Report a cura di William Crippa
Il concerto degli Heathen il 18 giugno al Blue Rose, rinominato per l’occasione Bay Area Fest (non propriamente esatta come denominazione, perché solo gli headliner sono originari della zona citata), a priori, rischiava di essere un insuccesso clamoroso, vista la data milanese del giorno seguente degli Slayer e la contemporanea presenza in città nella stessa serata dei Kiss e dei Bad Religion. Ma la sorpresa è sempre dietro l’angolo, ed il locale di Bresso stasera è stato la scena di un concerto davvero caliente, in tutti i sensi.
DUST BOLT
Dopo le esibizioni di due giovanissime band, i monzesi Rawfoil ed i torinesi Acidity – divertenti e cariche di energia ma ancora lontane dall’affermazione, e delle quali non sappiamo praticamente nulla – esibizioni durante le quali gli unici spettatori presenti all’interno del locale non arrivano ad essere contati su due mani, arriva il turno dei tedeschi Dust Bolt, direttamente da Monaco di Baviera. La band teutonica, guidata dal buon cantante e chitarrista Lenny B., erede diretta della grande scuola thrash tedesca, propone il proprio sound che si situa esattamente a metà strada tra Kreator e Sodom ma è ricco di richiami ai primi Destruction, e promuove l’esordio discografico dello scorso anno, “Violent Demolition”. Si tratta di un set tirato e veloce, potente e divertente, che scorre gradevole ma abbastanza scontato senza alcun colpo di scena fino alla conclusione, mentre il numero degli spettatori presenti aumenta pian piano.
GENERATION KILL
Con il numero degli spettatori aumenta anche la temperatura, ed è tremendo il clima che accoglie i Generation Kill, supergruppo thrash da Congers, New York, guidato nientemeno che dal cantante degli Exodus Rob Dukes. Rob arriva sul piccolo palco e, guardando il numero dei presenti che nel frattempo è diventato di tutto rispetto, esclama “Fuck Heathen, tonight we’ll play for four hours!”, prima di dare il via alla violenza, che ben si manifesta con “Hate”, pezzo che mette subito tutti in riga. Il set è basato in gran parte, ovviamente, sull’unico album rilasciato dalla band, “Red, White And Blood”, ma non solo, andando a rivangare nella tradizione thrash-hardcore, ed il pubblico ben si lascia trasportare dalla violenza di scuola newyorkese della band. Dukes grida al microfono “What do you want now? Do you want some old shit or do you want new shit?”, prima di sorridere, battere il cinque ai ragazzi in prima fila, affermando “Fuck, I forgot we are in Italy, and you are Italians! Stupid Italians don’t understand!” – frase, questa, ovviamente detta in un clima goliardico. Ottima è la prova strumentale di tutta la band, con il batterista Jim DeMaria, davvero potentissimo, su tutti. “We’re All Gonna Die” chiude un set davvero carico, e la band di New York può ben dirsi soddisfatta del grande mosh che si è scatenato ai suoi piedi. Durante il cambio di set, uscendo all’aria aperta per poterci finalmente rinfrescare, curiosi, indaghiamo un poco per capire i motivi di un concerto che si sta rivelando un successo, anche a dispetto delle premesse, e scopriamo che stasera il pubblico, composto per la maggior parte da ragazzi sotto i venti anni, è stato spinto a venire qui per più motivi, ma i principali sono (premettendo ovviamente la presenza di una band leggendaria come gli Heathen) l’esoso costo del biglietto del concerto degli Slayer (più ragazzi ci hanno detto “Fanculo, non ho 45 euro per gli Slayer, preferisco pogare con 15!”) ed una sorta di dissociazione dagli Slayer da parte di chi non ha apprezzato il fatto che la macchina debba andare comunque avanti, anche senza Lombardo ed Hanneman; parliamo inoltre con un simpaticissimo bresciano, che ci racconta di adorare il piccolo locale di Bresso, e di venire ogni volta da lontano per l’assenza di transenne e bodyguard tra le band ed il pubblico, elemento questo che crea un contatto davvero profondo tra chi suona e chi ascolta. Ma è tempo di rientrare, perché tocca agli headliner di serata, gli Heathen.
HEATHEN
Una rapida intro ed è “Dying Season” ad aprire le danze, e subito il locale, ormai pieno, esplode in un mosh feroce. Alcuni ragazzi, anche molto giovani, salgono immediatamente on stage per abbracciare il singer David White, per poi lanciarsi in uno stage diving davvero spericolato. Il gesto, rimasto impunito, spinge subito molti altri ragazzi ad imitare le gesta dei primi coraggiosi, ed il palco degli Heathen, che proseguono comunque l’esibizione, diventa teatro di un vero e proprio assalto da parte dei fan. Qualcuno se la ride, come Lee Altus, decisamente divertito dalla cosa, o David White, completamente a suo agio nella bolgia che si è creata, ma Kragen Lum e Jason Viebrooks appaiono abbastanza infastiditi (la spia davanti a Kragen cadrà dal palco più volte durante la serata, proprio a causa dell’attività violenta del pubblico), se non addirittura spaventati dalla foga con la quale i ragazzi continuano a salire sul palco. Ad intervenire è Jim DeMaria, batterista dei Generation Kill, che, forte di una stazza e di muscoli (e di una capigliatura) che lo rendono una copia quasi fedele del Ryback della WWE, inizia lui stesso a fare stage diving, e da cattivo, con suicide bump violenti e durissimi, che arrivano sui ragazzini travolgendoli. Altro è il problema di Jon Dette, ex Testament e Slayer, turnista di lusso per questo tour in sostituzione dell’assente Darren Minter, che sin da subito si mostra molto insofferente al caldo (se non si sono toccati i quaranta gradi all’interno del locale, poco ci è mancato), ed in un paio di occasioni questo porterà a disguidi durante lo show, visto che Jon si alzerà spesso dalla batteria tra una canzone e l’altra per rovesciarsi acqua sulla testa o addirittura per andare al bancone per procurarsene dell’altra, ovviamente senza essere notato dal cantante David White, il quale fatica a trattenere il tono innervosito dissimulando e cercando di scherzare sulla cosa. Dal punto di vista puramente musicale, gli Heathen stasera hanno tenuto un grandissimo concerto, con una setlist equamente bilanciata tra “The Evolution Of Chaos” e “Victims Of Deception”. Ottimi Lum ed Altus, ben supportati da Viebrooks, ma la parte del leone, nonostante tutto, l’ha fatta Dette, davvero un fuoriclasse quando si tratta solamente di suonare. Sul finale, curiosamente, a White viene in mente il coro “Ole, ole ole ole”, al quale il pubblico comincia a rispondere inneggiando all’Internazionale FC; questo siparietto, guidato dal cantante, perdurerà per tutte “No Stone Unturned”, “Goblins Blade” e “Death By Hanging”, che chiude il concerto, lasciando almeno due centimetri di sudore sul pavimento del locale.