Bisogna ammettere che nei giorni seguenti (sabato e domenica), la situazione sia complessivamente migliorata di molto per quanto riguarda il rispetto degli orari di inizio degli show, tuttavia c’è da segnalare il fatto che in alcune circostanze sia capitato che alcuni gruppi del palco principale, contrariamente al programma, abbiano iniziato a suonare quando sul secondo palco, posto quasi di fronte e a qualche centinaia di metri, c’era ancora una band all’opera, con il risultato che i fan non sapevano che pesci prendere e si ritrovavano investiti da un minestrone di note senza senso.
Insomma, l’Hellfest 2007 sotto alcuni punti di vista si è rivelato un vero disastro. È vero che l’organizzazione, nella tarda serata di domenica, si è presentata sul palco principale e si è scusata con i presenti per certi inconvenienti, ed è verissimo che la maggior parte delle band ha comunque offerto degli spettacoli davvero pregevoli, tuttavia non si può certo dimenticare facilmente tutte le suddette, imbarazzanti pecche. Quest’anno gli organizzatori hanno dimostrato di avere il capitale per poter ingaggiare gruppi di grosso calibro e anche una vasta conoscenza dell’underground, andando a pescare anche realtà più piccole ma molto interessanti. Sono però mancate loro vagonate di esperienza e la capacità di gestire determinate situazioni, le quali hanno pesato in maniera micidiale sulla riuscita complessiva della manifestazione. Ora non ci resta che sperare che i nostri facciano tesoro di questa dura lezione e che già dal prossimo anno siano in grado di offrire agli appassionati un grande bill ma anche strutture e un’organizzazione all’altezza. Festival molto più “low budget” come il Summer Breeze o il Party.San ci riescono già da anni, non dovrebbe essere un grosso problema arrivare su quei livelli.
MISERY INDEX
Il primo gruppo che si è riusciti a seguire in maniera decente sono stati i Misery Index, chiamati ad esibirsi sul secondo palco (il Gibson Stage) mentre tutto attorno regnava il caos causato dal maltempo e dal collasso dell’impianto del Main Stage. Il quartetto americano ha dato fuoco alle polveri con il chiaro intento di far calare il pubblico nella tipica atmosfera da festival e, per fortuna, ha colpito nel segno, sfoderando una prestazione maiuscola che è riuscita a coinvolgere parecchie centinaia di persone. I suoni non erano perfetti, ma la presenza scenica dei nostri e soprattutto il valore di pezzi come “Unmarked Graves” e “The Great Depression” sono riusciti a strappare più di un sorriso ai fan, già molto provati dopo solo poche ore dall’apertura dei cancelli.
UNEARTH
“C’mon Hellfest, it’s a beautiful day!”. Queste le prime parole pronunciate da Trevor Phipps mentre attorno si scatenava un diluvio di proporzioni massicce. Gli Unearth non si sono fatti intimidire dal fatto che molta gente sia rimasta in disparte e hanno fatto del loro meglio per regalare ai pochi temerari accorsi sotto al Gibson Stage uno show da ricordare. Obiettivo centrato, perchè sia Buzz McGrath che Ken Susi si sono nuovamente confermati due veri animali da palco e perchè la scaletta ha dato spazio solamente ai brani più feroci degli ultimi due album, da “Giles” a “Sanctity Of Brothers”, per arrivare a “Endless” e “This Glorious Nightmare”. Il nuovo session alla batteria, Derek Kerswill dei Seemless, ha fatto un lavoro egregio, mentre sia il succitato Phipps che Slo Maggard al basso hanno dato il loro contributo senza sbavature. Un concerto breve, ma convincente su tutta la linea.
EARTH CRISIS
La straight edge metal-core band per eccellenza, gli Earth Crisis, erano attesi dall’intera frangia hardcore del pubblico dell’Hellfest. Riformatisi per tenere una breve serie di date tra gli USA e l’Europa, i cinque ragazzi di Syracuse, nonostante gli anni trascorsi lontano dalle scene, hanno mostrato una grande coesione e tantissima voglia di “spaccare”. Karl Buechner si è presentato con la sua tipica bandana legata sulla fronte e, a dispetto della quantità impressionante di fango creatasi fra il mixer e il palco, sono bastate un paio di sue frasi affinchè il pit si animasse e la gente iniziasse a sfoderare mosse degne di un film di Van Damme. La scaletta, come speravano i fan, si è basata sui primi lavori del gruppo, proponendo parecchi estratti da “Destroy the Machines”, “Gomorrah’s Season Ends” e persino dagli EP “All Out War” e “Firestorm” (acclamatissima la title track di quest’ultimo). Ci sarebbe piaciuto vederli suonare di più, ma la mezz’ora di musica proposta ha lasciato comunque tutti soddisfatti. Un ritorno con i fiocchi.
HATEBREED
Nel tardo pomeriggio di venerdì, il festival stava già prendendo una piega quanto meno decorosa, ma è stato l’arrivo degli Hatebreed sul Main Stage a sancire definitivamente l’inizio della festa. Con la sua proverbiale carica, il quintetto americano si è fatto carico di dare un’ultima svegliata alla folla, che ha finalmente reagito alla grande con i soliti circle e mosh pit al limite del wrestling. Con un Jamey Jasta sugli scudi e dei suoni potentissimi, gli Hatebreed per circa quaranta minuti non hanno dato tregua, suonando in rapida sequenza tutte le loro hit (“Proven”, “Perseverance”, “I Will Be Heard…”) più numerosi estratti dal recente “Supremacy” (“Defeatist”, “Destroy Everything”, “Never Let It Die”, “Spitting Venom”…). Davvero un gran concerto.
HACRIDE
Era grande l’attesa per gli Hacride, una delle band più interessati partorite dal sottobosco francese negli ultimi anni. Esibendosi sotto al grosso tendone da circo del piccolo Discover Stage, per giunta ad un orario che nulla aveva a che vedere con quello originariamente previsto, c’era il rischio che la loro performance passasse inosservata, invece i techno-deathsters transalpini hanno avuto un successone, suonando (magnificamente e con tanto di suoni ottimi) davanti a centinaia di persone. È vero che in Francia i nostri sono già una realtà che gode di un seguito nutrito, ma, in tutta onestà, chi scrive non si aspettava una tale risposta dal pubblico e, soprattutto, una prova tanto convincente. Gli Hacride si sono resi protagonisti di uno dei migliori show di questa edizione dell’Hellfest: non hanno sbagliato una nota, il frontman Yann Ligner (Mistaken Element, Klone), nonostante fosse un session, è parso perfettamente a suo agio anche in quanto a presenza scenica e la scaletta ha proposto tutti i brani migliori di “Deviant Current Signal” e “Amoeba”. Speriamo ora che iniziano a suonare anche al di fuori della Francia… una volta visti all’opera, non si riesce più a farne a meno!
ENSLAVED
Chiamati quasi all’ultimo momento a sostituire i Mayhem, bloccati dall’infortunio al braccio di Hellhammer, gli Enslaved si sono rivelati, come previsto, un rimpiazzo adeguato e di grande spessore. Per circa quaranta minuti hanno intrigato i presenti con la loro ormai collaudata miscela di black metal e progressive rock, proponendo per lo più brani dalle ultime, acclamatissime tre fatiche in studio. “Bounded By Allegiance” e “Path To Vanir” sono stati probabilmente i brani più apprezzati dalla folla, ma va sottolineato come tutto il set della band norvegese sia stato davvero molto gradito… forse anche perchè avente luogo in un momento in cui la pioggia stava dando un poco di tregua. Come già accennato per altre formazioni, non ci sarebbe dispiaciuto assistere ad uno show un po’ più lungo, tuttavia, vista la situazione, bisogna comunque essere contenti del fatto che gli Enslaved siano riusciti ad esibirsi senza grossi intoppi.
SLAYER
Preparano attentamente la scaletta – privilegiando i midtempo – si prendono quasi sempre una pausa tra un pezzo e l’altro e Tom Araya in più punti lascia che sia il pubblico a cantare. Eppure, nonostante tutto ciò, gli Slayer la loro bella figura riescono quasi sempre a farla. All’Hellfest è bastato che in apertura i quattro suonassero impeccabilmente un paio di classici come “South Of Heaven” e “Silent Scream” affinchè la folla andasse in delirio e non prestasse in seguito troppa attenzione alla ormai deboluccia voce di Araya o alle succitate, continue pause. Del resto, bisogna ammettere che questa sera gli Slayer sono stati molto convincenti dal punto di vista esecutivo e che anche la scaletta è stata ben bilanciata fra vecchi classici (“Dead Skin Mask”, “Spirit In Black”, “Mandatory Suicide” e, ovviamente, “Raining Blood” e “Angel Of Death”) e tracce recenti (“Disciple”, “Cult”, “Jihad”). Si potrebbe magari obiettare che, negli ultimi tempi, certi vecchi brani vengono proposti un po’ troppo spesso e che, al posto di una “Dead Skin Mask”, non sarebbe male ascoltare ogni tanto una “Jesus Saves”. Tuttavia, riteniamo che tali decisioni siano strettamente collegate ai problemi di Araya, il quale, come dicevamo, fa ormai un po’ di fatica a reggere le ritmiche indiavolate di parte del repertorio dei nostri. In ogni caso, il concerto è stato molto gradevole e tutt’altro che noioso!
BRUJERIA
Vista la massiccia presenza di ragazzi spagnoli fra il pubblico dell’Hellfest, era normale che un gruppo come i Brujeria venisse accolto da vero trionfatore. Juan Brujo e Pinche Peach – presentatisi on stage con le classiche bandane a coprire il volto – ovviamente non si sono fatti pregare e hanno preso per mano la folla portandola a cantare in coro praticamente ogni brano. “Revoluciòn”, “Matando Güeros”, “Colas De Rata” e “Vayan Sin Miedo” sono stati apprezzatissimi, così come “Marcha De Odio”, pezzo che ha visto molto coinvolti anche El Cynico e Hongo, ovvero, rispettivamente, Jeff Walker (ex Carcass) e Shane Embury (Napalm Death). Death-grind ignorante, testi allucinanti e suoni nitidi e potentissimi… non si poteva chiedere di meglio per iniziare degnamente la giornata.
WALLS OF JERICHO
Terminato lo show dei Brujeria, il festival si è mantenuto su alti livelli di intensità con l’arrivo di Candace Kucsulain e dei suoi Walls Of Jericho. Una volta preso possesso del Gibson Stage, il quintetto americano ha riversato sulla folla tutta la carica del suo metal-core slayeriano, generando mosh pit di grosse dimensioni che hanno resistito a lungo nonostante la difficoltà nel muoversi causata dal fango. Detto di alcuni problemi con il microfono che hanno impedito a Candace di esprimersi sui suoi soliti standard per i primi due o tre pezzi, il resto del concerto è filato via liscio come l’olio fra ottime esecuzioni di “And Hope To Die” e “Playing Soldier Again” e una calorosissima risposta dei fan, che hanno incitato la band sino all’ultima nota.
CYNIC
A quanto pare, in Francia regna l’ignoranza. Non riusciamo infatti a spiegarci per quale motivo il concerto dei Cynic sul Gibston Stage (il primo della band in Europa da quattordici anni a questa parte!) sia stato seguito soltanto da poche centinaia di persone. C’è da dire che sul palco principale si sarebbero esibiti di lì a poco i pompatissimi Pain Of Salvation, tuttavia, a parere di chi scrive, resta comunque un delitto aver ignorato un tale evento in favore dello show di una band che in Europa suona spessissimo. Detto questo, parliamo ora del concerto della seminale techno-death metal band americana! Ci si aspettava ovviamente che i Cynic proponessero tutti i classici del capolavoro “Focus”, e infatti così è stato! “Veil Of Maya”, “Sentiment” e “Uroboric Forms” hanno lasciato di stucco per la precisione con la quale sono stati riproposti. Un po’ meno esaltante è invece stato constatare che le growling vocals fossero campionate (Paul Masvidal si è infatti dedicato soltanto al cantato pulito) e che la band avesse serie difficoltà a dimostrarsi partecipe e ad interagire con il pubblico. Per quest’ultimo aspetto c’è sicuramente da incolpare il comprensibile nervosismo e l’emozione nel calcare un palco a distanza di moltissimi anni dall’ultima volta, mentre la scelta di non cantare in growl ha lasciato perplessi in molti. Addirittura, un fan ha buttato nel fango e calpestato la t-shirt da poco acquistata per poi allontanarsi visibilmente contrariato! Comunque, a parte questo, non si può affatto dire che la performance dei Cynic sia stata poco soddisfacente: il gruppo ha veramente suonato alla grande ed è riuscito a replicare in maniera ultra fedele le complesse trame di “Focus”. Fra l’altro, i nostri hanno anche proposto un inedito intitolato “Evolutionary Sleeper”, pezzo generalmente molto sognante e melodico, ma alfiere anche di un paio di riff metal in apertura. Insomma, le aspettative per i Cynic erano alte e i cinque americani, nonostante tutto, sono riuscite a soddisfarle.
CHILDREN OF BODOM
Si possono criticare parecchie cose ai Children Of Bodom, ma di certo non si può dire che non siano una live band rodatissima e convincente. I fan li adorano e dal vivo i cinque ragazzi finlandesi riescono ad intrattenere al meglio anche coloro che normalmente non stravedono per la loro proposta. Lo show di quest’oggi è stato un vero trionfo per la band, acclamata dalla prima all’ultima nota e protagonista di una performance molto precisa ed efficace. Tra i brani più riusciti, segnaliamo “Children Of Decadence”, “Needled 24/7”, “Angels Don’t Kill” e “Downfall”, tutti cantati da un Alexi Laiho in gran forma, costantemente in movimento sul palco e sempre tutt’altro che restio a farsi immortalare nelle sue ormai tipiche pose da pseudo guitar hero maledetto. Non sarebbe stato male ascoltare anche un estratto dal debut “Something Wild”, ma è ormai cosa nota che i giovani fan dei finlandesi stravedono quasi esclusivamente per le sonorità più catchy e controllate degli ultimi lavori.
SWORN ENEMY
Grandissimo successo per gli Sworn Enemy, headliner del Discover Stage nella serata di sabato e artefici di una prestazione impressionante per violenza e intensità. Non stiamo certo parlando di una delle band più originali sulla faccia della terra, ma il loro thrash-core è fatto appositamente per essere riproposto dal vivo e se baciato dai suoni giusti – come in questo caso – il risultato non può che essere devastante! Sal, il frontman, ha cantato quasi costantemente a ridosso del pubblico, agitando un asciugamano come il buon vecchio Rey Oropeza dei Downset, mentre il resto della band si è premurata di far sì che ogni brano uscisse dagli amplificatori ancora più pesante e preciso del precedente. Ad un certo punto, il pit sembrava un circo tante erano le persone che si dimenavano spingendo a destra e a manca! Con le esecuzioni di “Sworn Enemy”, “We Hate” e, in chiusura di show, della parte finale di “Domination” dei Pantera, il sabato sera all’Hellfest ha registrato alcuni dei sui più alti picchi di intensità e divertimento!
IMMORTAL
Con gli Immortal, l’edizione 2007 dell’Hellfest ha vissuto uno dei suoi momenti più imbarazzanti e, al tempo stesso, esilaranti. Preceduti da un intro lunghissimo e trionfale, i tre norvegesi sono arrivati sul palco fermamente decisi ad offrire uno spettacolo con i fiocchi, ma quando si sono accese alcune luci e sono esplosi dei fuochi d’artificio, l’impianto del palco principale è saltato nuovamente, lasciando gli Immortal nell’imbarazzo più assoluto davanti a migliaia di persone che ridevano o si chiedevano che cosa stesse accadendo. Trascorso un quarto d’ora, l’impianto è quindi tornato a funzionare e i nostri hanno potuto finalmente dare il via al loro concerto. Essendo questo uno dei primi show post-reunion, ci si attendeva qualcosa di speciale dalla scaletta… una sorta di concerto “best of”. Invece gli Immortal hanno proposto parecchi brani delle ultime fatiche, lasciando a bocca asciutta molti fan della prima ora. Il gruppo – sia chiaro – ha suonato davvero bene e Abbath si è confermato un buon frontman, ma, per quanto ci riguarda, avremmo preferito ascoltare qualche estratto in più dai primi due lavori, anzichè una “Tyrants” o una “Sons Of Northern Darkness”. Ottime, comunque, le esecuzioni di “Withstand The Fall Of Time” e “Unsilent Storms In The North Abyss”, sicuramente due dei momenti migliori di una performance lunga e ottimamente gestita dal gruppo, che verso la conclusione ha elargito nuove scariche di fuochi d’artificio e la classica esibizione da “sputafuoco” di Abbath!
TYPE O NEGATIVE
Era l’una di notte passata quando i Type O Negative hanno calcato finalmente il palco principale. Inizialmente Peter Steele è apparso svogliato, tanto che sembrava non prestare quasi attenzione a ciò che facevano i suoi soci o a come stava reagendo il pubblico. Ben presto però ci si è accorti che si trattava solo di una finta… a quanto pare, Steele voleva solo farsi pregare. È bastato che Kenny Hickey gli si avvicinasse un paio di volte e cercasse di smuoverlo un po’ per farlo entrare definitivamente in gioco per la goia dei fan e, soprattutto, delle fan appostate sotto il palco. Molto particolare lo show dei Type O Negative: hit famosissime come “My Girlfriend’s Girlfriend”, “I Don’t Wanne Be Me” o “Everything Dies” sono state snobbate in favore di brani più di nicchia come “We Hate Everyone” o “The Profits Of Doom”. Una performance molto energica e, per certi versi, dal feeling quasi rock’n’roll. Probabilmente alcuni fan saranno rimasti scontenti, ma il gruppo ha interpretato la scaletta odierna in maniera davvero convincente, non lesinando energie e suonando ben oltre l’orario inizialmente previsto. Verso la fine dello show, “Love You To Death” ha inoltre accontentato anche chi attendeva qualcosa da cantare a squarciagola, riuscendo a mettere d’accordo tutte le frange di pubblico.
ANIMOSITY
Prima volta in Europa per i giovanissimi Animosity, quintetto californiano che abbiamo avuto modo di conoscere e apprezzare grazie al death metal variegato e ultra tecnico dell’ultimo “Empires”. Saliti sul palco principale nel primo pomeriggio di domenica, quando le nuvole avevano lasciato spazio ad un sole implacabile, i nostri hanno intrattenuto una folla piuttosto nutrita per circa mezz’ora, proponendo i brani più noti dell’ultima fatica e un inedito destinato a comparire sul loro prossimo album. Abituati ad esibirsi al chiuso e in locali piccoli, gli Animosity sono parsi un po’ spaesati su un palco tanto grande, ma non hanno fallito quando si è trattato di riproporre fedelmente le loro complesse trame. “The Black Page” e “Thieves” hanno paerto i primi mosh pit della giornata e, nel complesso, il pubblico li ha seguiti con grande attenzione e simpatia.
ABORTED
Uno dei migliori concerti della giornata di domenica è stato senza dubbio quello degli Aborted, band che pare costantemente in crescita sotto il punto di vista della popolarità. C’erano infatti moltissime persone ad assistere al loro concerto, anch’esso risparmiato dalla pioggia nonostante delle minacciose nuvole nere si stessero nuovamente addensando sopra la zona. Una visibile fasciatura ad una mano non ha impedito al frontman Sven de Caluwè di esprimersi e di tenere il palco come di consueto e anche il resto della band, tra cui i nuovissimi membri Sven Janssens al basso e Dan Wilding alla batteria, ha dato il meglio di sè stessa. Agevolati da dei suoni sufficientemente nitidi, i death metallers belgi hanno esaltato la folla proponendo praticamente un “best of” degli ultimi tre lavori, suonando in rapida sequenza pezzi amatissimi come, ad esempio, “Sanguine Verses”, “Gestated Rabidity” e i nuovi “The Chondrin Enigma” e “Avenious”… materiale che in sede live rende dieci volte di più che su CD. Buonissima inoltre la presenza scenica di tutto il gruppo e calorosa la risposta dei fan, che hanno più volte chiesto un bis. Insomma, gli Aborted nel 2007 appaiono più che mai come una realtà di questa scena!
ATHEIST
Quello all’Hellfest è stato l’ultimo concerto in Europa della storia degli Atheist. Naturalmente, c’era molta attesa e il gruppo americano l’ha ripagata con l’ennesima performance impeccabile, baciata da suoni quasi perfetti e da una cornice di pubblico di tutto rispetto. Bisogna dire che Kelly Shaefer non sempre ha convinto al 100% dietro al microfono, tuttavia il resto della band ha fatto letteralmente faville, in particolare, come al solito, il bassista Tony Choy… al contrario dei suoi compari, sempre molto coinvolto nel concerto e propenso a muoversi sul palco. La scaletta ha pescato da tutti i tre full-length della discografia del gruppo, privilegiando, come previsto, i brani più amati dai fan, fra i quali ricordiamo con piacere “On They Slay”, “Mother Man”, “Your Life’s Retribution” e “Piece Of Time”. Sarebbe stato bello vederli suonare per un paio d’ore e assistere allo show techno-death definitivo, ma invece ci si è dovuti accontentare di poco più di quaranta, intensissimi, minuti. Si sentirà la mancanza di questa band…
WITHIN TEMPTATION
Una scenografia stranamente sobria ha fatto da cornice al solito, notevole show dei Within Temptation, ormai vero e proprio colosso della scena symphonic metal mondiale, secondo solo ai Nightwish. Sharon den Adel ha fatto il bello e il cattivo tempo on stage, occupando totalmente la scena con sommo piacere dei fan e – perchè no? – anche del resto della band, mai troppo a proprio agio quando si tratta di tenere il palco. Superba la prova vocale della frontgirl, da sempre vera marcia in più della formazione anche per la sua attitudine gioviale e spensierata, lontana dalle pose sin troppo seriose o pseudo-sexy di molte sue colleghe. La folla ha gradito moltissimo la performance degli olandesi, che, come sempre, hanno puntato tutto sui propri collaudati classici, evitando di concedere sorprese ad un’audience che aspettava soltanto di cantare in coro le varie “Stand My Ground”, “The Howling” e “Ice Queen”. Dopo tanto metal estremo, una parentesi di questo tipo ci voleva.
MEGADETH
Per molti i Megadeth non sono più loro da quando i vari Dave Ellefson, Marty Friedman e Nick Menza non fanno più parte della lineup. In effetti, quando oggi si vedono i Megadeth on stage, si ha spesso l’impressione di trovarsi al cospetto di Dave Mustaine e di tre figure poco definite, che lo aiutano a riproporre i pezzi in sede live e nient’altro. Senza nulla togliere all’esperienza e alla professionalità di James Lomenzo e dei fratelli Drover, il carisma di coloro che li hanno preceduti è duro da sostituire. In ogni caso, anche al giorno d’oggi, non si può dire che la band statunitense non sappia come intrattenere i propri fan: come prevedibile, una volta dato il giusto spazio al nuovo album con pezzi come “Sleepwalker” o “Washington Is Next”, lo show dei Megadeth all’Hellfest è stato infatti del tutto incentrato sui classici, sempre amatissimi anche se a tratti riproposti in maniera un pelino differente dall’originale. “Hangar 18”, “In My Darkest Hour”, “Tornado Of Souls” e, come ovvio, “Symphony Of Destruction” e “Holy Wars” sono stati accolti da grandi ovazioni e cantate da tutto il pubblico nonostante la pioggia fosse tornata a farsi viva proprio sul più bello. È stata una performance molto solida, quella dei Megadeth: poche sorprese, ma tanta sostanza. Certi brani dal vivo, nonostante gli anni, non falliscono mai.
NEUROSIS
Nonostante la loro ricercatissima proposta non si addica più di tanto ad un festival e, soprattutto, nonostante il fatto che ad un quarto d’ora dalla fine del loro show, un genio tra l’organizzazione abbia inspiegabilmente dato il via agli Emperor sul Main Stage (con il risultato che ad un certo punto non si riusciva proprio a capire che cosa stesse fuoriuscendo dagli amplificatori!), i Neurosis hanno fatto un’ottima figura all’Hellfest. Del resto, tracce come “At The End Of The Road”, “Burn” o “The Doorway” sono talmente emozionanti da riuscire a rapire anche un’ascoltatore alle prese con temperature degne di gennaio, secchiate di pioggia, fango sino alle caviglie e vicini ubriachi e molesti. Il carisma di Scott Kelly e Steve von Till poi non si discute, anche se va sottolineato come entrambi si premurino sempre di far parlare la loro musica prima di tutto. Come dicevamo, peccato per il finale, rovinato dalla suddetta, folle scelta dell’organizzazione, ma tre quarti d’ora abbondanti di Neurosis, con tanto di immagini proiettate sullo sfondo del Gibson Stage, sono comunque valse tutte quelle pene.
EMPEROR
Persi i primissimi brani della loro setlist (si era nei pressi del Gibson Stage per assistere allo spettacolo dei Neurosis), abbiamo avuto modo di vedere all’opera gli imperatori del black metal norvegese a partire da “Thus Spake the Nightspirit” e di constatare come fossero ancora in grande forma a distanza di parecchi mesi dalla loro apparizione in quel di Londra. Nel corso dei concerti di band di questo tipo, capita spesso che i suoni non siano perfettamente calibrati e che non venga resa giustizia alle complesse trame dei brani, ma questa sera è sembrato che gli Emperor avessero curato ogni cosa nei minimi dettagli, tanto che a tratti, complice una performance impeccabile di Ihsahn alla voce, sembrava quasi di ascoltare un CD, se non di meglio (del resto, la produzione dei primi due full-length dei nostri è tutto fuorchè perfetta!). Un pezzo come “An Elegy of Icaros”, riproposto in un contesto simile, ha davvero fatto venire i brividi, ma è stato senz’altro “Inno A Satana” quello ad essere più acclamato dalla folla. In definitiva, quello di domenica 24 giugno è stato l’ennesimo gran concerto della band norvegese: pazienza se forse un nuovo album non verrà mai registrato, l’importante è che ogni tanto il terzetto si faccia vivo per regalarci show come questi.