiah Complex”, tratta da “Virus”, come a voler ribadire il proprio ruolo di protagonisti assoluti della scena progressive metal.
Setlist Haken:
Prosthetic
Invasion
The Alphabet Of Me
Falling Back To Earth
Taurus
The Endless Knot
Lovebite
Carousel
Messiah Complex I: Ivory Tower
Messiah Complex II: A Glutton For Punishment
Messiah Complex III: Marigold
Messiah Complex IV: The Sect
Messiah Complex V: Ectobius Rex
CRYPTODIRA
BETWEEN THE BURIED AND ME
HAKEN