18/06/2009 - HELLFEST OPEN AIR 2009 @ Clisson - Clisson (Francia)

Pubblicato il 13/07/2009 da

Report a cura di Emilio Cortese e Luca Pessina

Hellfest 2009: sbagliando si impara! Se ben ricordate, quando due anni fa Metalitalia.com aveva avuto modo di presenziare all’evento francese, era rimasta praticamente di stucco nel constatare la pessima organizzazione che aveva fatto da contorno a uno degli eventi metal più attesi dell’estate del 2007. Tornati quest’anno sul luogo del delitto – questa volta davvero pronti ad affrontare qualsiasi evenienza – siamo invece rimasti piacevolmente colpiti dai progressi compiuti sotto quasi ogni punto di vista dalle menti dietro al festival. Vero, solo una ventina di docce per un intero campeggio continuano a rappresentare una vergogna, ma almeno quest’anno queste ultime si sono rivelate funzionanti! Stesso discorso per gli ormai famigerati gettoni per la birra: ancora non capiamo perchè si voglia complicare in questa maniera la vita ai fan, obblingandoli nell’area concerti a cambiare il loro denaro con questi dischetti gialli, però c’è da dire che in questa edizione tutti i “punti birra” erano pronti ad accettarli e che non vi è quasi mai stata confusione su come procedere all’acquisto dei beveraggi. Solo belle parole invece per la sistemazione dei palchi – tutti a debita distanza gli uni dagli altri – per la qualità media dei suoni durante gli show, per la puntualità nell’inizio di questi ultimi e per la notevole presenza di stand. Alcune band hanno annullato la loro apparizione (Bring Me The Horizon, Pentagram…), ma per queste defezioni non si può certo incolpare l’organizzazione. Insomma, se da un lato ci sono ancora ampi margini di miglioramento, soprattutto sul fronte dei servizi igienici, dall’altro, anche se non sappiamo come siano andate le cose nel 2008, non si può proprio dire che l’edizione 2009 dell’Hellfest sia rimasta sulle stesse posizioni di due anni fa. Pare dunque che gli organizzatori – da sempre abilissimi nell’allestire un bill artistico vario e ricco di chicche – abbiano imboccato la strada giusta anche sotto il profilo strettamente organizzativo. Appuntamento all’estate prossima per la definitiva conferma!

MELECHESH

Ovviamente non potevamo perderci la prestazione del "nostro" Ashmedi nella Rock Hard Tent! Avendo i Melechesh rilasciato diversi album per la francese Osmose Productions, non ci stupisce constatare come il tendone sia discretamente affollato di fan locali e tanti altri curiosi. La band calca il palco con molta sicurezza e, grazie a dei suoni già piuttosto definiti e alla buona presenza scenica del suo leader, riesce a offrire uno spettacolo decisamente coinvolgente. Come prevedibile, sono i brani dell’ultimo "Emissaries" a essere protagonisti nella setlist, ma non mancano un paio di estratti dal precedente "Sphynx", i quali, a dire il vero, sembrano godere di maggiore popolarità fra il pubblico. Insomma, per quanto ci riguarda, un avvio di festival di tutto rispetto, all’insegna di un “metal sumero” che, a oggi, rende molto di più dal vivo che su disco.

AUGUST BURNS RED

E’ l’ora di pranzo quando gli August Burns Red, sulle note di una famosissima canzone elettronica in voga qualche tempo fa (di cui ignoriamo il titolo), fanno la loro comparsa sul palco. Partono subito alla grande sciorinando i pezzi forti dell’album “Messengers”: il loro metalcore è molto simile a quello già suonato da gruppi come As I Lay Dying o Unearth, ma è forte comunque di una certa efficacia e le loro canzoni si lasciano ascoltare molto volentieri. Presto poi si iniziano a formare i primi circle pit, chiamati a gran voce da un vocalist iperattivo, saltellante e sorridente. Vengono anche proposti alcuni brani da “Constellations”, che uscirà a luglio. Si tratta di “Existence” e di “Thirty And Seven”, in cui non si intravede un gran cambiamento all’orizzonte… ma tutto sommato agli August Burns Red, e ai loro fan, sembra vada bene così.

GOD FORBID

Calcano il palco principale nel primo pomeriggio di venerdì gli americani God Forbid. Alle loro spalle, stranamente, è esposto il manifesto di presentazione di “IV: Constitution of Treason”, album che precede la loro ultima fatica “Earthsblood”. Alla chitarra i nostri hanno reclutato il bravo Kris Norris (ex Darkest Hour) dopo l’abbandono di Dallas Coyle. Kris sembra essere all’altezza della situazione, ma non sappiamo ancora se si tratti di una sostituzione in pianta stabile o solo di un turnista per il tour intrapreso. Lo show viene incentrato su pezzi degli ultimi album per cui ecco arrivare le varie “Empire Of The Gun“ e “To The Fallen Hero” e “The End Of The World”, tutte riproposte con un certo impeto e una carica emotiva notevole. Il pubblico gradisce e iniziano infatti a sollevarsi i primi polveroni (che imperverseranno per tutta la durata del festival) dovuti al pogo che nelle prime file è già feroce.

TAAKE

A essere del tutto sinceri, ci rechiamo a vedere i Taake all’opera nella Rock Hard Tent soprattutto per curiosità. Siamo infatti ansiosi di vedere se il buon Hoest si renderà anche oggi protagonista di una delle sue solite performance ultra controverse! Purtroppo però rimaniamo delusi: questa volta i gioielli di famiglia restano saldamente all’interno dei pantaloni del frontman e non vi è ombra di svastiche o altri simboli di dubbio gusto disegnati sul suo petto. Spazio dunque alla musica… e questa non lascia affatto a desiderare! Il tocco groovy nel black metal del gruppo fa proprio faville in sede live, tanto che presto nelle prime file si scatenano focolai di pogo, cosa che non sempre avviene durante dei "trve" black metal show. Meglio così, comunque… la band sembra apprezzare la risposta del pubblico e porta a termine il concerto in un crescendo di furia e intensità.

SOILENT GREEN

Finalmente i Soilent Green! Chi scrive li aspettava in Europa da anni e naturalmente quando il quartetto di New Orleans arriva sul palco è tra le prime file, pronto a lasciarsi investire dalla miscela di death metal e sludge di cui il gruppo è da sempre alfiere. C’è da dire che, a livello di presenza scenica, i ragazzi oggi fanno il minimo indispensabile, ma sul fronte impatto e personalità davvero nulla da dire: Ben Falgoust II sbraita esattamente come su disco e il resto della band lo segue a ruota, non sbagliando praticamente niente e lanciandosi in una scaletta che fa letteralmente impazzire i fan della prima ora. Su circa una decina di brani proposti, metà provengono infatti dal debut "Sewn Mouth Secrets", mentre il resto viene diviso più o meno equamente tra gli ultimi tre full- length. Il primo grande show nella Terrorizer Tent!

ENTOMBED

Gli Entombed non sono una di quelle band che ha bisogno di presentarsi o di fare lunghi discorsi, sono il gruppo che meglio rappresenta la vecchia scuola svedese e vi è un nutrito gruppo di soggetti poco raccomandabili che li seguirebbe a occhi chiusi fino in capo al mondo. Lo sferragliamento e il suonaccio distorto al massimo che esce dai loro amplificatori e le urla sguaiate di Petrov sono le uniche cose che importano a chi è venuto sotto alla Rock Hard Tent a pogare. Vengono riproposti brani soprattutto dai primi album: “Left Hand Path”, “Wolverine Blues” ma anche “Clandestine”. Addirittura Alex Hellid si ritaglia un momento per riproporci, da solo, l’assolo di “Left Hand Path”, roba da pelle d’oca, brividi lungo la schiena e nodo alla gola! Una band da non farsi scappare per nessun motivo al mondo, attitudine death metal al cento per cento, energia allo stato puro e esperienza da vendere.

PIG DESTROYER

Lunga vita all’organizzazione dell’Hellfest per aver portato in Europa i Pig Destroyer! La band non suona live quasi mai, neppure negli Stati Uniti, quindi immaginate l’attesa che si è venuta a creare nella Terrorizer Tent poco prima del loro concerto! Quando arriviamo, il pit è già stra-colmo e quando i nostri attaccano in un attimo ci si ritrova nel pieno della terza guerra mondiale. E la cosa strana è che i Pig Destroyer, dal canto loro, fanno davvero poco per incitare gli astanti: i membri della band si muovono infatti pochissimo e, tra una traccia e l’altra, rimangono quasi sempre in silenzio. Giusto Blacke Harrison ogni tanto prova a comunicare con i fan, mentre il frontman JR Hayes sembra davvero timidissimo. E’ quindi solo ed esclusivamente la musica a dare spettacolo: il grind-core dalle forti influenze thrash del quartetto si presta infatti benissimo a essere riproposto live… il groove è poderoso, il tiro allucinante… impossibile resistere, ci togliamo la maglietta e partiamo anche noi con i calci volanti!

REPULSION

E’ un po’ triste constatare come la Rock Hard Tent sia piena solo per un terzo quando i Repulsion, tra i padri dell’intero movimento death e grind, calcano il palco. Purtroppo sembra proprio che il gruppo americano stia pagando oltremodo la sua lunghissima assenza dalle scene e uno status di culto sviluppatosi soltanto fra alcune frange di appassionati. In ogni caso, Scott Carlson e compagni danno l’impressione di non essere minimamente infastiditi dalla situazione e, giustamente, iniziano a suonare come se niente fosse, dando però molto più peso alla cura nell’esecuzione che allo spettacolo. Come ovvio, "Horrified" viene passato al setaccio e nessun classico rimane escluso dalla breve esibizione della band, che alla fine si congeda comunque tra i grandi applausi dei fedelissimi. Non uno show epocale, dunque, ma di certo vedere finalmente questi mostri sacri dal vivo ha fatto il suo effetto. Vergogna a chi non c’era!

JARBOE

Non sappiamo esattamente cosa aspettarci quando entriamo nella Terrorizer Tent per assistere allo show di Jarboe. L’ultimo "Mahakali" si è rivelato un lavoro notevole, ma non si sa come l’artista deciderà di esibirsi questa sera. Bastano però solo pochi minuti per lasciarci letteralmente a bocca aperta: non solo la cantante è dotata di una presenza scenica incredibile – è praticamente impossibile toglierle gli occhi di dosso – ma anche la band che la accompagna appare carichissima e molto coinvolta nella performance. In tutta sincerità, più che a un concerto di post metal tribale (?!?) sembra quasi di assistere a un rituale: Jarboe sembra posseduta da una forza superiore, con la sua voce fa qualsiasi cosa e attorno a lei vengono creati dei giochi di luci che fanno risaltare ulteriormente le sue movenze sciamaniche. Non c’è spazio per alcun dialogo col pubblico: 45 minuti senza alcuna pausa significativa e senza che Jarboe smetta per un secondo i panni di essere superiore. Ovviamente a noi va più che bene così… mai avevamo avuto modo di assistere a una esibizione tanto particolare. Per tutta la durata dello show la nostra mente si è svuotata. E’ stato quasi come essere in un altro mondo.

PARKWAY DRIVE

Mentre sul mainstage dell’Hellfest stanno suonando i Motley Crue, tra luci ed effetti speciali i Parkway Drive nella piccola e polverosa Terrorizer Tent insieme a un discreto mucchietto di sbraccianti fan si divertono un mondo. Già, il divertimento è proprio una delle caratteristiche principali degli show di questa band. Non ci è ancora ben chiaro cosa abbiano esattamente di speciale, forse la loro semplicità, forse le loro canzoni né troppo pesanti ma nemmeno talmente immediate da essere definite commerciali. Di fatto questo quintetto vanta uno zoccolo durissimo di fan che impazzisce per loro e per qualsiasi canzone… che suonino la loro classicona ormai “Idols And Anchors” o “Carrion” poco importa: questi australiani, specialmente in sede live, hanno questa capacità innata di coinvolgere e divertire con i loro show sempre adrenalinici, divertenti, efficaci e con uno stretto rapporto tra band e pubblico.

GOD SEED

Tocca ai God Seed di King e Gaahl chiudere il bill della Rock Hard Tent nella prima giornata. Praticamente ci troviamo davanti a quei Gorgoroth che sino a solo pochi mesi impazzavano sui palchi di tutta Europa – nè più, nè meno – e, a essere sinceri, è esattamente quello che ci stavamo aspettando. D’altronde, la formazione norvegese deve ancora pubblicare il suo album di debutto, di conseguenza il set si sviluppa sulle note dei due ultimi album dei Gorgoroth, con tanto di ormai consueta cornice a base di gente “crocifissa” ai lati del palco. Buona ma non eccezionale l’esibizione del gruppo, minata alla base da suoni un po’ confusi e da una performance di Gaahl non sempre sugli standard a cui il Nostro ci ha abituato. Forse anche i volumi giocano un brutto scherzo, in ogni caso non tutti i brani godono dell’impatto tipico dei Gorgoroth… ehm, dei God Seed! Sempre da brividi, comunque, la conclusiva “Prosperity And Beauty”… composizione magnifica che non ci stancheremo mai di ascoltare. Appuntamento ora al primo tour “ufficiale”, dove, se tutto va bene, avremo modo di fare conoscenza con il nuovo materiale composto da King.

DAGOBA

E’ l’una del pomeriggio di sabato quando i Dagoba montano su uno dei due palchi principali per riempire l’aria del loro groove terremotante. Il pubblico è già esaltato durante il soundcheck del drummer e c’è molta attesa per il quartetto di Marsiglia. Le veci del frontman sembra farle appunto Franky Constanza, il batterista, che tra una canzone a e l’altra prende il microfono, annuncia le canzoni, incita il pubblico e via dicendo. Lo show nel complesso è piacevole, purtroppo i suoni sono un po’ imprecisi, questa è la triste sorte che tocca alle band che devono suonare nelle prime ore dei festival, addirittura la doppia gran cassa della batteria è talmente triggerata che a tratti copre gli altri strumenti. Da menzionare tra i brani venuti meglio “The Nightfall and All Its Mistakes” e “It’s All About Time”, dove nonostante la voce di Vortex campionata i nostri riescono a catalizzare su di sé tantissimi sguardi incuriositi, specialmente del pubblico più giovane.

SOULFLY

Il sole è ancora alto sopra le teste del numeroso pubblico che alle 7 di sera è giunto sotto il palco principale per godersi lo show di Max Cavalera e soci. Da un concerto dei Soulfly non si sa mai bene cosa aspettarsi, nel senso che potrebbe accadere di tutto, Max potrebbe tirare fuori qualsiasi strumento e proporre qualsiasi canzone e/o medley. Anche questa volta lo spettacolo è all’altezza della fama, durante un paio di brani viene chiamato a suonare la batteria il figlio di Max, un ragazzino davvero già dotato di un notevole senso del ritmo. Da segnalare assolutamente un medley in cui vengono mischiate in maniera esemplare “ Jumpdafuckup” e “Eye For An Eye”, bellissima anche la riproposizione di “Roots” dei Sepultura, di cui poi viene anche suonata “Refuse/Resist”. Momenti di esaltazione totale per tutto il pubblico che ha letteralmente riempito tutto lo spazio di fronte e ai lati del palco. Finale un po’ sottotono, quando cioè viene chiamato un ragazzo dal pubblico a dare il suo contributo ai tamburi, non tanto per il ragazzo in sé, visibilmente emozionato e impacciato con una sola bacchetta in mano, ma perché in effetti il “momento tribale” in un concerto di poco meno di un’ora ci è sembrata una piccola forzatura.

IMMOLATION

Non si sa come mai, ma parecchie delle band che si esibiscono nella Rock Hard Tent nella mattinata e nel primo pomeriggio di sabato soffrono di suoni un po’ impastati o semplicemente bassi. Forse chi è al mixer deve ancora svegliarsi, oppure i gruppi preferiscono non andare troppo per il sottile. Tutto ciò, comunque, fino all’arrivo degli Immolation, i quali, come di consueto, calcano il palco e polverizzano fan e concorrenza con un muro di suono imponente, che lascia a bocca aperta l’intera folla che si è radunata per seguire il loro show. Naturalmente, anche a livello tecnico/esecutivo i death metallers newyorkesi non deludono, rendendosi protagonisti della solita esibizione ultra compatta, dalla quale emergono ancora una volte le grandissime doti di growler di Ross Dolan, che fra un brano e l’altro sa essere anche un frontman disinvolto e simpatico. Picco del concerto – ormai quasi una consuetudine – la mostruosa “World Agony”, traccia recente, ma ormai divenuta la prima vera grande hit del repertorio del quartetto.

GOJIRA

Sarà perché i francesi nutrono un forte spirito nazionalistico, sarà perché i death-thrasher Gojira stanno crescendo album dopo album in maniera esponenziale, sta di fatto che il quartetto guidato dai fratelli Duplantier in madrepatria nutre di un bel seguito di pubblico. Si apre con “Oroburus” e si prosegue con la splendida “Backbone”. I nostri sin dall’inizio si fanno notare per questa intensa passione, sia nello scrivere la loro musica che nell’interpretarla, senza troppi fronzoli e senza troppe presentazioni, magari con qualche siparietto divertente col pubblico, ma senza strafare. La loro musica trasuda energia, e con “From The Sky” probabilmente il loro concerto raggiunge il picco massimo di trasporto. La chiusura è per l’accoppiata vincente estratta dall’ultima fatica “The Way Of All Flesh”: parliamo di “The Art Of Dying” seguita dalla title track, due canzoni e un concerto che consacrano una volta di più una band dal grande valore e dal forte potenziale espressivo. Non ci resta che aspettarli in qualche tour da headliner anche dalle nostre parti.

ENSLAVED

Gli Enslaved sono ormai garanzia indiscussa di qualità. Non solo in studio – dove ormai sono anni che non sbagliano un colpo – ma anche dal vivo, situazione nella quale riescono sempre a ricreare le loro atmosfere alla perfezione, se non addirittura in maniera più intensa. La band suona con un trasporto incredibile e riesce a catalizzare l’attenzione degli astanti semplicemente con la sua musica: prova ne è il fatto che, pur non essendo certo i nostri degli animali da palco, l’intera Rock Hard Tent (letteralmente stra-colma!) ha gli occhi fissi su di loro e segue ogni evoluzione strumentale e vocale quasi in silenzio religioso. Ovviamente però all’attacco di ogni brano sale un boato da stadio… e, in questo senso, la palma di canzone più richiesta/acclamata va alla ormai mitica "As Fire Swept Clean The Earth", che chi scrive arriva addirittura a considerare il momento più intenso dell’intero Hellfest 2009. All’altezza di questo brano i prog black metallers norvegesi letteralmente superano loro stessi, proiettando nella nostra mente visioni apocalittiche e malinconiche al tempo stesso. Poi abbiamo cambiato idea, ma, concluso questo pezzo, per noi il festival poteva anche giungere al termine!

MACHINE HEAD

Cala la sera sull’Hellfest, il palco si illumina e sulle note di “Imperium” i Machine Fuckin’ Head, capitanati da solito esaltatissimo frontman Robb Flynn, fanno la loro spettacolare entrata in scena. I suoni sono potentissimi, pieni di groove, e la band sembra proprio essere in grande spolvero. Il pubblico sotto il palco letteralmente si ammazza, buttandosi in enormi cerchi di polvere, scagliandosi in wall of death veramente enormi, dietro alla bolgia la gente canta a squarciagola e si fa trascinare dai quattro californiani. La scaletta è ben distribuita e va a pescare brani da “The More Things Chang… ” e da “Burn My Eyes”, che ultimamente erano stati lasciati in disparte visto il successo di “The Blackening”. Da quest’ultimo album, però, ovviamente non viene tralasciato un brano come “Halo”, una di quelle canzoni che probabilmente in sede live i Machine Head riproporranno sempre, un po’ come “Descend The Shades Of Night” che non manca mai a un loro concerto, anche in situazioni (tipo nei festival, dove l’adrenalina è sempre a livelli altissimi) in cui potrebbe essere tralasciata. Si chiude ovviamente con “Davidian”, e anche stavolta i Machine Head non hanno deluso. Un nome che ormai è sinonimo di qualità in sede live.

SACRED REICH

Un nome non esattamente notissimo, ma di sicuro richiamo per tutti i fan della scena thrash statunitense, quello dei Sacred Reich. Riformatosi lo scorso anno per tenere alcuni show in giro per il globo, il gruppo dell’Arizona arriva all’Hellfest come uno dei nomi di punta della Rock Hard Tent. Ad accoglierlo c’è una folta schiera di fan – molti da poco reduci dall’ottimo show dei Machine Head – e i nostri si dimostrano palesemente soddisfatti e onorati dell’accoglienza. Il bassista/cantante Phil Rind conduce le danze e fa da tramite fra band e pubblico, presentando a dovere ogni pezzo e raccontando anche qualche aneddoto. La scaletta copre tutta la discografia della band (onestamente avremmo preferito più spazio all’ottimo "Ignorance") e questo sicuramente fa la gioia dei die-hard supporter dei nostri, che danno vita a un pogo di buone dimensioni e a un headbanging incessante. Sorpresa della serata e chicca da raccontare agli amici, l’arrivo di Dave McClain dei Machine Head dietro le pelli per l’esecuzione della title track di "Independent", disco che il Nostro registrò prima di unirsi alla band di Rob Flynn.

HACRIDE

Agli Hacride tocca esibirsi alle 11 del mattino, come prima band in assoluto della giornata di domenica. Non una posizione felicissima, soprattutto perchè buona parte del pubblico è ormai provata da 2 giorni di musica e party selvaggi. A seguire la performance del quartetto transalpino sul palco della Rock Hard Tent ci sono infatti poche centinaia di persone… un po’ pochino, considerato anche il fatto che i nostri giocano in casa. Comunque, gli autori del nuovo “Lazarus” non ci fanno caso e danno vita a un’esibizione di grande spessore: mezzora di musicasenza pause e interruzioni, che vedono gli Hacride presentare soprattutto il nuovo materiale. Su tutto spicca la riproposizione della lunga “My Enemy”, forse l’episodio migliore dell’ultimo disco, che viene suonato perfettamente dai musicisti e cantato ancora meglio da un Samuel Bourreau in forma smagliante. Avremmo preferito vederli suonare di sera e con magari più tempo a loro disposizione, ma, tutto sommato, non ci si può troppo lamentare. Una grande prova di bravura e professionalità.

PAIN OF SALVATION

Capitanati sempre più eclettico cantante-chitarrista Daniel Gildenlow, gli svedesi Pain Of Salvation partono con “Used” e, nonostante sia pomeriggio pieno, riescono subito a ricreare la giusta atmosfera soffusa, sognante, talvolta vagamente malinconica, talvolta allegra e saltellante. Si susseguono “America” e un delizioso medley che lega “Diffident” e “Nightmist”. Un simpatico siparietto del frontman rompe un po’ il ritmo facendo ironia sugli elementi “da festival”, riferendosi a chi si barda con copricapo con le corna da vichingo, scudi, armature e parrucche… roba da fuori di testa, proprio i motivi che spingono sempre i Pain Of Salvation a tornare ai festival, nonostante magari non sia proprio il loro contesto più congeniale. Vengono poi riproposte la sempre affascinante “Ashes” e “Handful Of Nothing”, a concludere veramente al meglio questa quarantina di deliziosi minuti.

MASTODON

Con “Crack The Skye” i Mastodon hanno fatto il colpaccio, hanno composto un album che ha permesso loro di imbarcarsi in tour con i Metallica e Lamb Of God, e li ha portati a toccare tutti i festival più importanti d’Europa. La loro performance all’Hellfest è stata decisamente all’altezza della situazione, l’imbrunire delle otto di sera crea quel gioco di luci e ombre che rende oltremodo sognanti le melodie estratte dalla loro ultima fatica. Ad aprire ovviamente è “Oblivion”, seguita da “The Wolf Is Loose”, le due tracce d’apertura degli ultimi due album. Dopo “Crystal Skull” i nostri si giocano subito un altro pezzo forte, se non proprio il loro vero e proprio pezzo forte per antonomasia, “Blood And Thunder”, che immediatamente solleva l’ormai celebre polverone del pogo nelle prime file. Seguono “The Czar…” e “Crack The Skye”, dove a farla da padrone sono, oltre alle doppie voci eseguite veramente bene, gli intrecci strumentali ipnotizzanti, lunghi e arzigogolati. Chiudono molto bene “Iron Tusk” e la bellissima “March Of The Fire Ants”, unica estratta da “Remission”.

EUROPE

Tocca agli Europe accompagnare il tramonto di domenica e ravvivare un pubblico che ormai comincia ad essere stremato dalla fatica di tre giorni di festival. Dopo un inizio in cui vengono riproposti alcuni brani dall’ultima fatica, ecco che i nostri iniziano a sfoggiare quei pezzi del loro repertorio che li hanno resi famosi, che sono presenti in qualsiasi raccolta, in ogni loro “Best Of” e che, anche i più duri e incorruttibili sotto sotto conoscono e, a denti stretti, canticchiano. “Superstitious”, “Ready Or Not”, e “Rock The Night” scatenano la festa, e “Cherokee” convince anche i più scettici detrattori. Gli Europe sono in grande forma e non sbagliano un colpo, lanciandosi a piena velocità verso il gran finale: l’immancabile “The Final Countdown”! Una canzone che conoscono anche i muri, ormai, e che letteralmente paralizza un festival, praticamente chiunque stesse facendo qualcosa in quel momento si è voltato e non ha resistito a cantare a squarciagola il ritornello e la celeberrima melodia di tastiera. Un momento di unione per tutti, una band in grande forma che ha suonato in maniera impeccabile, divertendo e divertendosi. Applausi.

DREAM THEATER

Puntuali come in tutti i loro attacchi controtempati, i Dream Theater si presentano di sera sul palco principale con l’introduzione registrata che riprende i primi frammenti di tutti i loro album, attaccando poi con “In The Presence Of Enemies”, traccia d’apertura di “Systematic Chaos” (nei giorni dell’Hellfest “Black Clouds & Silver Linings” non era ancora nei negozi, ndR). Petrucci sfoggia un’inedita maglia di Burzum e Portnoy è in forma smagliante. Il menù stasera prevede: lancio delle bacchette dietro le quinte da parte dell’eclettico drummer e relativa ripresa senza perdere il tempo; sfida chitarra contro tastiera spaziale in mezzo al palco; splendido medley “Erotomania”/”Voices” e gran dessert “Metropolis”. A condire il tutto abbiamo una splendida “Beyond This Life” e la presentazione del singolo del disco in uscita. Inutile stare a decantare le lodi tecniche di una band che nel corso degli anni ha dimostrato tutto quello che c’era da dimostrare e si è guadagnata di forza un posto tra i grandi del presente.

MANOWAR

Dobbiamo ancora riprenderci dall’ignorantissimo concerto degli Hatebreed quando "I Re Del Metal" calcano il palco principale dell’Hellfest per regalarci l’ultimo show dell’Hellfest 2009. Chi scrive non assiste a una esibizione del quartetto da parecchio tempo e non può fare a meno di notare come il buon Eric Adams sia invecchiato, almeno a livello fisico. Gli anni, del resto, passano per tutti! Chi invece pare sempre più o meno uguale è Joey Demaio: quando la tinta nera fa miracoli! Comunque, bisogna dire che non si respira una grande aria di eccitazione tra gli astanti: sarà forse perchè l’Hellfest è un festival dall’impronta piuttosto estrema e che quindi il pubblico non è esattamente composto da "defender"… sta di fatto che moltissima gente sembra assistere al concerto dei Manowar più per pura curiosità che per altro. I fedelissimi ovviamente coprono completamente la zona immediatamente di fronte al palco, ma ai lati sono tanti quelli che decidono di sedersi o, più semplicemente, di andarsene. In ogni caso, il gruppo non pare farci caso e si cimenta nella sua consueta performance. La prima mezzora fa una buona impressione perchè molto intensa e serrata: Adams e compagni si concedono poche pause e interpretano classici come "Manowar" o "Blood Of My Enemies" con una fedeltà notevole. Poi invece la setlist inizia a venire diluita dai soliti discorsi manowariani, dai siparietti di Demaio (uno anche con protagonista l’organizzazione del festival, ringraziata pubblicamente) o, semplicemente, da break per rifiatare. Come dicevamo, gli anni passano per tutti, quindi la cosa non ci stupisce. "Hail And Kill" comunque fa sempre la sua figura, così come lo spettacolo pirotecnico a base di fuochi d’artificio allestito subito dopo "The Crown And The Ring". Non sappiamo se l’idea sia stata dei Manowar o dell’Hellfest, tuttavia come conclusione – dello show e dell’inntero festival – ha calzato benissimo. Che altro dire… forse il periodo d’oro dei Manowar è del tutto tramontato, ma dal vivo il gruppo sa ancora offrire qualche momento di grande spessore.

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