A cura di Maurizio “Voglio i denti di Guy Kozowyk” Borghi
Foto tratte da myspace.com/hellonearthtour
Anche il pubblico italiano è oramai avvezzo a questi grandi carrozzoni da tempo di moda negli States, dove si comincia presto (a scapito degli opener) e tantissime band danno sfogo al meglio del materiale in una mezz’ora ristretta. Quello che differenzia un tour dall’altro, oltre alla qualità intrinseca delle band sul palco, è l’interazione e l’atmosfera che l’intera carovana riesce a trasmettere: raramente si è assistito a tante felici collaborazioni sul palco, bands entusiaste, ospiti d’eccezione (la famosa fotografa Cindy Frey) e vibrazioni fortemente positive come in questa puntata milanese dell’Hell On Earth, posta in un Alcatraz troppo grande per il numero di spettatori, ma che è riuscito comunque ad essere scaldato in maniera adeguata.
STICK TO YOUR GUNS
Dopo un disco come “Comes From The Heart”, dagli Stick To Your Guns ci si aspettava parecchio e, con l’entusiasmo di uno scalatore ai piedi della montagna, i giovani di O.C. dimostrano di avere sia passione che energia. Venticinque minuti di grinta dove fanno bella mostra i pezzi dell’ultimo lavoro, in una versione più vicina all’hardcore classico per energia, attitudine e suono. Un grave peccato è stata la mancanza delle magnifiche gang vocals che ribaltano i chorus su CD, un piacere negato dal pubblico esiguo delle 18:00, orario improponibile per la maggior parte dei lavoratori.
ANIMOSITY
I brutal deathsters di San Francisco saranno pure apprezzati in madrepatria, ma questa sera non hanno stupito proprio nessuno. Fedeli a un copione ricalcato, gli Animosity hanno tentato in ogni modo di agitare le acque, riuscendo solo a far roteare braccia e gambe a tre mosher coi pantaloncini della NBA (che probabilmente volevano solo riscaldare i muscoli) e a far sbadigliare il resto del pubblico, che dopo aver notato la maglietta di Obama del minuto frontman ha perso ogni briciolo di interesse. Unica idea apprezzabile: lasciare 5 minuti di setlist a un ragazzo che già nel pomeriggio si stava esibendo fuori dall’Alcatraz facendo suonare in ritmiche hardcore…il suo Nintendo Gameboy! Grazie Alessandro, ci hai risparmiato 5 minuti di mediocrità.
THE RED CHORD
Guy Kozowyk dovrebbe fare la pubblicità di un dentifricio. Il ragazzone, frontman dei The Red Chord, non perde occasione di sfoggiare, con smaglianti sorrisi, la sua perfetta dentatura da spot, tra un growl e l’altro si intende. Certo il bassista Greg Weeks, coi suoi baffoni da Cochise (dal famoso video di “Sabotage”), non fa che aumentare gli sguardi interrogativi, ma l’importante resta la prova smagliante della formazione, che macina in scioltezza il massiccio repertorio di death moderno, sotto gli occhi amorevoli della bella Candace, che li spia dal lato del palco. Fa la sua seconda comparse Jesse degli STYG, che si rivelerà il volto più noto della serata. Un successo.
CATARACT
Protagonista assoluto della performance dei Cataract è il massiccio Federico, unico frontman della serata a saper incitare il pubblico in un italiano perfetto: l’Alcatraz, che ha oramai raggiunto il massimo di presenti per la serata, risponde amplificando l’entusiasmo e facendo scattare un sentito mosh. A parere di chi scrive, gli svizzeri non sono e probabilmente non saranno mai un gruppo di serie A, ma restano gregari onesti e concreti, capaci di regalare buoni momenti e, soprattutto, di generare violenza sopra e sotto il palco. Sapete cosa aspettarvi.
EVERGREEN TERRACE
Con la serata bene avviata e il pubblico infuocato dall’esibizione dei Cataract, ci si aspettava il coinvolgimento totale dagli Evergreen Terrace, gruppo che sa spaziare dall’hardcore violento alle melodie dei ritornelli che possono far cantare tutti. California Kid (al microfono) sembra voler confermare l’ipotesi, quand’ecco che la formazione decide di fermarsi per una manciata di minuti per un pedale rotto. La variazione era inintelligibile e i suoni sembravano ottimi, tuttavia i presenti cercano di avere pazienza. Quando l’interruzione si ripete però, e il set già breve è interrotto nuovamente, viene lecito chiedersi dove sia finita l’attitudine hardcore. I pezzi di “Wolfbiker” in ogni caso rendono parecchio dal vivo, come ci si aspettava.
WALLS OF JERICHO
Gli unici che uniscono sotto adorazione tutti gli spettatori sono loro, e proprio per questo meritano il ruolo di headliner: i Walls Of Jericho si sono fatti largo a spallate e hanno conquistato il loro pubblico nel corso degli anni, arrivando ad avere fan fedeli grazie a una dedizione e una continuità artistica notevole. Come previsto dunque, nell’esibizione dei WOJ trova il climax questo mini-festival itinerante, offrendo qualità e coinvolgimento attraverso quel piccolo diavolo di Candace. Sempre più carina, femminile e sorridente, la minuscola frontwoman riesce a tenere in scacco l’intera audience, regalando una performance perfetta in grinta e coinvolgimento, confermando la supremazia come miglior frontwoman vivente in ambito metal. Bene anche i pezzi dell’ultimo album: “The American Dream” viene accolta con l’entusiasmo di “A Trigger Full Of Promises”, e con una seconda comparsata del cantante degli STYG si arriva anche troppo velocemente alla fine, dove dopo una fintissima uscita di scena un roadie scende tra il pubblico con un microfono per gli immancabili cori di “Revival Never Goes Out Of Style”, che congedano tutti nel solito finale col botto. Per fortuna che non c’era più spazio all’Inferno!