Report di Stefano Protti
Foto di Simona Luchini
E’ un’interessante accoppiata quella che il Live di Trezzo si appresta ad ospitare il primo venerdì di un luglio ancora impantanato dai rovesci temporaleschi: da una parte Plini, il cui virtuosismo chitarristico è, da qualche anno una presenza fissa (quanto atipica) dei grandi festival metal, dall’altra gli Haken, che con le belle canzoni del dittico “Virus”/”Fauna” hanno sedotto il cuore di molti appassionati di progressive: non stupisce quindi la nutrita schiera di pubblico accorsa al locale per l’evento.
I solti rallentamenti in tangenziale e gli orari dedicati a spettatori che non amano tirar tardi ci fanno perdere l’esibizione degli Asymmetric Universe, così l’incontro con il loro jazz rock fortemente influenzato da Frank Zappa è (si spera) rimandato a giorni più favorevoli.
Sono appena le 20 quando sul palco sale ciò che potremmo definire come il PLINI quartet, un collettivo in cui l’indubbiamente talentuoso chitarrista australiano è solo uno degli ingredienti di un’appetitoso calderone di fusion, jazz e metal, propinato a cucchiaiate abbondanti al pubblico dagli amplificatori.
Il viaggio del signor Roessler-Holgate parte divagando come solo il suo idolo Satriani (“I’ll Tell You Someday”) sa fare, ma lungo i dieci brani della setlist il panorama si fa mutevole, con il post-rock che suonerebbero i Tortoise se solo fossero in vena di virtuosismi (“Papelillo”), una citazione della “Forbidden Colours” di Sakamoto e Sylvian sotto l’andamento dinoccolato di “Ember”, qualche melodia sicuramente accattivante (“Handmade Cities”), i Pain Of Salvation pre-“Painther” in versione strumentale (“Cascade”) e le ritmiche post-metal a sorreggere eleganti giri armonici (“Pan”).
Giù, dalla platea, si rimane stregati a guardare questa piccola orchestra da camera perfettamente rodata, che arriva ad omaggiare Santana in coda ad una lunghissima “Electric Sunrise” ma che, se si diverte, lo fa comunque con moderazione, dilungandosi in sketch un po’ fuori tempo (video e fotografie al pubblico o chiacchierate tra i due chitarristi durante gli assoli).
Si subisce un po’, insomma, quell’atteggiamento tra il supponente ed il vagamente annoiato, che il saliscendi lungo scale e accordi non riesce a nascondere del tutto. Quello che sopravvive all’evento è la soddisfazione di vedere una nutrita folla di giovani spettatori assiepati sotto il palco e pronti a non perdere nessuna nota, lungo quei percorsi sul pentagramma non certo agevoli. Una bella speranza, insomma.
Giusto il tempo di un breve cambio palco ed arriva il momento degli HAKEN, ad un anno dalla loro ultima visita in Italia; il successo di questa band è fatto conclamato, eppure chi scrive non può nascondere uno stupore compiaciuto per l’entusiasmo con cui il pubblico saluta quel mix tanto improbabile quanto riuscito tra Meshuggah (per i pattern ritmici) e Genesis (per il refrain) che è “Prosthetic” (da “Virus”, del 2020); rimaniamo estasiati anche dalla capacità del gruppo di accennare melodie degne dei Porcupine Tree senza scadere mai nell’imitazione (“Sempiternal Beings” e “Canary Yellow”, quest’ultima nobilitata da un inciso struggente che riporta alla mente anche i pezzi migliori dei Riverside) o di scrivere pezzi dal potenziale commerciale clamoroso come “Beneath The White Raimbow”, e soprattutto “Lovebites” (da “Fauna”), il cui refrain pop potrebbe echeggiare senza sosta in una qualsiasi arena e non stancare mai.
Lo spettro degli anni ’70 riappare nella sua forma migliore in “Crystallised” (da “Restoration”) la suite che monopolizza la seconda parte del concerto, divisa tra armonie sognanti, eccellenti intrecci vocali e più impegnativi (ma mai virtuosistici) passaggi strumentali prog-metal.
La chiusura è affidata prima alla meno recente “Puzzle Box”, dalle cui ritmiche sincopate emerge la primitiva influenza dei Tool, e poi al recupero di “Cockroach King” (da “The Mountain”) sospesa tra Gentle Giant e Yes.
Guidati dalla voce di un Ross Jennings in splendida forma, gli Haken dal vivo sono quello che si potrebbe definire come un gruppo prog nel pieno della propria maturità stilistica, al pari dei Leprous di “The Congregation” e “Malina”. Alla fine si torna all’auto soddisfatti anche se un po’ piccati per l’assenza dei bis, nonostante le richieste a gran voce dai presenti.
ASYMMETRIC UNIVERSE
PLINI
HAKEN