15/11/2006 - Hatebreed + Unearth + Twelve Tribes @ Estragon - Bologna

Pubblicato il 20/11/2006 da
A cura di Maurizio “MoRRiZz” Borghi
foto di Barbara Francone – Roadrunner Records (www.roadrunnerrecords.it)
 
Dopo pochissimi mesi dal Flamefest gli Hatebreed tornano dalle nostre parti nella stessa location che li ha visti protagonisti indiscussi del “Gods Of Metalcore”. Il nuovo Estragon ospita ancora una volta moltissimi fan dell’hardcore, che prendono d’assalto il fornitissimo bancone del merchandise alla apertura dei cancelli, quasi fosse la motivazione primaria della loro presenza in loco. Forse un disco leggermente sottotono come “Supremacy” non ha allertato troppo i fan, che sembrano essere in pochi ad inizio concerto. La serata però, grazie a features d’eccezione, si dimostrerà ricca di sorprese.

TWELVE TRIBES

Dopo l’abbuffata di shirts e hoodies i Twelve Tribes (sostituti dei defezionari Full Blown Chaos) tentano di scaldare la situazione in un locale decisamente poco affollato, e per giunta disinteressato: come sempre è il duro compito degli opener. Speravamo sinceramente che la formazione, fresca di “Midwest Pandemic”, riuscisse a dimostrarsi meno anonima di quanto si presenta su disco, ma sfortunatamente niente si muove sotto i riflettori. Sebbene sia formalmente discreto, il metalcore dei Tribes è anche troppo codificato e non ci presenta nessun tipo di sorpresa. Certo Adam Jackson ha dei gran bei dreadlock che lo fanno assomigliare a Phil Lebonte (Shadows Fall), ma la proposta è talmente prevedibile che, mentre si sa da dove parte, si riesce esattamente a intuire dove si andrà a finire. Yawn.
 

UNEARTH

Chi scrive si apprestava a vedere gli Unearth per la terza volta in meno di due anni. Al Download ’05 la formazione era rimasta schiacciata in mezzo ad altri nomi giganteschi e al Sounds Of The Underground di Milano non era al massimo della forma. Poi l’arrivo di quella bomba di “III: In The Eyes Of Fire”, presagio di un periodo d’oro per il gruppo, in grado di rendere caldissimo il nome nella scena e di innazare alle stelle l’interesse del pubblico. Lo spettacolo di questa sera eleva la formazione del Massachussets allo stato di grazia, all’apice creativo e di forma, letteralmente “on fire”. Se la scaletta è breve per esigenze di copione la furia viene distillata nei pezzi nuovissimi di “III”, che occupano praticamente tutta la setlist. Uno show praticamente perfetto, che vede l’intera formazione protagonista, coadiuvata da un Trevor padrone assoluto della situazione e soprattutto da una coppia di asce trasformate in schegge impazzite. Buz e Ken saranno dei piccoletti ma sono posseduti dal demonio da quanto saltano, corrono e si coordinano in headbangin’ e figure da veri e propri metal god. In più riprese un roadie gli porterà un teschio con la calotta segata, dal quale parte un tubo di grossa sezione riempito di birra, che i due pazzi tracanneranno mentre suonano, lasciando in bocca l’ultimo fiato per vaporizzarlo “alla Triple H”. Mascella spaccata per metà del pubblico, enormi circle pit, grandissima e graditissima sorpresa della serata: una data che non può che zittire le voci che li vogliono come uno dei tanti gruppi metalcore. “Boston Fucking Metal”, ve lo ricorderete in futuro!

 
 

HATEBREED

Gli headliner si presentano puntuali davanti al loro pubblico che lentamente è accorso e ha riempito il locale per poco più di metà. Non ci si aspettava di più visto che la data è quasi una replica di quella di giugno, soprattutto quando l’atteso “Supremacy”, pur essendo un disco abbondantemente al di sopra della sufficienza, ha spiazzato qualche fan intransigente. Il gruppo è orfano del bassista Chris Beattie, infortunato alla mano destra, ma si presenta con un validissimo sostituto: l’ex-Terror Carl Schwartz, bassista ora nelle fila dei promettenti hardcorer First Blood. Con due ex-membri dei Terror in formazione gli Hatebreed riescono a spaccare come al solito, potendo contare su una scaletta solida come il cemento e su fan totalmente devoti, che rispondo a ogni richiesta di Jasta appena viene allongato verso di loro il microfono. E’ un’esplosione di adrenalina sentire tanta partecipazione nei chorus, che investe in pieno anche i componenti del gruppo, spronati a dare il meglio. Jamey non perde occasione di ringraziare tutti i presenti e ribadire il concetto di musica come valvola di sfogo e mezzo per uscire dai problemi della vita, fa strano però non sentire delle parole nei confronti dell’ex compagno Lou “Boulder” Richards, venuto a mancare a settembre. Uno spettacolo energico e impeccabile, soprattutto nell’epilogo dove “Live For This”, “This Is Now” e “I Will Be Heard” vengono inframezzate dalla nuova “To The Threshold”. Per la seconda volta missione compiuta, obiettivo annientato, nessun sopravvissuto.
 

 
 

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