NEAERA
Davanti ad un pubblico ancora piuttosto esiguo e decisamente distratto, i Neaera aprono la data italiana della prima edizione dell’Hell On Earth festival lanciandosi nella riproposizione del loro melodic death svedese poco originale ma davvero molto ispirato. La presenza scenica onestamente non è il massimo, ma la band suona con precisione e beneficia sin dalle primissime note di suoni inaspettatemente buoni. Si nota una certa inesperienza da parte del giovane frontman (con tutta probabilità al primo vero tour della sua vita), ma si rimane piacevolmente sorpresi dall’impatto delle song, che dal vivo riescono a convincere anche più che su CD. “The World Devourers” e “Anthem Of Despair” riescono a scatenare i primi, piccoli mosh pit della serata e gli applausi si fanno via via sempre più calorosi. Lo show termina dopo poco meno di mezz’ora, ma l’impressione lasciata dai cinque tedeschi sui presenti è senz’altro positiva.
AGENTS OF MAN
Grande foga per gli americani approdati recentemente al debutto su Century Media, saltando sul palco impattano in maniera devastante con le prime due song, davvero ben riuscite ed esaltanti. Ci si domanda se il gruppo sia lo stesso dell’esordio tanto piatto e leccato da essere giudicato dalla quasi unanimità come quasi inutile. Vocals infuocate, cori distruttivi e una tenuta del palco eccellente, con accordi ribassati e un sound moderno e azzeccato. Ecco però presentarsi le clean vocals che tanto sono state discusse dagli ascoltatori: senza dubbio l’appeal sfuma e, seppur il gruppo sia veramente “spaccone” per la sua attitudine e l’estetica quasi hip hop, non riesce a salvarsi proprio del tutto proprio per questi sfacciati momenti pop-crossover, poco amalgamati con l’hardcore veemente e hyper-groove del simpatico combo. Divertenti, ma troppo piatti allo stato attuale delle cose.
END OF DAYS
Dopo l’altalenante performance degli Agents Of Man, ha luogo lo show più tamarro della serata, ovvero quello firmato End Of Days! I recenti autori di “Dedicated To The Extreme” salgono sul palco quasi di soppiatto e per le prime due song non riescono minimamente a smuovere il pubblico, causa dei volumi pessimi che non fanno per nulla udire le chitarre. Poi tutto si sistema e la miscela di Obituary e Hatebreed del gruppo inizia a fare danni nel pit, coinvolgendo più persone in mosh ed heandbanging sfrenati. Il palestratissimo frontman non sta fermo un secondo e continua ad incitare la folla, la quale negli ignorantissimi breakdown finisce per esaltarsi come mai prima d’ora. Alla fine c’è pure spazio per qualche stage diving, compreso quello del singer, che con i suoi cento chili abbondanti avrà lasciato più di qualche livido ai disgraziati che hanno avuto il coraggio di prenderlo al volo! Concerto molto divertente.
EVERGREEN TERRACE
Introdotti da “Paradise City” dei Guns n’Roses, opportunamente mutata in chiave hardcore all’entrata dei ragazzi di Jacksonville, Florida, gli Evergreen Terrace (sì, è la residenza della famiglia Simpson!) appaiono esattamente come una banda di skater accaniti. la caratteristica è un hardcore semplice e divertente, diretto e con innesti melodici vicini ai Pennywise. Intrattenendo senza troppe pretese e senza messaggi troppo insistenti o seriosi i ragazzi puntano dritto al divertimento puro, proponendo estratti dall’ultimo ottimo “Sincerity Is An Easy Disguise In This Business” in maggioranza, eseguiti in maniera del tutto fedele al disco. Il pubblico è già caldo ed è facilissimo per la band trarlo a suo favore, il biondo cantante lo vorrebbe più vicino per fare stage diving più facilmente ed abbracciarlo per il consenso ricevuto, e spesso si lancia in prima persona verso i fan, appendendosi come una scimmia ai tubi sopra il palco. Chiudono con un’altra cover, eseguita per intero, quella di “Sunday Bloody Sunday” degli U2, lasciando il pubblico entusiasta e voglioso di svuotare il banchetto del merchandise… sicuramente un ottimo intrattenimento!
HEAVEN SHALL BURN
Il buon Marcus, frontman degli Heaven Shall Burn, si presenta sul palco indossando una maglia dei Bolt Thrower… e solo per questo guadagna subito cento punti agli occhi del sottoscritto! Poi arrivano anche gli altri ragazzi della band e senza intro nè discorsi vari attaccano con “The Only Truth”. Il pubblico reagisce tutto sommato bene, ma non tutti gli astanti sembrano conoscere le canzoni della band, cosa che porta spesso Marcus a fare gli straordinari per coinvolgerli. I suoni tuttavia sono nitidi al punto giusto e il gruppo inizia a macinare brano su brano senza pause, incurante del fatto che la sua proposta – assai meno immediata di quelle delle altre formazioni partecipanti al tour – non riesca a far presa sull’intera folla. Con l’arrivo della mitica “Behind A Wall Of Silence” e di “The Weapon They Fear” il concerto però entra nel vivo e la gente inizia a muoversi con maggior partecipazione. “Voice Of The Voiceless” e “Unleash Enlightment” infiammano gli animi e, alla fine, con la vecchia “The Fire” – suonata in maniera ineccepibile, colma di una rabbia quasi palpabile – si scatena una volta per tutte il pogo, che nelle prime file non risparmia proprio nessuno. Gli Heaven Shall Burn ne sono visibilmente contenti e suonano sino alla fine con un rinnovato entusiasmo, che li porta ad ottenere un applauso decisamente fragoroso e stra-meritato. c’è quindi spazio per i saluti e per le strette di mano, con Marcus che promette che lui e i suoi soci torneranno a farci visita in un futuro prossimo. Noi vi aspettiamo!
AS I LAY DYING
A chiudere le danze, from San Diego, California, As I Lay Dying. Dopo essersi presentati più che degnamente pochi mesi or sono allo spettacolare Flamefest nella medesima location, e dopo aver bissato il successo di “Frail World Collapse” con il più accessibile ma sempre ispirato “Shadows Are Security”, il gruppo guidato da Tim Labesis è alla prova del nove col pubblico italiano, e sicuramente la supera con la più disarmante semplicità. Il combo, forte del rispetto accumulato negli ultimi anni e dei consensi della critica, è infatti sicurissimo on stage, e senza strafare offre ai fan una prova pressoché perfetta nella sua pulizia, nemmeno una sbavatura. Il suono è perfetto per aizzare l’audience sotto il death svedese condito da chorus più melodici (novità dell’ultima release discografica, apprezzati non da tutti). Compattissimi, non si sbilanciano nemmeno nell’offrirsi a un pubblico ovviamente partecipe e caloroso, che non disdegna di aiutare il frontman in più di una occasione. Lambesis è allenatissimo e non sbaglia una virgola, causando ripetuti moshpit e stagediving, (con protagoniste molte fanciulle scatenate nelle prime file proprio per il bel frontman) e non perde occasione di lanciarsi verso i fan per cogliere il loro abbraccio ancora una volta. Chiudono ovviamente l’esibizione dopo un’ora sudata (complice la temperatura equatoriale dell’Estragon) con la hit “Forever”, attesissima da tutto il pubblico e vero e proprio cavallo di battaglia delle band. L’ideale prosecuzione dell’act di qualche mese fa, gli As I Lay Dying non cambiano di una virgola, come un atleta in perfetta condizione fisica sono in grado di coinvolgere appieno dal primo all’ultimo secondo della loro apparizione, si confermano alla stragrande come una delle band più ispirate del movimento metalcore, che già scricchiola sotto i colpi della saturazione. Molto probabilmente uno dei pochi gruppi che si salverà.