Introduzione e report a cura di Roberto Guerra e Daniele W. Re
Superata, più o meno, l’amarezza provata il giorno precedente a causa della discutibile ritirata dei Manowar, possiamo ora approcciarci a quella che si prospetta come una seconda giornata leggermente meno densa, almeno per quanto concerne i nostri gusti personali. Il che rappresenta una buona occasione per avere modo di godere, con tutta la beatitudine del caso, delle numerose fonti di intrattenimento messe a disposizione dall’organizzazione del festival, nonché delle suggestive strutture con scopo decorativo e/o ricreativo, tra cui un’area dotata di nebulizzatori in perenne attività, necessari con delle temperature simili, nonché la toccante statua rappresentante il compianto Lemmy, sotto la quale è possibile bere una birra in suo onore tra amici. Ciò nonostante, sarebbe erroneo non riconoscere comunque la presenza di un più che discreto numero di artisti interessanti con una discreta prevalenza old school, ed è anche e soprattutto per questo che siamo qui! Infatti, bando alle ciance, siamo ora pronti a descrivervi una ad una le esibizioni cui abbiamo avuto modo di assistere. Buona lettura!
FM
Mezzogiorno, sole cocente e tanta voglia di dare il via alle danze con qualcosa di fortemente anni ’80. I britannici FM fanno decisamente al caso nostro, anche considerando le notevoli capacità di Steve Overland e compagni di coinvolgere, nonostante l’orario un po’ proibitivo e il pochissimo tempo a disposizione. Un po’ come nel caso del loro show a Verona, tenuto un paio di settimane fa, l’esibizione si presenta esattamente così com’era lecito aspettarsi: breve, intensa ed emozionalmente coinvolgente. Una formazione dotata ancora oggi di un’immensa classe, che riversa sul pubblico presente tutto il proprio gusto melodico, con una iniziale “Black Magic” e una successiva “Bad Luck” già di per sé dotate di una presa notevole, ma nulla se paragonate alle varie “I Belong To The Night” e “Killed By Love”, cantate a gran voce da ogni estimatore di determinate sonorità hard rock. Purtroppo, con appena mezz’oretta di show, non c’è poi moltissimo da dire, anche se bisogna ammettere che, pur avendoli visti più volte nell’ultimo anno, gli FM riescono sempre e comunque a convincerci, proiettandoci direttamente indietro nel tempo con delle modalità quasi soavi, prima di cominciare a far volare le sassate con altre formazioni che avremo modo di visionare più tardi. Per una giornata orientata su determinati stilemi musicali rockeggianti, migliore inizio non si poteva avere.
(Roberto Guerra)
WHITECHAPEL
Cambiamo totalmente genere, e facciamo un bel pieno di violenza in stile moderno coi ben noti Whitechapel, il cui deathcore non rientra particolarmente nei nostri gusti; ciò non ci è bastato per accantonare la curiosità nei loro confronti. In effetti, indipendentemente dalle opinioni soggettive, anche sotto il sole martellante Phil Bozeman, Alex Wade e gli altri riescono a scaraventare un pugno gigante diretto sulla faccia del pubblico, grazie all’amplificazione più che idonea e a degli stacchi da ossa rotte. L’utilizzo di breakdown, chitarroni massicci e voce gutturale porta tutto ciò che la scuola del genere d’appartenenza dovrebbe rappresentare, dritto dinnanzi agli occhi di tutti i presenti, molti dei quali apparentemente straniti, considerando il sound predominante della giornata, decisamente più classico e rockeggiante. Il recente “The Valley” occupa lo spazio maggiore, ma viene riservata qualche parentesi massiccia anche al predecessore, e sinceramente evitabile, “Mark Of The Blade”, e la immancabile “End Of Flesh” dall’apprezzato “A New Era Of Corruption”. Rimane un mistero l’assenza totale di richiami all’accoppiata “The Somatic Defilement” / “This Is Exile”, ma preferiamo non porci troppe domande in merito; in fin dei conti, un po’ di violenza su questi main stage oggi ci voleva.
(Daniele Re)
Setlist:
Brimstone
Forgiveness Is Weakness
Black Bear
The Void
Mark Of The Blade
Elitist Ones
End Of Flesh
When A Demon Defiles A Witch
RICHIE KOTZEN
Ancora ottimo hard rock, in compagnia del virtuoso chitarrista statunitense, in questo caso visionato da una posizione d’ombra, a causa della temperatura assassina che prende man mano il sopravvento. Solo sette brani quest’oggi per il buon Richie Kotzen, che per l’occasione fa sfoggio del suo peculiare tocco per incantare i presenti, anche se con risultati, in questa sede, leggermente altalenanti, per via di una lieve carenza di impatto che è possibile notare, un po’ come sarà anche per i Def Leppard più tardi. Senza nulla togliere a brani come “Bad Situation”, “War Paint” e “Love Is Blind”, ma nelle attuali circostanze avremmo forse preferito un po’ di energia in più, compensata tuttavia dall’incredibile naturalezza che Richie continua a mostrare sulla sei corde, minuto dopo minuto. Al netto di qualche sbadiglio, stiamo comunque parlando di un maestro nel suo settore, e con una birra rinfrescante in mano assistere a tali prodezze non può che fare la gioia di noi tutti.
(Roberto Guerra e Daniele Re)
Setlist:
Fear
Bad Situation
Help Me
War Paint
Remember
Love Is Blind
Venom
ALLEGAEON
Prima tappa al cospetto dell’Altar Stage per noi, per un imperdibile appuntamento con una band che già una volta quest’anno, in occasione del tour con gli Obscura, è riuscita a sbalordirci grazie al proprio connubio impeccabile, e relativamente originale, tra violenza, melodia e sfoggi di tecnica al limite del progressive. Siamo molto lieti che la popolarità degli Allegaeon stia avendo modo di incrementarsi all’interno del panorama mondiale, e anche la più che discreta risposta che si manifesta qui, in concomitanza della iniziale “Parthenogenesis”, ne è un discreto indice. I volumi dei palchi situati al coperto, come già scritto nel corso del report precedente, risultano ben più dirompenti rispetto a quelli dei fratelloni maggiori all’aperto, il che non può che giovare a una proposta colta e demolitiva come quella del combo statunitense. Tra le varie “Dyson Sphere”, “Stellar Tidal Disruption” e “Extremophiles (B)” le parole d’ordine rimangono sempre violenza, melodie elaborate e mai prevedibili e, ovviamente, attitudine progressive che dona al tutto un sapore futuristico e avanguardistico. Il buon Riley McShane ruggisce con tutte le proprie capacità, mentre il devastante trittico di asce macina note su note, sorretto dal sapiente lavoro di Brandon Park dietro le pelli. Non basta il finale con “1.618” a farci desistere, dal momento che non ci sarebbe dispiaciuto sentire almeno un altro paio di brani, ad opera di una band che, ne siamo certi, verrà presto riconosciuta come una delle colonne portanti del death metal dei prossimi anni.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Parthenogenesis
Interphase // Meiosis
Dyson Sphere
Stellar Tidal Disruption
Gray Matter Mechanics – Apassionata Ex Machinea
Extremophiles (B)
1.618
EAGLES OF DEATH METAL
Sulle note di “Born On The Bayou” dei Creedence Clearwater Revival entra in scena l’accoppiata Jesse Hughes / Josh Homme, prontamente scortati da uno schieramento di ottimi esecutori. Abbiamo scelto di dedicare qualche parola allo show degli Eagles Of Death Metal anche in memoria dei fatti di cui questa band è stata testimone tre anni e mezzo fa, in occasione della loro data al Bataclan di Parigi (dobbiamo ricordarveli?). E’ infatti degna di più di una menzione la dedizione che continua a portare la band californiana in giro per il mondo, a diffondere il verbo della loro particolare formula musicale, che prende tanto dall’hard rock, quanto dal blues e dal rock alternativo. I cinquanta minuti di concerto in questa cornice, quindi sempre in territorio francese, sono l’emblema della loro passione e determinazione, dal momento che il tempo a loro disposizione scorre via relativamente in fretta, con numerose parentesi vincenti: oltre alle varie “Don’t Speak (I Came To Make A Bang!)”, “Cherry Tongue” e la conclusiva “I Like To Move In The Night”, la formazione americana inserisce in scaletta anche le cover di “Complexity”, direttamente dal progetto Boots Electric di Jesse Hughes, e di “Moonage Daydream” di David Bowie, con tutta la volontà di commemorare la memoria dell’iconico showman. Non ci siamo mai etichettati come degli appassionati della musica degli Eagles Of Death Metal, pur ritenendo la loro esibizione assolutamente interessante e degna di più di un applauso, ma considerando la cornice e le vicissitudini passate, si tratta senz’altro di una band di cui valeva la pena scrivere.
(Roberto Guerra e Daniele Re)
Setlist:
I Only Want You
Don’t Speak (I Came To Make A Bang!)
Anything ‘Cept The Truth
Complexity (Boots Electric cover)
Heart On
Cherry Cola
Moonage Daydream (David Bowie cover)
Speaking In Tongues
I Like To Move In The Night
WHITESNAKE
Sull’immensa classe che permea ancora oggi gli show ad opera di David Coverdale, e ovviamente dei musicisti che lo affiancano, c’è ben poco da dire, e ne abbiamo avuto la conferma in occasione della loro data in quel del Forum di Assago in compagnia dei Def Leppard, dei quali cui parleremo poco più sotto. A Clisson dobbiamo ammettere di essere rimasti piacevolmente sorpresi nel trovare una band ancora più energica di come la ricordavamo appena pochi giorni prima; in particolar modo il sopracitato vocalist, che si presenta con una riserva di voce e fiato decisamente maggiore rispetto a quella di cui aveva fatto sfoggio appena un paio di sere prima, il che gli permette di interpretare con maggiore cura ogni singolo brano proposto in una scaletta che non si distanzia quasi per nulla da quella che già abbiamo avuto modo di gustare a Milano. La nostra stessa risposta è stata, se possibile, ancora più energica rispetto alla precedente, soprattutto sugli immancabili classici quali la iniziale “Bad Boys”, la rocciosa “Slow An’ Easy” e l’impeccabile poker d’assi conclusivo, tra cui la dolcissima “Is This Love” e la finale “Still Of The Night”. Non potendo sperare in un miracolo, le peculiari pause necessarie al buon David per un recupero, almeno parziale, non mancano nemmeno in questa sede; fortunatamente ci pensa la ben nota accoppiata di asce composta da Joel Hoekstra e Reb Beach a tenerci compagnia, così come anche l’instancabile batterista Tommy Aldridge e la sua mania di colpire le percussioni a mani nude in fase di assolo. Diciamocelo, i Whitesnake e la fatica sono due parole che andranno di pari passo fino al termine della loro carriera, ma tutto sommato, quando riescono a fomentarci così, le ormai tipiche pecche si possono anche perdonare.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Bad Boys
Slide It In
Love Ain’t No Stranger
Hey You (You Make Me Rock)
Slow An’ Easy
Shut Up & Kiss Me
Is This Love
Give Me All Your Love
Here I Go Agan
Still Of The Night
CANDLEMASS
In zona Altar, alle ore 19:40, scatta per molti uno dei momenti più attesi della giornata, se non addirittura del festival, ovvero il concerto dei maestri del doom metal Candlemass. Gli svedesi vantano per l’occasione la presenza dello storico cantante Johan Langquist, tornato ormai definitivamente a calcare il palco con la band che ha contribuito a rendere ciò che è divenuta col tempo. Comprensibile quindi la curiosità e l’eccitazione nel poter assistere a questo evento, memori anche dello show al Metalitalia.com Festival dello scorso anno; sentimenti e aspettative ripagate da una scaletta che, come del resto era lecito aspettarsi, è incentrata prevalentemente sul repertorio dei primi quattro album, in cui spiccano le immortali “The Well Of Souls”, “Bewitched”, “A Sorcerer’s Pledge”, oltre ovviamente a “Black Trinity” e “Solitude”, tratte dall’iconico “Epicus Doomicus Metallicus”, poste in chiusura a mettere i sigilli a uno dei concerti più interessanti di questa edizione dell’Hellfest. Promossi a pieni i voti i Candlemass che, nonostante l’ora scarsa a propria disposizione e la luce del sole ancora presente, seppur mitigata dal fatto che ci troviamo in prossimità di un palco coperto, hanno avuto modo di proporre, grazie alla propria attitudine da veterani unita alla consueta perizia esecutiva in sede live, diversi momenti di notevole trasporto e pathos.
(Daniele Re)
Setlist:
The Well of Souls
Dark Reflections
Mirror Mirror
Astorolus – The Great Octopus
Bewitched
Dark Are the Veils of Death
A Sorcerer’s Pledge
Black Trinity
Solitude
DEF LEPPARD
Per quanto riguarda gli illustri colleghi britannici, nonché compagni del tour in corso dei Whitesnake, c’è purtroppo da fare un discorso tendenzialmente opposto rispetto al precedente: sebbene la componente emozionale, percepibile ogni qualvolta Joe Elliot e compagni calcano un palco, sia comunque presente e tangibile, bisogna ammettere che più di qualcosa, in questa occasione, sembra non giungere al punto come dovrebbe. Oltre al discorso della scaletta, che mantiene, bene o male, pregi e difetti di quella proposta dalle nostre parti appena un paio di giorni prima, ci tocca riscontrare che, in fatto di carica generale, non siamo propriamente sullo stesso livello; ciò probabilmente anche a causa dell’orario, ancora decisamente troppo luminoso, e dell’atmosfera collettiva non del tutto idonea a uno spettacolo ad opera della band hard rock britannica per antonomasia. Nonostante ciò, le doti esecutive di ogni singolo componente dei Def Leppard rimangono sempre degne di più di una menzione, in particolare per quanto riguarda le performance chitarristiche di Phil Collen e il lavoro dietro alle pelli di Rick Allen, il quale continua a farci letteralmente commuovere ogni volta che abbiamo la fortuna di vederlo alla sua postazione. Tenendo conto di questi dettagli, ci saremmo forse aspettati un’esibizione da headliner con tutti i crismi, invece di un ruolo tutto sommato secondario rispetto a chi verrà più tardi; anche se, considerando la portata di uno dei nomi di cui parleremo a breve, in fin dei conti possiamo ben comprendere la scelta adottata. C’è poco di cui lamentarsi, anche perché abbiamo visto i Def Leppard due volte in pochi giorni, in entrambi i casi con qualche leggera punta amarognola, ma non dimentichiamoci che stiamo parlando della Storia del grande rock europeo, e date le circostanze va più che bene così.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Rocket
Animal
Let It Go
When Love And Hate Collide
Let’s Get Rocked
Armageddon It
Two Steps Behind
Love Bites
Bringin’ On The Heartbreak
Switch 625
Hysteria
Pour Some Sugar On Me
Rock Of Ages
Photograph
ZZ TOP
Fondati nel lontano 1969, gli inossidabili ZZ Top rappresentano un’icona indiscussa del rock/blues, con milioni di album venduti e migliaia di esibizioni tenute in tutto il mondo, le quali hanno loro, tra l’altro, permesso di ricevere il privilegio di essere inseriti perfino nella Rock and Roll Hall Of Fame. Come ci si poteva aspettare, il trio più ‘barbuto’ della storia del rock sbanca quindi anche l’Hellfest 2019 dimostrando, nonostante l’età, di avere ancora tanto da offrire a chi ha la fortuna di assistere a un loro show, indipendentemente dalla posizione scelta. Con tanta passione, ma anche con un bel po’ di mestiere, Billy Gibbons e soci conducono lo spettacolo dell’Hellfest, che ricordiamo celebra il cinquantesimo anniversario della band, in maniera impeccabile, emozionante e coinvolgente, anche per chi come noi nutre affinità verso sonorità più prettamente heavy metal. Ciononostante, la proposta musicale e lo show dei tre texani non passano inavvertiti, grazie anche a dei suoni pressoché perfetti, ad uno stage sapientemente agghindato per l’occasione, ma in particolar modo grazie agli immancabili estratti dal loro album più noto, ovvero “Eliminator”, da cui provengono classici come “Gimme All Your Lovin'”, “Got Me Under Pressure” e, ovviamente, “Sharp Dressed Man”; il tutto passando per le ben più datate “Beer Drinkers & Hell Raisers” e “La Grange”, dall’album “Tres Hombres”. Un’ora e mezza di rock al 100% made in Texas, che ben si accompagna a essere ascoltato e cantato sorseggiando una birra fresca con gli amici; e siamo sicuri che anche per un veterano come Billy Gibbons l’allegra e festante atmosfera dell’Hellfest, a prescindere dai gusti musicali, abbia suscitato ben più di un brivido.
(Daniele Re)
Setlist:
Got Me Under Pressure
I Thank You (Sam & Dave cover)
Waitin’ for the Bus
Jesus Just Left Chicago
Gimme All Your Lovin’
Pearl Necklace
I’m Bad, I’m Nationwide
I Gotsta Get Paid
My Head’s in Mississippi
Sixteen Tons (Merle Travis cover)
Beer Drinkers & Hell Raisers
Just Got Paid (with “Rollin’ and Tumblin'” snippet)
Sharp Dressed Man
Legs
La Grange
Tush
KISS
Come accennato poco fa, c’è poco da fare quando si ha a che fare con un colosso internazionale come quello rappresentato dalla band che, più di tutte nel corso della storia, è stata in grado di rendere il rock’n roll così teatrale, a tal punto da tingere i propri show con numerose e ben note sfumature di matrice al limite del circense. I Kiss, a prescindere dalle opinioni singole, riescono sempre a far brillare le stelle sopra la propria testa, e anche in Francia bisogna dire che tutti gli elementi che hanno reso famosi in tutto il mondo i loro concerti sono perfettamente intatti e ben collocati nel contesto; si parla di ben due ore di spettacolo, a base di grandi inni della musica rock e, ovviamente, di tutti quegli orpelli che da quasi cinquant’anni accompagnano la band più scoppiettante del mondo. A tutto questo, aggiungete un Paul Stanley decisamente più performante rispetto, ad esempio, all’esibizione dello scorso anno al Rock Fest di Barcellona, e un Gene Simmons la cui presenza continua a spiccare nonostante tutti gli anni trascorsi, e avrete un’ottima commistione di elementi per mandare in visibilio un pubblico che mai, nel corso del festival, arriverà più a questi numeri in termini di presenze. Inoltre, potrebbe risultarvi fors’anche un po’ eccessivo, ma riteniamo che una scaletta come quella odierna sarebbe da insegnare nelle scuole, non solo con lo scopo di far capire ai giovani cosa sia il rock’n roll, ma anche che, molto spesso, la semplicità può portare a risultati magistrali nel corso di una lunga carriera. Dall’apertura, come da tradizione, con “Detroit Rock City”, fino alla chiusura con “Rock And Roll All Nite”, tutto ciò che c’è in mezzo è parte integrante di una storia che accomuna molti di noi, in particolare chi, come chi scrive, ha visto i Kiss per la prima volta più di dieci anni fa, con gli occhi di un ragazzino delle scuole superiori, e con ancora tanto da scoprire sui propri gusti. Chiaramente, il momento in cui i nostri quattro personaggi truccati di fiducia dovranno ritirarsi si avvicina inesorabilmente, e sarà allora che le band più giovani dovranno tirare fuori gli attributi, perché un segno grande come quello che hanno lasciato i Kiss sarà pressoché impossibile da ripetere, a prescindere dal genere proposto.
(Roberto Guerra e Daniele Re)
Setlist:
Detroit Rock City
Shout It Out Loud
Deuce
Say Yeah
I Love It Loud
Heaven’s On Fire
War Machine
Lick It Up
Calling Dr. Love
100,000 Years
Cold Gin
God Of Thunder
Psycho Circus
Let Me Go, Rock’n Roll
Love Gun
I Was Made For Lovin’ You
Black Diamond
Beth
Crazy Crazy Nights
Rock And Roll All Nite
THE SISTERS OF MERCY
Chiudiamo questa seconda giornata di festival spendendo un paio di parole sull’esibizione di una delle band dallo stile goth rock più note in assoluto. Una proposta decisamente diversa rispetto a quelle di cui abbiamo parlato fino ad ora, ed è anche questa una delle ragioni principali per cui abbiamo voluto assistere allo show in questione: un’ottima opportunità per riscoprire una realtà che, comunque, ha avuto il suo bel da dire all’interno della storia del rock. Il buon Andrew Eldritch è l’unico membro originale rimasto in formazione, e la sua voce cupa e profonda continua a risultare stimolante all’ascolto, e già nei primi attimi di “More” e “Ribbons” gli estimatori presenti possono cominciare a provare dei brividi lungo la schiena. Una setlist lunga, variegata e danzabile quella dei The Sisters Of Mercy, con ben poco lasciato al caso, anche se più di un fan presente sembra lamentare un paio di assenze più o meno illustri. In generale, l’atmosfera in prossimità del Temple Stage appare quanto di più coerente ci si potesse aspettare con quella che è l’anima nera di questa band, che del tutto a sorpresa, a Clisson, riesce a confermarsi come una delle più convincenti in termini di performance e anche di coinvolgimento emotivo. Al termine dello show, ondeggiando sulle fredde note di “Temple Of Love” e “This Corrosion”, possiamo dirigerci in tenda in modo da prepararci per l’ultimo, devastante giorno di questa edizione 2019 dell’Hellfest.
(Roberto Guerra)
Setlist:
More
Ribbons
Crash And Burn
No Time To Cry
Doctor Jeep/Detonation Boulevard
Amphetamine Logic
Alice
First And Last And Always
Arms
When You Don’t See Me
Dominion/Mother Russia
We Are The Same, Susanne
Lucretia My Reflection
Vision Thing
Temple Of Love
This Corrosion