Introduzione e report a cura di Roberto Guerra e Daniele W. Re
Con alcune sorprese e un paio di delusioni nel cuore, giungiamo ora alla giornata conclusiva dell’edizione 2019 dell’Hellfest Open Air, un evento che ci ha saputo regalare moltissime emozioni e tanto divertimento, così come qualche punta di amarezza e un paio di momenti di rabbia; il tutto, però, senza lasciarci mai sprovvisti delle cose più importanti in assoluto ad un evento di questo tipo: la musica e la bella compagnia. Abbiamo avuto modo di visionare un numero notevole di artisti, su ognuno dei vari palchi presenti all’interno della location, rimanendo piacevolmente convinti dall’organizzazione generale di un happening che si merita, ogni anno di più, tutti gli encomi che lo rappresentano come una delle mete più ambite da parte di ogni rocker/metallaro che si rispetti. L’ultima trafila di band che ci attende si compone di svariate realtà provenienti dagli angoli più demolitivi e massacranti del metal mondiale, con un occhio di riguardo, naturalmente, per il thrash metal di stampo statunitense; giusto per tornare a casa con qualche osso rotto e tanta adrenalina in più rispetto al previsto. Perciò vi auguriamo ancora una volta buona lettura e ci gettiamo nella mischia!
MUNICIPAL WASTE
Neanche il tempo di pensarlo che siamo già all’interno del caos tirato in piedi da questi cinque pazzoidi americani, a suon di crossover thrash metal ignorante, aggressivo e tagliente. Tony Foresta, Ryan Waste e compagni non hanno bisogno di particolari presentazioni e la loro breve setlist rappresenta una sorta di smitragliata metallica sparata dritta nelle viscere, composta interamente da brani brevi e feroci, proposti tuttavia con tutta la cura e la professionalità del caso. Una sorta di piccola apocalisse, che sotto il sole riesce quasi a tramutare l’area in prossimità dei Main Stage in un tripudio di acciaio e scorie radioattive; dalle divertenti “The Thrashin’ Of The Christ” e “Beer Pressure” fino alle disarmanti “Sadistic Magician” e “Born To Party”, il passo è breve e non potremmo essere più entusiasti di così, soprattutto tenendo conto di ciò che ci aspetta procedendo con il nostro running order personale. Non c’è poi molto da dire quando si tratta di uno show dei Municipal Waste, e forse è meglio che sia così; poiché una proposta come la loro lascia ben poco spazio alle chiacchiere, e quando queste ultime non ci sono significa che il concerto è stato portato a casa con il massimo dei voti.
(Roberto Guerra)
DEATH ANGEL
Da qualche anno a questa parte, l’ambito puramente thrash metal sta vivendo un periodo di splendida forma; questo stato di grazia lo dobbiamo certamente anche a band del calibro dei californiani Death Angel, vecchie guardie del movimento della Bay Area, che grazie a lavori in studio di qualità, il recentissimo “Humanicide” lo dimostra, ma soprattutto grazie a prestazioni live sempre di grande impatto ed energia, sono sempre stati in grado di distinguersi all’interno di una scena feroce e agguerrita come quella thrash. Recentemente abbiamo avuto modo di assistere alla tappa del loro tour a supporto del nuovo disco in quel del Legend Club a Milano, che passerà successivamente anche dalle parti di Verona, rimanendo perfettamente soddisfatti dalla performance. Anche per quanto concerne il concerto all’Hellfest non possiamo fare altro che incensare ulteriormente la band di Mark Osegueda che, per l’occasione, nonostante lo slot pomeridiano destinatogli e un minutaggio a un po’ risicato – solo quaranta minuti – riesce letteralmente a incendiare tutti i presenti. La forza della proposta dei Death Angel risiede nel connubio di violenza e tecnica, che in sede live si impreziosisce del dinamismo sul palco di tutti i componenti: se infatti l’indiavolato vocalist corre da una parte all’altra del palco, interagendo costantemente con il pubblico, non è da meno la coppia d’asce che, tra un fraseggio e l’altro, non disdegna pose plastiche in onore di telecamere e fotografi. Suoni come di consueto più che buoni e scaletta, come da aspettative, bilanciata sul repertorio nuovo, con in più inevitabili sguardi al passato, per la gioia dei più attempati. In estrema sintesi, una grande attitudine per un concerto pressoché perfetto per il tempo a disposizione.
(Daniele Re)
Setlist:
Thrown to the Wolves
Voracious Souls
Father of Lies
The Dream Calls for Blood
The Pack
Humanicide
TRIVIUM
Quello dei Trivium è un altro fenomeno non ben compreso da tutti, considerando l’incredibile livello di notorietà che la band guidata dal buon Matt Heafy ha avuto modo di raggiungere, abbinato tuttavia a una discografia dalla qualità piuttosto altalenante. Anche all’interno della scaletta selezionata per l’Hellfest non mancano dei momenti convincenti e qualitativamente di alta caratura: su tutte la apprezzata “Down From The Sky” o la iniziale “The Sin And The Sentence”, rispetto ad esempio a una conclusiva “In Waves” non propriamente vicina ai nostri gusti. Tuttavia, è l’accoglienza del grande pubblico quella che conta in questo caso, e la risposta qui all’Hellfest giunge entusiasta e calorosa per la band statunitense. Il sopracitato frontman, a prescindere da tutto, conosce bene il fatto proprio e lo dimostra in ogni occasione, tenendo il palco con tutta la propria presenza e stimolando anche nei presenti la voglia di vedere dal vivo, più tardi nel corso della serata, i black metaller Emperor, formazione del cuore di Matt, che prontamente sfoggia una loro maglietta. A livello di sound si sarebbe potuto fare qualcosa di più, infatti si nota un leggero effetto impastato in più di un momento, ma non si tratta di qualcosa di grave; malgrado i nostri gusti e lo scetticismo iniziale, ci sentiamo di promuovere l’esibizione dei Trivium senza particolari ripensamenti.
(Roberto Guerra e Daniele Re)
Setlist:
The Sin And The Sentence
Beyond Oblivion
Sever The Hand
Until The World Goes Cold
Down From The Sky
The Heart From Your Hate
Strife
In Waves
VOMITORY
Nonostante la stanchezza pomeridiana, in attesa della conclusione devastante che ci aspetta, non potevamo fare a meno di fare una capatina in zona Altar per fare un bel pieno di death metal suonato alla vecchia maniera, in compagnia degli svedesi Vomitory, i quali necessitano solo di pochi secondi, prima di cominciare a eruttare tutta la loro furia sul pubblico presente. Purtroppo sopraggiunge presto un problema tecnico, che costringe la band a sospendere l’esibizione per alcuni minuti; problematica che viene comunque gestita, tutto sommato, in maniera ottimale, permettendo ai nostri quattro ragazzoni sanguinari di riprendere il loro massacro, facendo letteralmente tremare la terra e costringendo ad alzarsi persino chi aveva scelto di sdraiarsi, magari per recuperare in parte le energie. Il sound violento e opprimente dei Vomitory è dotato di un’efficacia inaudita, al punto tale da risultare persino più convincente di quello di svariati altri colleghi dal nome più inflazionato e diffuso. Possiamo dirlo tranquillamente: una mazzata simile, subito prima dei mitici Testament, proprio non ce l’aspettavamo.
(Roberto Guerra)
TESTAMENT
Un enorme telo bianco, su cui spicca la scritta Testament, nonché due semi-teloni neri, in cui campeggia in contrasto il volto del Diavolo, preannunciano l’arrivo dei cinque thrasher di Oakland. Una scenografa minimalista e, per certi versi, un po’ troppo scarna visto e considerato l’ampiezza e le predisposizioni digitali che il palco dell’Hellfest garantisce; ad ogni modo, questo ‘piccolo’ dettaglio, per quello che conta, è forse l’unica nota stonata e ci teniamo a precisare che non scalfisce minimamente l’ennesima prova di superiorità data della band capitanata da Chuck Billy. Diciamolo subito, i Testament da ormai diverso tempo rappresentano un punto di riferimento per tutti coloro che amano il thrash metal; una vera e propria forza della natura grazie al connubio di tecnica, esperienza e passione, nonché una quantità di brani killer che, in sede live, acquisiscono una ulteriore dose di grinta e cattiveria, al punto da lasciare sempre tutti esterrefatti. Non importa se la scaletta prevede estratti appartenenti alla prima era o dai lavori più recenti, poiché l’amalgama di violenza e brutalità, sempre sapientemente impreziosita da un tocco di melodia, rende la proposta degli americani ogni volta convincente ed esaltante. Ormai perfettamente navigati e rodati in tutto e per tutto, la performance della band rasenta la perfezione e snocciola, brano dopo brano, un fiume di thrash metal, interrotto solo da un breve intermezzo gestito da Gene Hoglan che, in onore al compleanno del suo collega frontman, chiede al pubblico di intonare un happy birthday. Esclusa questa spensierata parentesi, il concerto scorre come un treno ad alta velocità, scatenando in diversi punti della location focolai di moshpit e raggiungendo il culmine sul trittico “Into The Pit”, “Over The Wall”, “Disciples Of The Watch”. Paradossalmente tutto troppo perfetto: più che un gruppo metal, delle vere e proprie macchine infallibili.
(Daniele Re)
Setlist:
Brotherhood of the Snake
The Pale King
More Than Meets the Eye
Practice What You Preach
The New Order
Electric Crown
Into the Pit
Over the Wall
Disciples of the Watch
The Formation of Damnation
ANTHRAX
E da una band che avrebbe forse meritato di far parte dei Big Four, passiamo a quella che a suo tempo aveva il compito di dare il via ai concerti delle quattro thrash metal band americane più iconiche di sempre. Si tratta di uno show apparentemente abbastanza scolastico, soprattutto considerando la setlist che ha accompagnato gli Anthrax per tutta la durata del tour, ma bastano i primi secondi di “Caught In A Mosh”, preceduti dall’intro a base di “Cowboys From Hell” dei Pantera, a farci capire che qui a Clisson nessuno farà sconti a nessuno. Joey Belladonna, Scott Ian e tutta la line-up sprigionano una grinta con cui non li vedevamo ormai da tempo, portando avanti lo show ad un livello di intensità davvero notevole e degno di una thrash metal band di tale fama. Con “Got The Time” ci gettiamo in un circle-pit per poi proseguire con “Efilnikufesin (N.F.L.)”, “I Am The Law” e la meno nota “Now It’s Dark”. Dopo una parentesi più recente con “In The End”, è con l’accoppiata “Antisocial”, cover peraltro dei francesi Trust, e “Indians” che si giunge alla fine di cinquanta minuti che ci sono parsi quasi la metà, considerando la rapidità fulminante con cui gli Anthrax hanno deciso di presentarsi di fronte a noi. Ci auguriamo che, in occasione della loro discesa dalle nostre parti, l’energia a dir poco elettrica trasmessa dal palco sia quantomeno equiparabile a ciò che abbiamo avuto modo di vedere in Francia. Poco da fare, in queste ultime ore si parla la lingua del thrash metal.
(Roberto Guerra)
Setlist:
Caught In A Mosh
Got The Time
Efilnikufesin (N.F.L.)
I Am The Law
Now It’s Dark
In The End
Antisocial
Indians
EMPEROR
Adesso affrontiamo quella che, per molti di noi, è a tutti gli effetti l’esibizione più attesa della giornata, se non dell’intero festival. Con ricordi a dir poco entusiasmanti dei precedenti show degli Emperor, ci prepariamo per un viaggio nelle fredde terre norvegesi, in compagnia della band che, come pochissime altre, è riuscita a ritagliarsi un posto nel cuore di una foltissima schiera di appassionati della grande musica, e non solo del black metal. La prima parte della setlist è dedicata interamente all’album “Anthems To The Welkin At Dusk”, proposto ancora una volta nella sua interezza, con in più un encore composto da un immortale trittico, proveniente da quel capolavoro che è ancora oggi “In The Nightside Eclipse”. L’incredibile classe e la maestria sfoggiate da Ihsahn sul palco sono cosa ben nota, e i suoi musicisti seguono fedelmente i dettami necessari per impreziosire ancora più la raffinatezza e la complessità delle magnifiche composizioni proposte nella cornice Hellfestiana; il tutto senza dimenticarsi di quell’atmosfera mefistofelica, seppur magica e suggestiva, che da sempre permea ogni show della formazione norvegese. Purtroppo su un palco al chiuso, come di fatto è il Temple, l’utilizzo di fiamme ed effetti pirotecnici sarebbe potuto risultare rischioso, ma bastano l’ausilio delle luci e i suoni perfetti a rappresentare magnificamente una setlist ormai ben consolidata, ma ogni anno più coinvolgente. Ihsahn è uno stramaledetto genio, e nella sua scarsa voglia di strafare visivamente, riesce a mettere in ombra qualsiasi collega con la faccia dipinta e le borchie fino ai gomiti, facendo sfoggio di una voce versatile come non mai, nonché di una tecnica chitarristica di prim’ordine. Se il fascino del Male avesse una rappresentazione musicale, quella sarebbe necessariamente da attribuire agli Emperor, i quali portano nuovamente a termine una performance che, al momento di tirare le somme, sarà da annoverare come una delle migliori dell’intero festival.
(Roberto Guerra e Daniele Re)
Setlist:
Ye Entrancemperium
Thus Spake the Nightspirit
Ensorcelled by Khaos
The Loss and Curse of Reverence
The Acclamation of Bonds
With Strength I Burn
Towards the Pantheon
I Am the Black Wizards
Inno a Satana
SLASH ft. Myles Kennedy and The Conspirators
Una sana e piacevole parentesi da dedicare alle sonorità tipicamente hard rock, provenienti dalle mani di quello che è probabilmente il più famoso chitarrista appartenente al suddetto filone, accompagnato da un altrettanto meritevole Myles Kennedy e da una schiera di musicisti carismatici e di livello. Un po’ come sarà in quel di Verona alcuni giorni dopo, è una setlist dedicata interamente ai successi del progetto solista del mitico axeman britannico naturalizzato statunitense; con in più una piccola parentesi di stampo amarcord in compagnia della nota “Nightrain”, direttamente dal repertorio dei Guns N’Roses. Tuttavia, sarebbe un errore considerare tutto ciò un ripiego rispetto all’iconica formazione americana, dal momento che il repertorio solista di Slash è riuscito negli anni a conquistare il cuore di diversi esponenti della critica, nonché di una foltissima schiera di appassionati dell’uomo col cilindro. Considerare una “The Call Of The Wild” o una “Doctor Alibi”, cantata come di consueto dal bassista Todd Kerns, qualcosa di non all’altezza sarebbe un errore madornale, e ciò viene confermato dalla grinta ancora tangibile sfoggiata sul palco dallo stesso Slash, così come da ciascuno dei suoi musicisti; compreso un Myles Kennedy super-performante e che riteniamo non sia nemmeno da paragonare al suo più attempato collega dai capelli chiari, decisamente meno degno delle attenzioni di un estimatore, nonostante il suo ruolo storico e i trascorsi. Sebbene i nostri maggiori riguardi siano per l’esibizione in programma di seguito, bisogna dire che quest’oretta abbondante in compagnia di Slash e soci è stata davvero degna della nostra goduria.
(Roberto Guerra)
Setlist:
The Call Of The Wild
Halo
Standing In The Sun
Back From Cali
My Antidote
Serve You Right
Boulevard Of Broken Hearts
Mind Your Manners
Driving Rain
Doctor Alibi
You’re A Lie
Nightrain
Anastasia
World On Fire
SLAYER
Cosa si può aggiungere che non sia già stato detto sugli Slayer? Una delle band più rappresentative della storia del metal, riconosciuti universalmente come i fautori della transizione che ha portato il thrash metal a qualcosa di più violento, veloce e malvagio, tanto da sfociare poi in quello che verrà catalogato come death metal, nonché una fonte di ispirazione per centinaia di formazioni a venire. Tutto vero, ma a prescindere dai generi e relativi sottogeneri, quello che contraddistingue la band americana è anche, e soprattutto, l’aver suonato sempre e costantemente per tutta la loro trentennale carriera con un’attitudine inossidabile. Un concerto degli Slayer è una sicurezza, è cosa nota, si sa bene cosa aspettarsi; si sa che sarà faticoso, doloroso e si sa che si rimarrà inevitabilmente impressionati; questa costante, che ha accompagnato la band per tutta la propria vita, anche qui all’Hellfest viene prontamente confermata e rafforzata. On the road ormai da ormai diversi mesi, in questo lungo e doloroso tour di addio, gli Slayer non fanno altro che essere se stessi! Se prima abbiamo descritto infatti i Testament come ‘perfetti’, gli Slayer hanno ulteriormente innalzato il nostro livello di esaltazione; complice ovviamente la posizione da headliner, che garantisce loro un settaggio dei suoni e dei volumi adeguati, nonostante le chitarre risultino un po’ basse, e le scenografie da far impallidire Satana in persona per quanto riguarda la quantità di fiamme impiegate. Il consueto telo nero usato come sfondo per le proiezioni di croci rovesciate e pentacoli crolla all’inizio di “Repentless” e sancisce l’inizio dell’ultimo concerto in Francia della band statunitense: a ciò segue un’ora e mezza di grande musica ininterrotta, senza soluzione di continuità, una furia e una violenza chirurgica che, pezzo dopo pezzo, sbaraglia gran parte del pubblico, visibilmente ipnotizzato e ferito mentalmente nonché fisicamente. Tom Araya, ormai da diversi anni piuttosto statico sul palco a causa dei noti problemi alla schiena e al collo, urla a squarciagola e, nonostante sia intento a cantare di morte, sangue e guerra, non trattiene il sorriso nel vedere la marea umana che si dimena al ritmo delle sue plettrate, come del resto l’accoppiata composta da Kerry King e Gary Holt, miglior sostituto possibile per il compianto Jeff Hanneman, non si risparmia di certo; in particolar modo il secondo si cimenta costantemente nel suo consueto e caratteristico headbanding, mentre Paul Bostaph, per gran parte del concerto letteralmente circondato da fuoco e fiamme, sembra un demone dell’Inferno che detta i ritmi nel celebrare il dolore, la morte e il male causato dall’essere umano. L’utilizzo degli elementi pirotecnici rappresenta un vero e proprio spettacolo nello spettacolo, decisamente maggiore rispetto a quanto impiegato dalle nostre parti. Inutile soffermarsi sulla scelta dei brani in scaletta: riteniamo sterili le critiche di chi sottolinea la mancanza di alcuni determinati pezzi, più o meno necessari in un tour di addio, così come rifiutiamo le polemiche di chi considera gli Slayer dell’ultimo periodo, senza Hannemann e Lombardo, non più meritevoli di considerazione. Le pochissime parole dette da Tom Araya a fine concerto sono di saluto e di ringraziamento per il supporto costante ricevuto in tutti questi anni, precisando, in maniera personale, che gli mancherà il suo amato pubblico. Forse, se mai sarà vero; di certo si è trattato di un addio esaltante e commovente.
(Daniele Re)
Setlist:
Repentless
Evil Has No Boundaries
World Painted Blood
Postmortem
Hate Worldwide
War Ensemble
Gemini
Disciple
Mandatory Suicide
Chemical Warfare
Payback
Born of Fire
Seasons in the Abyss
Hell Awaits
South of Heaven
Raining Blood
Black Magic
Dead Skin Mask
Angel of Death
PHILIP ANSELMO & The Illegals
Un Valley Stage gremito di gente come non mai è ciò che ci si para davanti negli attimi precedenti l’ingresso on stage del nerboruto ex frontman dei Pantera, sulle note del trittico “The Better”, “Little Fucking Heroes”, “Choosing Mental Illness”, cui finalmente segue una setlist incentrata interamente sul suo periodo di militanza nell’iconica band guidata dai compianti fratelli Abbott, Dimebag Darrel e Vinnie Paul. Da “Mouth For War” passando per “Becoming” e “Yesterday Don’t Mean Shit”, fino a giungere alla violentissima “Fucking Hostile”. Le prestazioni vocali del buon Phil Anselmo non sono esattamente all’altezza di ciò che ricordavamo, ma tutto sommato, a livello timbrico, si riesce a difendere ancora relativamente bene, anche se certi stacchi urlati ce li saremmo risparmiati volentieri. Invece, per quanto riguarda la band, si tratta senza dubbio di ottimi mestieranti, perfettamente in grado di riprodurre brani che, ormai, han fatto scuola tra i musicisti di tutto il mondo. Dopo “Hellbound” e “I’m Broken”, il finale non poteva che giungere con la martellante “Walk”, cantata da pressoché qualsiasi creatura vivente presente nelle vicinanze, comprese quelle senza le corde vocali; anche se, per molti, si tratta di uno di quei brani che è diventato impossibile ascoltare a causa della sua eccessiva riproduzione in ogni minima occasione. In sostanza, analizzando lo show nella sua interezza, si tratta di un buon tributo ai Pantera, niente di più e niente di meno, con tutti i pregi e tutti i difetti del caso. Esaltante per molti, ma anche relativamente inutile per altri, compresi noi, nonostante la nostra posizione di fan assoluti della band originale.
(Roberto Guerra)
Setlist:
The Better
Little Fucking Heroes
Choosing Mental Illness
Mouth For War (Pantera cover)
Becoming (Pantera cover)
Yesterday Don’t Mean Shit (Pantera cover)
Fucking Hostile (Pantera cover)
Hellbound (Pantera cover)
I’m Broken (Pantera cover)
Walk (Pantera cover)
TOOL
Quando si parla di uno show dei Tool è necessario preventivare che si tratta di una concezione del tutto differente di quello che è un concerto più o meno metal; non si tratta infatti di una semplice esibizione di un gruppo musicale, ma di una sorta di vera e propria esperienza onirica, condita da una componente visiva contorta, in linea con quella che è la musica. La setlist stessa è un riflesso di ciò che la carriera di questa band così particolare ha sempre rappresentato, con la partenza affidata ad “Aenema”, seguita direttamente da altri dodici estratti iconici tra cui “Parabola”, “Invincible”, “Jambi” e la conclusiva “Stinkfist”. L’interazione col pubblico è, come prevedibile, del tutto assente, e considerando la tipologia di spettacolo riteniamo sia giusto così, anche se l’antipatia di molti ascoltatori nei confronti dello stravagante leader Maynard James Keenan continuerà a essere presente. Ciò nonostante, i musicisti danno prova delle proprie capacità e i brani si insinuano sinuosi nella mente dei presenti, i quali sembrano sempre più spaesati dalle particolari composizioni provenienti dal palco, da parte dell’ultima band dell’intero festival, e che anche per questo necessita di tutta la dovuta attenzione. Piaccia o non piaccia questa icona del rock, uno spettacolo dei Tool andrebbe visto almeno una volta nella vita.
Con questo, chiudiamo il nostro reportage dell’edizione 2019 dell’Hellfest, pronti a ributtarci nella mischia una volta tornati in Italia e, soprattutto, al momento della nostra prossima partenza in direzione di – indovinate un po’ – Wacken! Per adesso da Metalitalia.com è tutto, alla prossima!
(Roberto Guerra e Daniele Re)
Setlist:
Aenema
The Pot
Parabol
Parabola
Descending
Schism
Invincible
Intolerance
Jambi
Forty Six & 2
Part Of Me
Vicarious
Stinkfist