Introduzione e report a cura di Roberto Guerra e Daniele W. Re
Immaginate di essere in tenda, la mattina, rigorosamente coi postumi del faticosissimo Knotfest e della successiva festa in area camping, quando ecco che vi arriva un simpatico messaggio di buongiorno dall’Italia, in cui vi viene fatto simpaticamente presente che uno degli headliner della prima giornata giornata dell’Hellfest 2019, per molti il più atteso, ovvero i Manowar, ha cancellato la sua esibizione. Solo in seguito verranno rilasciate varie dichiarazioni, da parte di band e staff del festival, dalle quali potremo dedurre che le presunte cause siano derivate da complicazioni di carattere tecnico e organizzativo. Personalmente fatichiamo tuttora a capire quanto grave possa essere una situazione a tal punto da portare una band di professionisti a disdire la propria performance ad un evento importante come l’Hellfest; performance per altro annunciata in pompa magna sul medesimo palco, da mister Joey De Maio in persona, durante la passata edizione. Tenendo conto, purtroppo, della scarsa credibilità che permea i vari comunicati della band americana, risulta difficile giustificare quanto accaduto, messo in scena da una formazione che ha sempre affermato di volere i propri fan al primo posto, quegli stessi fan che rimarranno delusi e a bocca asciutta, nonostante il denaro speso, in questo esordio di manifestazione.
Fortunatamente, a discapito dell’amarezza causata da questa assurda notizia, cui seguiranno ovviamente numerose polemiche sul web, tutti i presenti potranno contare, nelle ore seguenti, su di un bill che rimane, comunque, di altissimo livello, e che vedrà alternarsi on stage artisti quali King Diamond, Dream Theater, Carcass e, in veste di squadra ospitante, le superstar del metal francese Gojira; il tutto con la sorpresa del ritorno sul palco dei Sabaton, per la seconda sera di fila, a parziale compensazione della ‘dipartita’ dei Manowar. Con ciò, auguriamo a tutti una piacevole lettura, e buon primo giorno di Hellfest!
GLORYHAMMER
Sotto il sole cocente di mezzogiorno, iniziamo la nostra avventura all’Hellfest 2019 in compagnia della simpatica band scozzese che risponde al nome dei Gloryhammer, prontamente equipaggiati di armature e abiti sgargianti degni di un’edizione del Lucca Comics. Con solo mezz’ora a disposizione, il buon Thomas Winkler, in arte Angus McFife, e i suoi compagni d’armi, portano in scena uno show divertente, confezionato adeguatamente e ben accolto dai presenti, con alcuni richiami al nuovo album “Legends From Beyond Galactic Terrorvortex”, senza però tralasciare apprezzati inni alla conquista come “The Hollywood Hootsman”, “Universe On Fire” o la stessa “Angus McFife”, sulla quale il vocalist si presenta. Nonostante i suoni non giovino particolarmente alla colorata e allegra proposta musicale dei Gloryhammer, i trenta minuti scorrono via lisci e con più di un momento di goliardia e divertimento, comprese le battute finali in concomitanza della nota “The Unicorn Invasion Of Dundee”. Come per molte altre formazioni attuali, si tratta sicuramente di una band che trarrebbe beneficio dalla possibilità di esibirsi in altre condizioni, ma resta il fatto che noi ci siamo divertiti molto e possiamo approcciarci alla lunga giornata con un bel sorriso.
(Roberto Guerra)
Setlist:
The Siege of Dunkeld (In Hoots We Trust)
Gloryhammer
Angus McFife
The Hollywood Hootsman
Hootsforce
Masters of the Galaxy
Universe on Fire
The Unicorn Invasion of Dundee
BLACKRAIN
Due parole in merito al breve show di questa piacevole formazione francese, di genere prevalentemente hard rock moderno ma anche fedele agli stilemi anni ’80, possiamo spenderle. Ben sedici anni di carriera per i Blackrain, interamente dedicati a una proposta che rimanda al cosiddetto sleaze metal, a base di ritornelli orecchiabili e a tinte pop, e forte anche di un look sgargiante e perfettamente in linea con quanto ci si aspetterebbe da una creatura simile. Di originalità non ce n’è traccia, ma tutto sommato va bene così, trattandosi di quattro rocker vogliosi di divertirsi di fronte al proprio pubblico, il quale attualmente non raggiunge ancora numeri da capogiro, ma che si assesta su livelli decisamente più alti rispetto a quanto ci saremmo aspettati. Quaranta minuti in cui il divertimento senza fronzoli e alla portata di tutti, da parte di una band che si definisce come parte di una razza morente, l’ha fatta tendenzialmente da padrone. Senza infamia e senza lode.
(Daniele Re)
SONATA ARCTICA
Dal power metal che ci fa sorridere, passiamo a quello che ci mette un tantino di malumore, per lo meno la stragrande maggioranza delle volte che lo approcciamo: quello dei finlandesi Sonata Arctica. Nonostante l’entusiasmo che avevamo espresso in occasione del loro spettacolo acustico, dobbiamo esternare nuovamente il nostro disappunto, non solo per la scaletta decisamente blanda e sottotono, ma anche, e soprattutto, per la quasi totale assenza di grinta e impatto che è possibile percepire da parte di uno sfiatato Tony Kakko e di una formazione che, a volte, non ci ricorda nemmeno quella che ci faceva urlare a squarciagola sulle note di “FullMoon”, proposta anche in questa occasione ma con risultati chiaramente meno entusiastici. Con il tour da headliner in arrivo, insieme al nuovo album, non sappiamo bene che tipo di aspettative avere nei confronti di una band con cui, comunque, molti di noi hanno trascorso innumerevoli ore di ascolto; la nostra speranza, ovviamente, risiede nel contesto differente e, si spera, in una scaletta curata un po’ meglio. Passiamo oltre.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Closer to an Anima
Black Sheep
The Day
No Dream Can Heal a Broken Heart
FullMoon
Life
CONAN
Ci spostiamo sul palco denominato The Valley per assistere al concerto dei Conan, band stoner-doom inglese che nei soli quaranta minuti a disposizione riesce a entusiasmarci e a convincerci in pieno grazie alla loro particolare proposta musicale: massiccia e compattissima e che, in questa specifica sede live, viene ulteriormente impreziosita da dei volumi letteralmente assordanti, ma tutto sommato ben bilanciati, e in cui le vibrazioni regalate dalla sezione ritmica e dalla cupa e cavernosa voce di Jon Davis riescono a farci tremare gli organi interni su “Prosper On The Path”; non possiamo esimerci dal rimanere avvolti, poi, dalle ipnotiche ritmiche di “Eye To Eye To Eye”, per un’accoppiata di tracce entrambe tratte dal recente “Existential Void Guardian”. Una prestazione, questa dei Conan all’Hellfest, granitica e angosciante, come era lecito attendersi da una delle band più in forma del panorama stoner.
(Daniele Re)
GODSMACK
Nonostante la nostra intenzione iniziale, dopo l’assordante show dei Conan, consistesse più che altro sulla possibilità di riposarci prima della mazzata successiva, abbiamo deciso di dare comunque una chance all’esibizione dei Godsmack, consci dell’immensa popolarità di cui gode la nota alternative metalband statunitense, a cui ci sentiamo legati affettivamente per via della loro partecipazione alla colonna sonora del secondo capitolo della saga videoludica “Prince Of Persia”, con i brani “I Stand Alone” e “Straight Out Of Line”. La prima delle due, neanche a farlo apposta, viene utilizzata proprio come traccia di chiusura di un concerto che ci sentiremmo quasi di etichettare con un solo epiteto: sorprendente! Non ce ne vogliano i loro fan, ma per chi scrive era la prima volta che capitava l’occasione di vedere i Godsmack dal vivo, e considerando il perfetto bilanciamento tra suoni, canzoni selezionate e coinvolgimento generale, possiamo dire di essere rimasti piacevolmente colpiti. Sully Erna è davvero un frontman con tutti i crismi e l’intera band, malgrado la calda ora pomeridiana, fa sfoggio di un’energia degna di una band headliner; a ciò aggiungeteci anche una divertente battaglia a colpi di batteria, e il gioco è fatto. Decisamente da rivedere in separata sede, alla prima occasione.
(Roberto Guerra)
Setlist:
When Legends Rise
1000hp
Awake
Unforgettable
Something Different
Say My Name
Bulletproof
I Stand Alone
POWER TRIP
Da molti etichettati come une delle più interessanti realtà di genere thrash metal del nuovo millennio, gli americani Power Trip esordiscono all’Hellfest sfruttando a pieno la quarantina di minuti a propria disposizione, nonché i suoni equalizzati con cura maniacale. Come nel caso dei precedenti Conan siamo al cospetto di uno dei palchi ‘secondari’ del festival, e più precisamente l’Altar, che per l’occasione si presenta gremito di metallari vogliosi di scatenarsi in un sano e coinvolgente moshpit. Cosa che puntualmente accade pressoché su ogni pezzo, per la visibile gioia dei quattro americani che, costantemente incitati dallo scatenato pubblico, non si risparmiano snocciolando thrash metal a tinte crossover senza soluzione di continuità, e senza concedere il benché minimo respiro ai presenti. Vediamo volare nel pogo magliette, scarpe, bicchieri, cappellini, zaini, a indicazione del delirio totale sollevato da questi ragazzi; nel frattempo, il numero di persone che si dedicano al crowd-surfing sembra non volersi arrestare, al punto da farci pervadere dall’entusiasmo fino a partecipare anche noi, con pindarici voli sulle note trascinanti di “Executioner’s Tax”, “Crucifixation” e della conclusiva “Manifest Decimation”. Un gran concerto quello dei Power Trip, dotati di un’energia da giovani ma anche di un’attitudine da veri e propri veterani.
(Daniele Re)
Setlist:
Soul Sacrifice
Executioner’s Tax (Swing of the Axe)
Nightmare Logic
Firing Squad
Crucifixatio
Hornet’s Nest
Murderer’s Row
Waiting Around to Die
Manifest Decimation
DEMONS & WIZARDS
Molto atteso dagli amanti del genere é il ritorno in sede live del side-project di Hansi Kursch e Jon Schaffer, a parecchi anni di distanza dall’ultima volta che ci era stato possibile assistere a un concerto dei Demons & Wizards. Sebbene il ricordo di quella famosa apparizione al Gods Of Metal del 2000 non sia propriamente dei più entusiastici, a ‘sto giro confidiamo di poter assaporare una performance diversa, anche grazie alla presenza del giovane Jake Dreyer alla chitarra solista. Proprio lui rappresenta, ahinoi, l’elemento più sfortunato del combo, dal momento che, per la prima parte dell’intero show, sarà un problema tecnico dietro l’altro, con continui cambi di chitarra e ri-settaggi dell’amplificazione. Ciò si traduce in una resa di tracce come “Poor Man’s Crusade” e “Crimson King” non all’altezza degli standard, complice anche un Hansi sempre iconico ma più fermo del solito nella sua posizione on stage. Fortunatamente la situazione migliora, insieme al comparto volumi, in tempo per le inattese cover di “Burning Times” e “Welcome To Dying”, rispettivamente di Iced Earth e Blind Guardian, le band principali dei due membri fondatori: apprezzate, ma tutto sommato con un retrogusto di riempitivo. L’accoppiata “The Gunslinger” / “Terror Train” dona una luce nuova allo show dei Demons & Wizards, trattandosi di due dei loro brani migliori, eseguiti fortunatamente con l’ausilio di suoni sufficientemente potenti, così come le conclusive “Blood On My Hands” e “Fiddler On The Green”, che concludono una performance un po’ intasata e, per certi versi, forse lievemente deludente, anche se non sono mancati gli spunti positivi. Ci auguriamo che la loro prossima gig, in quel di Wacken, possa riservarci altri tipi di emozione.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Rites of Passage
Heaven Denies
Poor Man’s Crusade
Crimson King
Burning Times (Iced Earth cover)
Welcome to Dying (Blind Guardian cover)
The Gunslinger
Terror Train
Blood on My Hands
Fiddler on the Green
PESTILENCE
Tornando in prossimità dell’Altar Stage, ci accingiamo ora a fare una bella abbuffata di death metal suonato alla vecchia maniera, in compagnia degli olandesi Pestilence e di uno show che, come da programma, verte fortemente sulla commemorazione del capolavoro “Consuming Impulse”, del quale vengono proposti ben sette estratti, accompagnati dalla micidiale accoppiata “The Secrecies Of Horror” / “Twisted Truth” e dalla conclusiva “Land Of Tears”, provenienti dall’altrettanto apprezzabile “Testimony Of The Ancients”. Con un simile armamentario death metal, si può tranquillamente glissare su una iniziale, e francamente inutile, “Non Physical Existent”, emblema degli ultimi dieci anni, in cui il buon Patrick Mameli ha evidentemente cercato di deviare in territori non del tutto idonei alle sue corde. Il feroce frontman, infatti, ha costruito il suo nome sul death metal vecchia scuola, ed è proprio questo che vogliamo da lui: cinquanta minuti di mazzate a profusione, stimolate da un songwriting che continua a sembrarci attuale, nonostante gli anni trascorsi, e sprigionate da una lineup nuova di pacca e perfettamente sul pezzo. Il sound devastante che caratterizza i concerti nei tendoni, immancabile se si parla di death metal violento e metallico, è un’altra caratteristica che non dimenticheremo facilmente di questa edizione dell’Hellfest, anche grazie a concerti come questo.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Non Physical Existent
Suspended Animation
Dehydrated
The Secrecies of Horror
Twisted Truth
The Process of Suffocation
Chronic Infection
The Trauma
Reduced to Ashes
Land of Tears
DREAM THEATER
Tempo di progressive metal sul Main Stage 2 dell’Hellfest, e non di un gruppo qualsiasi, bensì quello della prog metal band per antonomasia: Dream Theather! Sulle qualità tecnico- compositive e sulla maestria dei musicisti in sede live si sono già spesi fiumi di parole, così come sulle controverse condizioni dell’ugola di James Labrie che, anche qui a Clisson, dobbiamo purtroppo constatare essere uno dei veri punti deboli della formazione in sede live. I fasti di un tempo sono decisamente passati ed è triste appurare come la mancanza della spinta vocale penalizzi pesantemente tutta la performance dei DT. Ad ogni modo, considerato il tempo a propria disposizione di circa un’ora, la band opta comprensibilmente per una scaletta incentrata su estratti della nuova uscita discografica “Distance Over Time”, proponendone addirittura quattro sugli otto complessivi di scaletta. Per i restanti slot, spiccano gli estratti da “Awake” e da “Falling Into Infinity”, per la gioia dei fan più legati al primo periodo del gruppo, che hanno avuto un sussulto di gioia anche per “The Dance of Eternity”, tratta da “Metropolis pt2”. Il concerto dei cinque statunitensi segue la linea consolidata dalla band, che verte principalmente sull’esecuzione dei brani senza soluzione di continuità e senza perdersi in particolari fronzoli o intrattenimenti con il pubblico; ciò restituisce una prestazione sicuramente impeccabile a livello strumentale, ma oggettivamente senza peculiari picchi emozionali o momenti di pathos. I Dream Theather oggi sono così, prendere o lasciare.
(Roberto Guerra e Daniele Re)
Setlist:
Untethered Angel
As I Am
Fall Into the Light
Barstool Warrior
Peruvian Skies
The Dance of Eternity
Lie
Pale Blue Dot
DROPKICK MURPHYS
Forti di una carriera ormai più che ventennale e, soprattutto, di una proposta musicale trascinante e divertente, in grado di fondere perfettamente punk rock e folk irlandese, i Dropkick Murphys sbancano il noto festival francese, regalando una prestazione sopra le righe per quanto concerne intensità, energia e soprattutto gran spasso per tutti i presenti, anche quelli non completamente affini a questo tipo di sonorità. Con queste semplici righe possiamo riassumere l’ora e dieci a disposizione dei ragazzotti di Boston che, visibilmente galvanizzati dalla partecipazione del pubblico, letteralmente scatenato in balli e canti con relativi crowd-surfing annessi, non intendono risparmiarsi in alcun modo, snocciolando uno dopo l’altro quasi venti brani, in grado di riassumere potenzialmente tutta la loro carriera discografica, trovando inoltre lo spazio per l’inserimento di alcune apprezzate cover come, per esempio, la mitica “You’ll Never Walk Alone”. L’intro affidato a “Cadence to Arms” dà inizio alle danze, mentre “The Boys Are Back” scalda ulteriormente l’ambiente insieme alle successive “Going Out in Style” e “Blood”, rendendo il clima ancora più incandescente grazie a volumi ottimamente bilanciati e con cui si riescono ad apprezzare anche i diversi inserti folk, oltre che le semplici ma efficaci ritmiche punk rock. Come scritto, non si contano i focolai di entusiasmo che prendono vita in mezzo alla folla, così come non si contano le decine e decine di persone che si lanciano letteralmente oltre le transenne. Un vero delirio! Le conclusive “The State of Massachusetts”, “Rose Tattoo” e la famosissima “I’m Shipping Up to Boston” aggiungono ulteriore intensità, portando pressoché tutta l’area del festival in modalità goliardica; un risultato che ci fa senza ombra di dubbio promuovere a pieni voti la prestazione odierna dei Dropkick Murphys.
(Daniele Re)
Setlist:
Cadence to Arms
The Boys Are Back
Going Out in Style
Blood
Prisoner’s Song
Johnny, I Hardly Knew Ya
Caught in a Jar
The Walking Dead
Don’t Tear Us Apart
First Class Loser
Out of Our Heads
I Fought the Law (The Crickets cover)
Cruel
The Irish Rover
The State of Massachusetts
You’ll Never Walk Alone (Rodgers & Hammerstein cover)
Rose Tattoo
Until the Next Time
I’m Shipping Up to Boston
POSSESSED
Dopo una meritata pausa, torniamo ancora a parlare di death metal, e non di una band qualunque; piuttosto, vogliamo raccontarvi del concerto ad opera di quella che, tra gli amanti del genere, viene etichettata come la prima, autentica formazione appartenente al filone estremo per eccellenza. In particolare, quel capolavoro immortale che è ancora oggi l’album “Seven Churches” viene da molti considerato come il primo disco death metal della storia, anche grazie alla presenza del brano omonimo, oggi utilizzato come degna conclusione di quello che ricorderemo, a fine giornata, come un vero e proprio massacro. Il diabolico Jeff Becerra non fa sconti a nessuno, portando sfoggio di una presenza scenica inimitabile e di un’interazione col pubblico più che apprezzabile, anche durante le pause, abbinate chiaramente a una interpretazione della violenza musicale a dir poco unica. La lineup che lo accompagna, pur non avendo nessuno che fu parte della formazione storica, si dimostra la migliore che il leader indiscusso potesse scegliere, in grado di trasmettere tutta la carica blasfema e distruttiva di brani come “Pentagram”, “The Heretic”, “The Eyes Of Horror”. Il nuovissimo e atteso “Revelations Of Oblivion”, con nostra somma delizia, conferma anche dal vivo le favolose impressioni espresse in fase di recensione, grazie a un songwriting che rispecchia alla perfezione quello dei primi lavori, arricchendone quasi la formula seppur senza stravolgimenti non necessari. Con i muscoli ancora doloranti e il peculiare effetto acufene, archiviamo lo show dei Possessed descrivendolo come uno dei migliori della giornata.
(Roberto Guerra e Daniele Re)
Setlist:
No More Room In Hell
Pentagram
Tribulation
Demon
Evil Warriors
The Heretic
Abandoned
Storm In My Mind
The Eyes Of Horror
Graven
The Exorcist
Fallen Angel
Death Metal
SABATON
Come anticipato nel corso del report del Knotfest meets Hellfest, la situazione per i Sabaton, al momento dell’ingresso on stage, non è delle più semplici da gestire: il corpulento frontman Joakim Brodén, già la sera prima in evidente difficoltà, si presenta debole e del tutto privo di voce, nel vero senso della parola. Visibilmente in uno stato di salute precario, egli dà il meglio di sé nelle iniziali “Ghost Division”, “Winged Hussars” e “Resist And Bite”, per poi decidere di lasciare alla sua accoppiata di chitarristi, Tommy Johansson e Chris Rorland, il compito di cantare per la successiva ora di concerto, continuando comunque a metterci la faccia e a partecipare allo show, come un degno leader dovrebbe sempre fare. I due musicisti in questione risultano perfettamente in grado di svolgere l’incarico, pur con l’ausilio di qualche lyrics scritta; soprattutto il primo dei due, in quanto cantante di diverse band di genere affine, è dotato di un’estensione che farebbe invidia a molti colleghi. Il sapore della scaletta, con un tale stravolgimento, risulta chiaramente diverso rispetto alla norma e si possono certamente notare un paio di incertezze, sebbene non mancano i momenti degni di più di un applauso, ad esempio in concomitanza della grintosa “40:1” preceduta da un simpatico siparietto, in cui persone del pubblico vengono invitate sul palco per bere e mangiare a un tavolo, in occasione della festa svedese dell’arrivo dell’estate.
Nonostante la situazione particolare, i Sabaton adempiono al proprio compito imprevisto con una passione e un cuore che, fino ad ora, non avevamo quasi mai visto da parte di nessuno sul palco di un festival: lo stesso Joakim, verso le battute finali, scoppia letteralmente a piangere, ringraziando la crew e i suoi compagni, per aver reso possibile tutto ciò; e naturalmente il pubblico, che avrebbe potuto tranquillamente voltare le spalle al palco ma che ha invece scelto di rimanere a dare il proprio supporto, riconoscendo l’impresa che la band si accingeva ad affrontare. Potrete sicuramente minimizzare la cosa, in quanto si tratta del loro lavoro, ma vogliamo farvi riflettere un attimo in merito: pensate al fatto che questi cinque ragazzi hanno scelto di mettersi in gioco, sfruttando un’opportunità imprevista, salendo sul palco in una posizione da headliner, nonostante i rischi in termini di performance, e relativa risposta, che le loro condizioni anomale avrebbero potuto comportare; il tutto continuando sempre e comunque a metterci la faccia, e conculdendo più che dignitosamente il concerto. Forse non saranno la band migliore al mondo, e di certo non avranno mai il ruolo storico di coloro che hanno sostituito, ma i Sabaton hanno dimostrato di amare davvero il proprio lavoro e il metal in generale, e per questo meritano grande rispetto, degno di una band di serie A. D’altronde, un vero guerriero non abbandona mai il campo di battaglia, nemmeno se il terreno e le condizioni risultano sfavorevoli.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Ghost Division
Winged Hussars
Resist And Bite
Fields Of Verdun
The Price Of A Mile
Shiroyama
Bismarck
The Lion From The North
Carolus Rex
Night Witches
The Lost Battalion
40:1
The Last Stand
Primo Victoria
Swedish Pagans
To Hell And Back
GOJIRA
Pur avendo scelto di dare priorità ad altro, ci risulta doveroso spendere qualche parola sullo show dei Gojira, veri e propri padroni di casa sul palco del festival francese. In patria, Joe Duplantier e soci sono infatti venerati come delle vere e proprie rockstar inaffondabili, e ci crea quasi un senso di commozione tutto ciò, soprattutto pensando all’atteggiamento vergognosamente distaccato che i fan italiani tendono ad avere nei confronti delle proprie band più famose. Un ingresso sulle composizioni cervellotiche di “Oroborus”, “Backbone” e “Stranded” è già sufficiente a far impazzire il pubblico locale, davvero numeroso e coinvolto da una compagine che è riuscita, in pochi anni, a far splendere nuovamente la Francia nel firmamento dedicato alla musica metal. Riuscendo inoltre a far breccia nel mercato in modo inaspettato, con un technical death metal particolare e di difficile imitazione, tanto da riuscire quasi a fare scuola per molti musicisti presenti e del futuro. “L’Enfant Sauvage” e “The Shooting Star” precedono il primo di ben due encore, in cui trova spazio il classico assolo di batteria ad opera di Mario Duplantier, oltre alle attese “Clone”, “Vacuity” e la conclusiva “The Gift Of Guilt”, unico brano della seconda ripresa finale di show. Ciò cui abbiamo assistito, eseguito con cura maniacale e comparto sonoro demolitivo, conferma ciò che molti sostengono in merito ai Gojira e al loro operato all’interno di una scena in continua evoluzione. Perciò un plauso a loro e anche al pubblico francese, il quale dimostra di tenerci a supportare adeguatamente le band indigene.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Oroborus
Backbone
Stranded
Flying Whales
Love
The Cell
Terra Inc.
Silvera
L’Enfant Sauvage
The Shooting Star
Blow Me Away You(niverse)
Clone
Vacuity
The Gift Of Guilt
KING DIAMOND
Dopo esserci commossi coi Sabaton ed esserci presi letteralmente a legnate coi Carcass, facciamo ora una capatina notturna nell’area dedicata al Temple Stage, in attesa di assistere all’ultimo concerto di questa prima giornata di festival. Sua maestà King Diamond è letteralmente ‘il Re’ di un determinato modo di proporre la musica metal, a base di atmosfere lugubri e derive al limite del macabro, sempre rimanendo attaccato agli stilemi tipici dell’heavy metal nudo e crudo. In questa occasione, oltre a una scenografia che ritrae qualcosa di simile a un manicomio, invece di una casa stregata, l’iconico frontman danese vuole proporre qualcosa di speciale: in soccorso alla nuovissima “Masquerade Of Madness”, la scaletta viene arricchita con brani che non facevano parte del repertorio live del Re ormai da parecchio tempo: da “Burn” e “Voodoo” fino ad arrivare a “The Invisible Guests” e a una “The Lake” suonata l’ultima volta nel lontano 1986; oppure l’impensabile “Behind These Walls”, mai eseguita dal vivo prima d’ora. Per il resto, le immancabili “A Mansion In Darkness”, “Welcome Home” e “Sleepless Nights” riescono a trasmettere ancora oggi un senso di inquietudine difficile da imitare, grazie all’interpretazione magistrale di cui può vantarsi mister Kim Bendix Petersen, sostenuto come sempre da una band di portenti; in particolare, gli axemen Andy LaRocque e Mike Wead si rendono veri protagonisti in più di un’occasione. Qualche lieve calo vocale e una setlist non corta ma nemmeno lunga come avremmo desiderato, non bastano a minare la nostra valutazione nei confronti di un’altra esibizione degna di giocarsi il premio per la migliore in assoluto della giornata. Dopo un ultimo incubo sulle note di “Black Horsemen”, possiamo finalmente andare a dormire, prima di una seconda giornata apparentemente meno densa di questa, ma con più di una sorpresa in serbo.
(Roberto Guerra e Daniele Re)
Setlist:
The Candle
Voodoo
Arrival
A Mansion In Darkness
Masquerade Of Madness
Halloween
Welcome Home
The Invisible Guests
Tea
Sleepless Nights
Behind These Walls
The Lake
Burn
Black Horsemen