11/11/2017 - HARDCORE SUPERSTAR + FOZZY + THE LAST BAND + MADAME MAYHEM @ New Age - Roncade (TV)

Pubblicato il 22/11/2017 da

Report a cura di Nicola Merlino

Il Fatal Four-way Match è nel lessico del wrestling la disputa che prevede una contesa a quattro sullo stesso ring tutti contro tutti. Situazione tra le più caotiche nel mondo dello sport entertainment, alla quale viene naturale pensare di fronte alla line-up che questa sera calcherà lo storico palco del New Age: il tour europeo del binomio killer tra i pesi massimi dello sleaze scandivavo Hardcore Superstar e i Fozzy della leggenda WWE Chris Jericho fa tappa in Italia per la bazilionesima volta da parte degli svedesi, contrapposta al debutto nello Stivale dei rocker statunitensi. Le band si sono sin qui suddivise il ruolo di headliner scambiandosi l’onore e l’onere del main event una volta attraversata la Manica. Gli HCSS sono praticamente di casa tra le mura della venue, mentre i Fozzy hanno sorvolato l’Atlantico sull’onda della recente hit “Judas” per scrollarsi definitivamente i pregiudizi che in passato li hanno accompagnati. Con loro due outsider molto promettenti che rispondono ai nomi di The Last Band, da Goteborg, e Madame Mayhem, from New York City. Quattro formazioni agguerritissime con una forte vocazione festaiola in corsa per la corona della miglior party band e il pubblico come giudice supremo. Chi porterà a casa la cintura? Fuori i secondi, suona la campana… let’s begin!


MADAME MAYHEM

Cosa ci si può aspettare di trovare di fronte, quando nel bill della serata fa capolino un nome discreto come Madame Mayhem? E’ una band? Il manifestarsi dell’Es di un’artista? Un tributo francofono al femminile alla band di Euronymous? Se stavate già preparando il corpse panting purtroppo rimarrete delusi: Madame Mayhem è infatti il monicker scelto dalla cantautrice Natalie Ann Cohen, giovane e graziosa rocker di Manhattan con un sorprendente bagaglio di collaborazioni all’attivo. Per la prima volta in Europa allo scopo di promuovere il suo secondo album di recentissima uscita “Ready For Me”, Madame sale sul palco del New Age in perfetto orario senza farsi precedere da alcun intro, attaccando una platea ancora poco gremita con il singolo “War You Started”. Il sound punta verso un’identità immediata e catchy, e fa pensare a come sarebbero stati i Paramore se avessero fatto parte della moderna scuola hard rock, con echi goth presi degli Evanescence per plasmare atmosfere vagamente dark e ispessirne il sound, posizionando sempre e comunque il focus su di lei, la Madame e le sua pregevoli doti vocali. L’aspetto fashion riveste un ruolo non secondario nel personaggio della lady chaos (menzione d’onore per dei guanti di pelle borchiata usciti probabilmente da Mortal Combat), cosi come la presenza sul palco dell’intera band denota preparazione; eppure, nonostante tutti i pregi elencati, qualcosa manca dal computo. Qualcosa che rendesse il tutto anche minimamente memorabile. Chiamatelo Mojo, X-Factor o la Forza di Grayskull; pur non essendoci stato nulla di effettivamente negativo – eccezion fatta per un mix infelice che ha penalizzato la performance – è mancato quel click che innescasse il coinvolgimento emotivo del pubblico durante la mezz’ora di set. Pezzi con un discreto potenziale radiofonico come la conclusiva “Monster” rimarranno fuori dalla portata dei radar che contano ancora per un po’.

THE LAST BAND

Unite la violenza dell’hardcore alla furia controllata del groove metal e scandite il tutto con le cadenze del crossover rap; aggiungete ‘tom-morellismi’ vari alle chitarre, metri quadri di pelle inchiostrata e un gusto per l’eccesso che avrebbe reso orgoglioso l’Iggy Pop dei tempi d’oro; caricate tutto su un missile tomahawk puntato verso le vostre gengive e fatevi sbattere contro il muro dall’onda d’urto dei The Last Band! Nati a Goteborg nel 2012, due album all’attivo e l’obbiettivo dichiarato a gran voce di voler far festa come animali: questo in breve il biglietto da visita del quintetto svedese, che strappa con forza la palma della sorpresa della serata. Completamente fuori sincrono con la direzione musicale degli headliner, ma perfettamente in linea con la vibe festaiola del tour, i The Last Band non sono nuovi a queste latitudini avendo già aperto nel 2016 i concerti europei dei concittadini Avatar. L’impatto sonoro è tutto per questi streetfighter, forti di pezzi roboanti e coinvolgenti che se su disco prestano il fianco a qualche leziosità di sovraproduzione, dal vivo sprigionano tutta la loro cruda natura bastarda. Incasellare L’Ultima Band in un genere specifico è cosa ardua, non appena pensi di poterlo fare un riff ti gira attorno colpendoti alle spalle. L’unico vero trait d’union è l’interpretazione rabbiosa del tatuatissimo singer Coffe Blood – sì, si fa chiamare così – che per tutta la durata del (brevissimo) set urla lyrics su droghe, edonismo e perversioni assortite. Figli turbolenti degli anni ‘90 e del rap rock, a metà concerto piazzano una mastodontica cover di “Bulls On Parade” che scoperchia letteralmente il soffitto del New Age, seguita dall’ultimo emblematico singolo “So What (We Don’t Give A Fuck)” e dalla conclusiva “The Hunt”. Da tenere d’occhio questi The Last Band: se per ora la loro posizione da mezza classifica cozza con un nome che sembra voler sabotare la sintassi dei colleghi che scrivono nella lingua d’Albione, tra qualche anno potremmo essere di fronte a un caso di nomen-omen.

 FOZZY

Due lampeggianti rossi della polizia illuminano il palco, mentre un mix apocalittico di “War Pigs” dei Black Sabbath accresce il pathos che prelude al momento che ogni fanciullo interiore del Nordest attendeva segretamente con impazienza. Non mentite. Sappiamo che ve ne siete fregati del ‘don’t try this at home’, che almeno una volta nella vita avete provato la ‘619’ su un palo della luce, tentato la ‘power bomb’ sui materassoni in palestra appena il prof. si girava, o sottoposto il compagno di banco alla ‘sharp shooter’. Chiunque si sia svegliato presto la domenica per sentire la telecronaca di Dan Peterson ai match non può che vivere con una certa emozione adolescenziale l’arrivo on stage di Chris Jericho e dei Fozzy. Sono passati sedici anni da quando Chris batté nella stessa notte The Rock e Stone Cold Steve Austin diventando il primo Undisputed Champion della WWE, e ancora maggiore è il tempo trascorso dal suo debutto con una cover band che all’epoca si faceva chiamare Fozzy Osbourne; e da allora ne è passata d’acqua sotto i ponti. Wrestler, cantante, conduttore radiofonico, concorrente per Ballando Con Le Stelle, scrittore, personalità televisiva e imprenditore: ormai per scorrere il profilo Linkedin di Chris Jericho ci vorrebbe una vita grazie ad un numero di carriere e vite professionali secondo solo al tipo calvo della Brazzers, ma che potrebbero essere tutte riassunte nella parola ‘entertainer’. Giunti al traguardo del settimo (!) album, i Fozzy arrivano per la prima volta in Italia durante questo weekend, inaugurando il concerto del New Age come di consuetudine con la title track dell’ultimo disco “Judas”, seguita da “Drinkin’ With Jesus”. Tanto è servito a fugare il dubbio di trovarsi di fronte ad un prodotto della vanità di Jericho: i Fozzy fanno dannatamente sul serio con il loro moderno hard rock di scuola post 80’s, guidato dal formidabile Rich ‘The Duke’ Ward alla chitarra solista. Quanto alla prestazione vocale del frontman, possiamo perlomeno definirla dignitosa e mai fuori giri, seppur al netto di ben tre voci che lo accompagnano al microfono e da una spessissima coltre di basi che forse ai più attenti hanno fatto storcere il naso. Per il retro della medaglia, ben altro discorso riguarda la showmanship del cantante, che tiene il palco con una naturalezza alla portata di pochi, spingendosi dove la voce non può arrivare grazie ad una dose gargantuesca di carisma. Il coro da stadio “Foz-zy! Foz-zy!” accompagna l’intero set e per “Do You Wanna Start A War” fa la comparsa sul palco una pistola che almeno negli intenti avrebbe dovuto sparare dei coriandoli sul pubblico, facendo però cilecca e immettendo nella troposfera solo una generosa dose di anidride carbonica; quanto basta per far versare una lacrima a chi è venuto al concerto guidando una Prius e per strappare un sorrisetto perplesso a tutti gli altri. Vale la pena fare una menzione d’onore per una sorprendente cover di “SOS” degli Abba – avete letto bene – e per i funambolismi di Rich Ward tra un theremin suonato con (quasi) ogni parte del corpo e un clamoroso assolo in chiusura al singolone “Enemy”. Nel momento in cui di solito erige le ‘Walls of Jericho’, Chris si nasconde sotto ad un asciugamano caricando il pubblico prima dell’encore “Sandpaper”, mandando i titoli di coda sul chant “This is Awesome” da parte del pubblico in pieno stile Wrestlemania. Che dire, come nel wrestling non tutto quello che si è visto e sentito è vero al 100%, ma una volta passato il muro della sospensione dell’incredulità un concerto dei Fozzy si rivela una sincera ora di intrattenimento per un pubblico divertito e partecipe. Non sappiamo di preciso quando sia successo, ma i Fozzy sono diventati qualcosa di serio. Schiena a terra, 1, 2…

Setlist
War Pigs (intro)
Judas
Drinkin With Jesus
Sin And Bones
Spider In My Mouth
Painless
Do You Wanna Start A War
Lights Go Out
SOS (ABBA cover)
Bad Tattoo
Enemy
Encore
Sandpaper

HARDCORE SUPERSTAR
Dopo ben tre antipasti di calibro crescente è rintoccata ormai la mezzanotte, l’ora prevista per la portata principale. Dopo un numero di concerti nello Stivale ampiamente superiore alla doppia cifra, esistono ancora strade inesplorate per descrivere la conclamata love story tra gli Hardcore Superstar e l’Italia? Basta l’intro di “Beg For It” a trasformare la platea in una torcida che canta ogni singola parola di una scaletta che si sviluppa attraverso quasi tutti gli sforzi in studio della band, battendo le mani (a tempo!) e rispondendo presente ad ogni ammiccamento dell’inossidabile Jocke: quarant’anni passati da un pezzo portati con una forma canora da fare invidia a chiunque e che per l’occasione sfoggia un discreto paio di baffi in pieno clima Movember. I Nostri ingranano la quinta ripescando dagli albori di carriera perle come “Liberation” e “My Good Reputation” e, mentre i motori salgono di giri, di pari passo cresce il coinvolgimento di un Vic Zino alla sei corde praticamente impossibile da inquadrare a riposo tra pose, urla primordiali senza ragione e guitar face da assolo tra le più esagerate che un volto umano possa produrre. Fan favourite come “Dreamin’ In A Casket” si alternano a vere chicche come “Sensitive To The Light” e praticamente ogni pezzo giova della puntuale introduzione ora umoristica, ora sentita, da parte del frontman. Si dice che gli HCSS abbiano l’abitudine di parlare troppo durante i concerti, ma la verità è che parte del loro successo è anche frutto dell’astuta rianimazione dei tempi morti tra un pezzo e il successivo, il resto sono fandonie. Ne sono la controprova “Above The Law”, accolta da un mare di middle finger sull’attenti rivolti a non si sa bene chi, e il nuovo singolo da party “Have Mercy On Me” che, per quanto terribile, viene ovviamente cantato dall’intera venue all’unisono. Evidentemente anche dagli episodi cattivi può nascere qualcosa di bello. Questo ci permette una piccola digressione su speranze e preoccupazioni riguardo la direzione discografica presa dalla band. Se da un lato il periodo sin qui trascorso sotto l’egida di Nuclear Blast ha permesso al combo svedese d’accrescere enormemente la propria fanbase, dall’altro ha anche regalato episodi discografici in progressione discendente, e le avvisaglie fornite sin qui dal percorso d’avvicinamento al nuovo album “You Can’t Kill My Rock n’ Roll” – in uscita a marzo 2018 – sembrano suggerire un ulteriore colpo di pialla sugli spigoli dell’anima sleaze e stradaiola del passato in favore di un prodotto più catchy e innocuo. Il responso del pubblico sulla base del nuovo singolo sembra dare ragione a Jocke e compagni, ma ci riserviamo di rivedere le nostre posizioni dopo la release. L’ambiente più contenuto del New Age rispetto alla vastità del Live Club di Trezzo sull’Adda (tappa precedente del tour) influisce su uno show privo di fronzoli e di alcuni elementi di fan service tipici di casa HCSS, ma se vogliamo più calorosa e connessa con il pubblico: quindi niente piogge di coriandoli, niente ‘Hardcore Superbar’, niente invasione di palco su “Last Call For Alcohol” – comunque sentitissima – in favore di una estesa sessione di crowd surfing e di una mini maratona da parte del frontman avvolto nella bandiera italiana (alla sera del concerto si era giocata solo la prima delle due partite di qualificazione ai mondiali di calcio 2018 tra Italia e Svezia). Il set si avvia verso l’ormai classico epilogo con “Moonshine” e la celeberrima “We Don’t Celebrate Sundays”, dove Jocke può limitarsi al ruolo di direttore d’orchestra. C’è comunque ancora spazio per un imprevisto encore, una rarità negli ultimi tempi per la band, concesso grazie al calore del pubblico sulle note di “Someone Special”. Tempo dei titoli di coda sulla solita prova di perenne stato di grazia sul fronte live di una band giunta al traguardo del ventennale che comunque, va detto, ha mostrato la corda sul fronte dei suoni, in particolare della batteria, che sembrava costruita col cartongesso; cosa comunque non imputabile direttamente al gruppo. Poco male, un pezzo di Svezia ancora amato dall’Italia ci sarà sempre. La cintura dei World Heavyweight Glamsters resta in casa Hardcore Superstar. Scusa Chris.

Setlist
This Worm’s For Ennio (intro)
Beg For It
Liberation
My Good Reputation
Dreamin’ In A Casket
Touch The Sky
Sensitive To The Light
Dear Old Fame
Have Mercy On Me
Above The Law
Last Call For Alcohol
Moonshine
We Don’t Celebrate Sundays
Encore
Someone Special

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