Report a cura di Giuseppe Caterino
Gli Helloween e la loro reunion stanno per toccare le sponde italiche e l’entusiasmo – così come le osservazioni dei più scettici – sono quanto mai presenti nei vari ambienti social, benché ci sia stato un intero anno per discutere, criticare, leggere notizie e fare supposizioni su motivazioni, rapporti interni e tante altre cose. Ma alla fine quello che conta, banalmente, dovrebbe essere la musica e le ragioni che ci portano ad assistere ad uno show come quello degli Helloween in questa sede: che sia per estrema aderenza ai canoni del defender o per una pura celebrazione della propria adolescenza (e le molte persone presenti con le loro toppe di gruppi distanti anni luce dalle Zucche di Amburgo ne sono una seppur minima prova), la curiosità o anche solo la voglia di assistere ad una versione di qualcosa di cui non si era potuto godere, più che altro per ragioni anagrafiche, è tanta, al netto delle critiche sui perché e i percome di una serie di concerti del genere. Siamo stati alla data di Londra, in una gremita (ma non sold out) Brixton Academy, per saggiare lo spettacolo che le Zucche porteranno in Italia il sabato successivo. Ovviamente questo report parla dettagliatamente della scaletta e della serata in sé: se volete tenervi la sorpresa, non proseguite oltre, altrimenti buona lettura!
La lunga e ordinata fila di capelloni a non più di mezzora dall’inizio del concerto è variopinta e trasuda entusiasmo; moltissimi i metallari ‘classici’, ma non mancano toppe dei Mayhem, magliette degli Emperor o semplici signori non più ventenni che vengono a riassaporare un pezzetto della loro gioventù. Lo scarto anagrafico è la prima cosa che di fatto notiamo: la gran parte del pubblico presente è composta da giovani e meno giovani adulti, ma in ogni caso manca il classico ‘ragazzino’ di diciotto anni che viene a celebrare dischi ascoltati dalla discografia del padre o del fratello maggiore; cosa che ci fa immaginare la serata ancor più come una celebrazione fra pari, fra amici dell’epoca, moltiplicati per x, e di fatto questo è. Cercare uno show iconoclasta e violento, un’esibizione dal sapore underground, in un contesto del genere sarebbe grossolano, e quindi siamo qui, con tutti i crismi del caso, a goderci uno show di sette signori che, pur dopo dichiarazioni non troppo gentili durante gli anni, hanno deciso di riproporre tre decadi di scaletta, tra video, scherzoni, lazzi e cambi d’abito. It’s show-business, baby. Ma veniamo a quello che ci interessa di più. Una volta posizionatici in uno qualsiasi dei posti della ottima Academy, cornice meravigliosa e studiata per permettere di godersi il concerto da praticamente qualsiasi angolo, dopo un bizzarro momento dedicato a Robbie Williams, le luci iniziano ad abbassarsi sul grande telone con il logo della band e gli armonici di “Halloween” danno il via, alle 20.15, allo show vero e proprio. “Halloween”, dicevamo: per chi scrive è stato uno dei ‘cinque brani della vita’ in età adolescenziale, e quando Kiske sale urlando “Masquerade, Masquerade” è un trionfo all’unisono di tutta l’arena. Il brano, eseguito anche con Deris (e questa sarà una costante, entrambi canterano pezzi di tutte le ere), non lascia nemmeno il tempo di rifiatare che “Dr. Stein” irrompe sugli astanti con tutto il divertissement che era proprio del disco di cui faceva parte. Ovviamente gli occhi sono tutti puntati sul figliol prodigo, quel Michael Kiske che tante cose aveva detto e, ad essere del tutto onesti, gli anni di inattività si fanno vedere e sentire. La prova vocale è tutto sommato accettabile (alzi la mano chi ha la stessa prestanza, in qualsiasi campo, che aveva trent’anni fa), non ci interessa parlare di sospetti playback (in un paio di casi un aiutino sembrava esserci, in effetti), ma la cosa che più salta agli occhi è una non familiarità con l’intrattenimento, cosa che si acquisisce in anni e anni di show e si può perdere facilmente. Intendiamoci, non stiamo dicendo che Kiske sia impacciato, spaventato o inguardabile, anzi, ma, soprattutto affiancato da quel mattatore istrionico chiamato Andi Deris, è impossibile non notare una certa differenza d’attitudine. Un video animato (ce ne saranno parecchi, a volte anche tra brano e brano) introduce un altro pezzo stellare, quella “I’m Alive” che apre il primo “Keeper Of The Seven Keys” e che stende letteralmente la platea, per poi lasciare il passo agli Helloween della seconda era, quelli di Deris e di “If I Could Fly” e “Are You Metal?”, lasciando, con certo stupore, il passo a “Kids Of The Century”, dove Kiske torna a cantare un brano da un disco che non ci saremmo aspettati ma che, cosa tutto sommato apprezzabile, ha voluto essere presente in una celebrazione totale come questa voleva essere. Altri intermezzi vanno a identificare il periodo o il disco da cui il prossimo brano verrà estratto, e così, dopo una divertente e partecipata “Perfect Gentleman”, arriva il turno di Mr. Kai Hansen e del suo fondamentale apporto nella storia della band. Microfono in centro e riflettori puntati, un medley composto da “Starlight”, “Ride The Sky” e “Judas” cambia le coordinate della serata, facendoci respirare quell’aria grezza e speed metal presente in “Walls Of Jericho”, che fa trionfare il ‘suo’ (breve, in verità) momento con “Heavy Metal (Is The Law)”. Altro video, altro cambio, è la volta di “Forever And One”, dove Deris, accompagnato dal chitarrista Sascha Gerstner, fornisce un’altra prova della propria capacità di trasportare e saper tenere il palco, aiutato da Kiske, che a sua volta ricambierà il favore sulla seguente “A Tale That Wasn’t Right”, neanche a dirlo accolta a braccia alzate da tutti i partecipanti. Un drum solo spezza un po’ il ritmo, benché ad un certo punto appaia in video un collage di immagini del compianto Ingo Schwichtenberg, immagini che vanno a confluire in un suo assolo di batteria dell’epoca suonato sia su schermo che dal vivo dal bravo Dan Löble, per un momento che ha un impatto notevole. Si prosegue tra video e brani che pescano a piene mani da tutte le fonti cui gli Helloween possono attingere, tra cui una sempre piacevole “A Little Time”, fino a chiudere la prima parte con “How Many Tears” e, dopo una breve pausa, procedere con un encore di livello altissimo. Dopo il breve intro di “Keeper 2”, infatti, “Eagle Fly Free” esplode nell’arena londinese, cantata da chiunque, potente ed eseguita con furore, per poi lasciare il passo all’intera “Keeper Of The Seven Keys”, dove tutti e sette gli elementi della band partecipano a questi tredici minuti di epica anni ‘80, che in più momenti, come l’apripista “Halloween”, ci ha fatto venire i brividi sulla schiena. Altra pausa, i Nostri tornano sul palco e uno sketch di Kiske con la chitarra intento a fare Elvis viene tagliato per via dei rigidissimi orari di coprifuoco dell’Academy (dopo le 23 nessuna nota può essere emessa) e, imbracciati gli strumenti, tra coriandoli e palloni a forma di zucca, la serata si conclude con il double “Future World” e, ovviamente, “I Want Out”, in un tripudio da party anni Ottanta, tra abbracci, saluti, lazzi e saltelli. Pur con tutte le pause prese grazie ai video di presentazione, le quasi tre ore ci sono state tutte e, a parte qualche acciacco, i Nostri hanno saputo tenere il palco con esperienza e far tornare ragazzini gran parte dei presenti, tra cui chi scrive. E che poi il metal sia altra cosa, che oggi si preferisca altro all’happy metal dei tedeschi, be’, è sacrosanto ma, in questa sede, anche del tutto inutile specificarlo. Buona rimpatriata a voi, in Italia.
Setlist:
Halloween
Dr. Stein
I’m Alive
If I Could Fly
Are You Metal?
Kids Of The Century
Waiting For The Thunder
Perfect Gentleman
Starlight / Ride The Sky / Judas
Heavy Metal (Is The Law)
Forever And One (Neverland)
A Tale That Wasn’t Right
I Can
Drum Solo
Livin’ Ain’t No Crime
A Little Time
Why?
Sole Survivor
Power
How Many Tears
Encore 1:
Eagle Fly Free
Keeper Of The Seven Keys
Encore 2:
Future World
I Want Out