23/06/2008 - Hove Festival 2008 @ Hove - Hove (Gran Bretagna)

Pubblicato il 15/07/2008 da
Report a cura di Igor’ Belotti
 
Il caso ha voluto che, incuriositi dalla varietà di stili musicali proposti e attirati da alcuni nomi del cartellone, quest’anno capitassimo in quel della Norvegia per assistere a questo festival, meta alternativa rispetto ad altri nomi più noti e usuali nel panorama dei festival estivi europei. Hove è un festival giovanissimo, giunto quest’anno solamente alla seconda edizione, organizzato sull’isola di Tromøy, la più grande nei pressi di Arendal, una cittadina situata a sud della Norvegia. Proprio la location costituisce uno dei maggiori punti di forza del festival, immerso nella natura dei boschi norvegesi e circondato dal mare, in una cornice davvero idilliaca. L’organizzazione poi si è dimostrata capace di raggiungere una perfezione tipicamente nordeuropea impensabile in un paese arretrato in questo campo come l’Italia. Innanzitutto un ampissimo campeggio degno di tale nome e dotato di buone strutture tra cui un numero sufficiente di docce e bagni, chimici e non, consuetudine in diversi festival dell’Europa settentrionale e invece raramente (mai?) visto nei festival delle nostre parti. L’area campeggio di Hove si è spinta in questo ambito laddove nessun festival di nostra conoscenza era mai arrivato, offrendo addirittura un servizio lavanderia all’interno del campeggio. La presenza di un supermercato “da campo”, assicurava ai campeggiatori beni di prima necessità, nonostante sia all’interno che all’esterno dell’area concerti fosse possibile acquistare cibo e bevande in numerosi stand di vario tipo. Le bancarelle disseminate per il festival infatti offrivano una varietà di scelta di cibi ampia che spaziava da pizza e hamburger a cibo messicano e menù vegetariani. Anche esigenze come caricare il proprio telefono cellulare o accedere a internet potevano essere soddisfatte agli appositi stand. Lo staff del festival, in particolar modo personale dell’ufficio accrediti, si è rivelato comprensivo e pronto a venire incontro a qualsiasi necessità. Tipicamente scandinava, e non sempre comprensibile a noi italiani, è la severità con cui viene trattata la materia alcool, che per esempio non poteva essere portato fuori dall’area concerti se acquistato al suo interno e viceversa, e che veniva servito se in possesso di un apposito braccialetto che attestata la compiuta maggiore età e che veniva fornito insieme al braccialetto che dava l’accesso all’area concerti all’ingresso del festival. E pensare che proprio un semplice braccialetto per entrare e uscire comodamente dall’area concerti, come in tutti i festival degni di tale nome, purtroppo nel nostro paese spesso è ancora pura fantascienza. Il cuore del festival, ossia l’area concerti, si presentava come un’ampissima area articolata in diverse zone circondata dai boschi e fornita di stand di ogni tipo, alcuni dei veri e propri negozi, da quelli dedicati all’abbigliamento a quelli di dischi, oltre ai già citati stand del cibo. Numerosi bar erano allestiti in tutta l’area del festival e alcuni anche nei boschi che lo circondavano, e nei quali al termine delle esibizioni sui palchi, la festa proseguiva con DJ set vari. Addirittura il Garage, noto locale live di Oslo, aveva un suo spazio all’interno del festival con una propria area bar. I concerti del festival erano ospitati su tre palchi, uno principale chiamato “Hovedscenen”, uno secondario denominato “AMFI” di dimensioni leggermente più piccole e posizionato in una sorta di anfiteatro naturale, ed un terzo, minore, ospitato all’interno di un ampio tendone e chiamato “Teltet”. Le band che si sono alternate su questi palchi per i cinque giorni del festival coprono una gamma vastissima che va dall’indie rock all’heavy metal passando addirittura per il pop di Duffy e l’hip hop di Jay Z e che include, oltre a quelli recensiti, nomi come: The Kooks, Panic At The Disco, We, Black Tide, Avenged Sevenfold, Baroness, Band Of Horses, Beck, Bullet For My Valentine, Killswitch Engage, Cavalera Conspiracy e The Used. Ancora una volta, facciamo fatica ad immaginare in Italia un festival così vario dove si succedono artisti così diversi, e che accomuna il festival a kermesse nord europee dalla selezione altrettanto vasta come il danese Roskilde, lo svedese Hultsfred e, in un certo senso, anche festival inglesi come Reading/Leeds e Download. Personalmente, abituato a festival più “tematici”, innanzitutto quelli di heavy metal, la varietà di Hove ha costituito un’ulteriore spunto d’interesse. Parallelamente alle esibizioni, il festival prevedeva anche numerose iniziative culturali, tutte disertate dal sottoscritto, ma che comprendevano installazioni all’aperto di arte moderna, incontri di teatro e di letteratura  tra cui letture di poesie e spoken word su un palco apposito e rassegne di cinematografia indipendente e non. Hove è anche un festival dalla forte filosofia ecologista, sulla quale gli organizzatori sembrano insistere molto. Sia il campeggio che l’area concerti erano infatti disseminati di diversi bidoni della spazzatura per la raccolta differenziata di vetro, carta e lattine. In defintiva, l’Hovefestival si è rivelato davvero completo e vario, lontano anni luce da situazioni in cui il festival non è nulla di più che una sequenza di esibizioni su un unico palco, sembra anzi concepito per dare allo spettatore un’esperienza in grado di offrire quanto più possibile. La qualità, doveroso dirlo, ha il suo prezzo e il biglietto-pass per tutti e cinque le giornate del festival quest’anno si aggirava attorno ai 230€. Ma se quanto avete letto in questo report vi intriga e non vi lasciate intimorire dalla forte valuta norvegese (o, più semplicemente, se potete permettervelo) fate un pensiero su Hove, ne vale davvero la pena.

www.hovefestivalen.com

COHEED AND CAMBRIA

La prima band che ci capita di ammirare in azione sono gli statunitensi Coheed And Cambria. Ancora poco noti in Italia, la band è invece piuttosto apprezzata in Inghilterra e nord Europa in generale e questa si presenta come una buona occasione per testarli dal vivo. Quando ci avviciniamo al palco il gruppo ha già iniziato a suonare e colpisce fin da subito per l’ottimo livello strumentale. Le loro canzoni sono difatti piuttosto articolate ma non per questo poco immediate, e si rivelano anzi piuttosto trascinanti. La band sfugge da una categorizzazione precisa anche se potrebbe essere definita sicuramente come un heavy metal moderno e progressivo con degli ottimi spunti melodici, quasi una versione del nuovo millennio dei Rush. Il quartetto suona davvero compatto e preciso ed è accompagnato in sede live da un tastierista e due coriste che vanno ad affiancare la voce cristallina del chitarrista cantante Claudio Sanchez, dotato tra l’altro della capigliatura più voluminosa mai vista su un palco, e proprio l’attenzione per le melodie vocali si rivela un altro punto di forza. La scaletta prevede anche un medley nel quale riconosciamo “The Trooper” degli Iron Maiden, con un cameo vocale anche del chitarista Travis Stever. Abbondano ovviamente gli estratti dall’ultimo album pubblicato dalla band, “Good Apollo; I’m Burnign Star IV, Vol. II: No World For Tomorrow” del 2007, sequel del primo volume uscito nel 2005, anch’egli presente in scaletta con tre brani, così come il precedente “In Keeping Secrects of Silent Earth: 3” del 2003. I Coheed And Cambria si rivelano convincenti dal vivo e in grado di coinvolgere sia il loro pubblico che gli spettatori occasionali.
 
Guarda l’intero concerto a questo link: http://nrkp3.no/konserter/?klipp=382029

FLOGGING MOLLY

Salgono sul palco i Flogging Molly, irlandesi ma americani d’adozione, e il cantante Dave King (che ha un passato di hard rocker con Katmandu e i Fastway dell’ex Motorhead “Fast” Eddie Clark!) lancia il suo proclama: “molte centinaia di anni fa, voi avete invaso la nostra terra, stasera noi invadiamo la vostra!”. Il concerto che ne segue si rivela difatti particolarmente energico, anzi, il loro punk rock celtico dal vivo si rivela davvero trascinante e quando l’atmosfera si scalda sembra quasi di trovarsi in un pub irlandese in festa più che ad un festival nei boschi della Norvegia. La band è impegnata nella promozione dell’ultimo “Float”, gli estratti dal disco difatti non mancano e contano in totale l’apertura di “Paddy’s Lament”, “Requiem For A Dying Song”, la title-track e una “Lightining Storm” dedicata a Joe Strummer, anche se la scaletta copre tutta la discografia e non tralascia i pezzi più noti come “Drunken Lullabies”. La band, che vanta nell’organico anche una fisarmonica, un violino e un banjo (quest’ultimi alternati in alcuni brani ad un flauto e mandolino) appare precisa e coordinata sotto la guida del suo leader Dave King, che oltre a ricoprire il ruolo di cantante, è impegnato anche alla chitarra acustica. E proprio Dave King, si rivela un frontman spiritoso e carismatico, capace di intrattenere il pubblico con le sue presentazioni e dediche tra un pezzo e l’altro. La folla, accorsa numerosissima, sembra divertirsi e partecipa con entusiasmo alla performance dei Flogging Molly, ma l’ora a disposizione scorre alla svelta e con le note di ‘Seven Deadly Sins’ la band saluta e se ne va.
 
Guarda l’intero concerto a questo link: http://nrkp3.no/konserter/?klipp=382542

BAD RELIGION

I Bad Religion sono indiscutibilmente un’icona del punk rock americano ed eroi dell’hardcore melodico. Prendono possesso del palco “AMFI” su cui poco prima si erano esibiti i Flogging Molly e il concerto ha un inizio “calmo” con il classico “21st Century Digital Boy”, ma le cose si movimentano subito con la veloce “New Dark Ages” dal repertorio più recente. Considerando la ricca scaletta proposta in questa sede dal gruppo americano, essere una band punk rock ha i suoi vantaggi in questo senso, visto che con pezzi di pochi minuti la band riesce a infilare ventuno brani in scaletta per un set di circa un ora. Non manca nessuno dei pezzi che vorremmo sentire, tra cui “I Want To Conquer The World”, “Suffer”, “American Jesus” e “Generator”, canzoni che hanno fatto la storia di questo genere, ai quali vengono alternati brani da tutti i lavori, in particolare gli ultimi ‘The Empire Strike First’ e ‘New Maps Of Hell’, pubblicato lo scorso anno e che la band è ancora impegnata a promuovere, come si deduce dalla copertina del disco che troneggia sullo sfondo del palco. La resa dei pezzi è ottima, con il relativamente nuovo Brooks Wackerman (ex-Suicidal Tendencies) che sfoggia tutta la sua abilità dietro la batteria e che col veterano Jay Bentley al basso forma la sezione ritmica che costituisce l’ossatura su cui si inseriscono le chitarre di Brian Baker (ex-Minor Threat) e Greg Hatson (ex-Circle Jerks), autentiche leggende del’hardcore d’oltreoceano. La voce di Greg Graffin completa il tutto, anche se l’immagine di quest’ultimo e la sua presenza pacata ricordano in tutta sincerità più quelle di un intellettuale che quella di un’icona del punk rock (ricordiamo che Graffin è di fatto professore di biologia in California quando libero dai sui impegno con i Bad Religion). Come chi li ha preceduti, anche i cinque californiani hanno a disposizione un’ora e con note di “Sorrow” si giunge alla conclusione di uno show più che soddisfacente.
 
Guarda l’intero concerto a questo link: http://nrkp3.no/konserter/?klipp=382734

BEHEMOTH

Inizia ad imbrunire ed è ormai tempo per l’infernale death black metal dei Behemoth. Il quartetto polacco guidato da Nergal ormai ha uno status consolidato nella scena extreme metal mondiale, e il fatto di essere presenti a un festival di così ampio respiro come rappresentanti della frangia di più estrema del metal insieme a glorie locali come Dimmu Borgir e Satyricon la dice lunga al riguardo. L’apertura è affidata a “Slaves Shalls Serves” da “Demigod” e la band mette subito in chiaro le proprie intenzioni: non si fanno prigionieri. L’impatto del gruppo è notevole, i riff sono davvero spaccaossa, si susseguono in infiniti cambi di tempo e la presenza scenica non manca. Purtroppo però non manca nemmeno qualche cliché che ci si poteva risparmiare come la bibbia stracciata sul palco. La scaletta è perlopiù incentrata sul repertorio della produzione più recente, ossia quei dischi che hanno permesso la costante crescita di popolarità e che ha fatto guadagnare alla band polacca l’attuale status nella scena estrema mondiale, ma non mancano anche incursioni a dischi ormai meno recenti come “Antichristian Phenomenon” da “Thelema.6” e “Decade Of Therion” da “Satanica”. Chiude il concerto la ruffianissima cover di “I Got Erection” dei norvegesi Turbonegro, popolarissimi in patria, scelta che perlomeno permette al quartetto di connettersi anche con il pubblico estraneo alla loro proposta musicale estrema.
 
Guarda l’intero concerto a questo link: http://nrkp3.no/konserter/?klipp=382806

PRIMORDIAL

Le tenebre sono ormai calate del tutto ed è tempo per la seconda band irlandese della giornata a calcare questo palco, anche se la proposta dei Primordial è radicalmente diversa dai Flogging Molly. Sulla scia del buon riscontro di “To The Nameless Dead” dello scorso anno, la band di Dublino sembra lanciatissima nel ritagliarsi una visibilità sempre maggiore nella’affollatissima scena metal odierna, ed è infatti impegnata durante l’estate su letteralmente TUTTI i principali festival metal in Europa. Il set degli irlandesi è infatti incentrato quasi completamente sul nuovo album da cui vengono estratti ben quattro brani sui sei proposti in tutto. Il dark metal dei Primordial si rivela coinvolgente dal vivo, anche se il pubblico, per via dell’ora in verità non è troppo numeroso. La proposta della band rimane comunque di assoluto valore, un metal oscuro ed epico, malinconico ed estremamente evocativo, dove la band riesce a coniugare le proprie influenze come Bathory e Candlemass con una spiccata dose di personalità. Il quintetto è capitanato da Alan “Nemtheanga”, unico elemento della band provvisto di face painting, forse per sopperire all’unico cranio rasato del gruppo, che si rivela un frontman appassionato e coinvolgente, che sembra vivere davvero la sua musica, mentre gli altri elementi del gruppo appaiono più distaccati, immersi nell’esecuzione dei pezzi. La band si esibisce per circa tre quarti d’ora, e vista la lunga durata dei loro brani, nello show vengono eseguiti solamente sei pezzi, comunque apprezzati.
 
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DIMMU BORGIR

Considerando che i black metaller Dimmu Borgir sono tra i best seller assoluti di sempre nel loro genere e che siamo nella loro madre patria, stupisce un po’ vedere che la band si esibisce sul palco “AMFI”, leggermente più piccolo rispetto a quello principale. Il pubblico accorre comunque numerosissimo nonostante l’esibizione del gruppo di Shagrath, l’ultima di rilievo in programma, inizia a notte ormai inoltrata. Sarà “l’effetto cinema” del fatto che decidiamo di assistere seduti allo show, per via dell’ora e della stanchezza di tutta la giornata, ma quando il concerto comincia sembra quasi di assistere alla proiezione di una pellicola in stile “Mortal Kombat” in dolby sorround: tuoni, fulmini e vari effetti pirotecnici, intro orchestrali, schermi con proiezioni varie, tutti gli elementi del gruppo dotati come da copione di face painting e vistosi abiti di scena con tanto di una mega armatura del buon Shagrath, che ha ben oltrepassato il livello di malvagità per sconfinare abbondantemente nella pacchianeria. Nulla da eccepire sulla validità dei musicisti coinvolti e sulla qualità della proposta musicale del gruppo, ma dopo aver assistito ad un’esibizione dei Dimmu Borgir appare evidente il motivo del successo della band: black metal per le masse. In pratica tutta l’aurea di malvagità e trasgressione di questo genere underground sdoganata ad un ampio pubblico (presumibilmente giovane) in cerca di sensazioni forti. Se consideriamo il loro concerto dal punto di vista dell’intrattenimento più puro, i Dimmu Borgir sono indiscutibilmente grandissimi professionisti e il loro è uno spettacolo nel senso più ampio del termine. La band poi stasera gioca in casa e il successo del loro “norsk black metal”, per usare le parole testuali della band, è assicurato e il pubblico sembra gradire.

JOB FOR A COWBOY

I Job For A Cowboy hanno decisamente un nome strano, in particolare modo in relazione alla loro proposta musicale. Incuriosito dal vederli in azione, mi dirigo verso il palco dove la band ha già iniziato a suonare. La musica proposta dal quintetto è un efferratissimo death metal, tanto brutale quanto tecnico e articolato. La band dell’Arizona ha un solo disco all’attivo, “Genesis”, pubblicato lo scorso anno e i cui brani costituiscono la maggior parte dei scaletta, preceduto dal un EP di due anni fa intitolato “Doom” e caratterizzato da una componente più vicina al metalcore assente nella nuova direzione musicale della band. I cinque membri del gruppo appaiono piuttosto giovani ma la loro caparbietà e convinzione traspare appieno dalla loro esibizione. Dotati di una precisione impeccabile, lo show si rivela più che convincente per gli standard del genere. In un contesto così ampio come quello di questo festival però, la musica del gruppo si rivela tanto capace di entusiasmare gli appassionati del genere, quanto con tutta probabilità un po’ noiosa per chi non è per nulla avvezzo a questo tipo di sonorità.

THE HELLACOPTERS

Tocca agli Hellacopters dell’ex-Entombed Nicke Andersson, purtroppo ormai prossimi allo scioglimento, visto che alle date estive nei festival, seguirà un tour di addio che li vedrà impegnati per l’ultima volta sui pachi d’Europa e Scandinavia. La partenza è affidata a “Hopeless Case Of Kid In Denial” da “High Visibilty” debutto su major della band e in retrospettiva forse il loro disco più importante. Vista la recente pubblicazione dell’ultima fatica del gruppo, ci si aspetta qualche estratto da “Head Off”, album composto interamente da cover e difatti il concerto prosegue con “Electrocute”, riproposizione di un pezzo dei Demons. Considerando l’imminente scioglimento, la set-list sembra essere pensata come una sorta di “best of” dal vivo e non mancano nemmeno alcuni ripescaggi come “The Devil Stole The Beat From The Lord” dall’incerto “Grande Rock”, da qualche tempo assente dalla scaletta della band, e addirittura “Ferrytale”, B side del loro primo singolo su 7”! La band appare in forma, precisa e ben coordinata mentre Nicke e Strings si riconfermano chitarristi validissimi, se non addirittura i migliori della loro generazione in questo genere di musica. C’è spazio anche per un altro brano dall’ultimo disco con “In The Sign Of The Octopuss”, cover dei Robots e singolo estratto dall’album, e il resto dello show, che trova un momento più rilassato in “No Song Unheard”, prosegue con hit come “Toys And Flavors” e “Carry Me Home”. Sapendo che si tratta di una delle ultime esibizioni della band, la chiusura ad alta energia di “(Gotta Get Some action) Now” ci lascia soddisfatti ma un po’ rattristati. Ci mancherete Hellacopters, eroi contemporanei di un certo modo di intendere il rock’n’roll.
 
Guarda l’intero concerto a questo link: http://nrkp3.no/konserter/?klipp=382861

CONVERGE

La prima band che abbiamo il piacere di ammirare oggi sono gli spietatissimi Coverge. Il gruppo di Jacob Bannon e Kurt Ballou dal vivo ha un impatto terrificante, la loro psicotica commistione di metal e hardcore crea un muro sonoro dall’impatto notevole. Jacob Bannon, col cranio rasato e il corpo magro ricoperto quasi per intero di tatuaggi, è autore di uno screaming impressionante, oltre a colpire per la propria presenza scenica, dimenandosi e aggirandosi per il palco con un fare inquietante. Il resto della band non è da meno lo accompagna con esecuzioni violentissime dei loro brani e il risultato è un assalto sonoro senza pari. “No Heroes”, ormai vecchio di un paio d’anni, è l’album più recente della band e difatti la copertina troneggia gigantesca sullo sfondo del palco principale. Ci sono anche estratti dal precedente “You Fail Me” e ovviamente dall’ormai classico “Jane Doe” del 2001. Una band come i Converge, che per via delle propria attitudine e radici hardcore sembrerebbe dare il meglio di sé nel contesto di situazioni più raccolte, si rivela un’autentica macchina da guerra anche nella sede di un festival.

CHROME HOOF

I Chrome Hoof sono la band di Leo Smee, conosciuto ai più come bassista dei doomster britannici Cathedral, e suo fratello Milo; il primo appassionato di sonorità hard rock, il secondo di musica elettronica. La proposta musicale della band sembra voler quasi unire queste due realtà, dando origine ad una bizzarra commistione progressiva e futuristica, dove si ritrovano elementi di metal, elettronica e disco music. Anche l’immagine del gruppo non è da meno in quando a stravaganza e avvicinandosi al palco si posso scorgere ben nove elementi, tutti incappucciati con dei mantelli d’argento. L’organico della band è quindi piuttosto numeroso e oltre a chitarra, basso e batteria ci sono anche tastiere, un violino, una tromba, un sassofono e addirittura un violoncello. Completa la formazione la cantante Lola Olafisoye, un’amazzone nera, impegnata anche in movenze davvero teatrali. Sia per l’immagine “spaziale”, sia per via della forma di band “aperta” con membri del gruppo che vanno e vengono liberamente, i Chrome Hoof riportano alla mente le band-comune degli anni ’70 come Hawkwind e Amon Duul. E anche se la proposta musicale è indubbiamente lontana da queste formazioni, ne condividono certamente l’approccio progressivo e totalmente privo di ogni vincolo alla sperimentazione. Sfortunatamente, l’esibizione della band inglese è rovinata dal cattivo tempo, e la pioggia, oltre ad aver decimato il pubblico, impedisce di gustarci la loro performance. I Chrome Hoof si rivelano comunque interessanti anche nel contesto di un festival, ma probabilmente, vista la sua particolarità, la loro proposta musicale non è per tutti.

SATYRICON

In programma sarebbero previsti gli Opeth, che però vengono cancellati all’ultimo minuto a causa della varicella contratta da Mikeal Akerfeldt che costringerà la band a non esibirsi per qualche giorno, rinunciando così ad alcune apparizioni programmate per festival come Hultsfred e oggi stesso. Vengono chiamati a sostituirli sul palco principale i black metaller norvegesi Satyricon, che come i Dimmu Borgir, giocano anche loro in casa. A differenza di quest’ultimi però non godono del favore delle tenebre, essendo la loro esibizione di pomeriggio. Il black metal funereo e maestoso del gruppo si rivela sufficientemente maligno e sortisce comunque il suo effetto. L’attenzione è tutta ovviamente per i leader Frost, batterista del gruppo, e Satyr, cantate e frontman della band, che oggi sfoggia un’inedita combinazione tra face painting e un taglio corto leccato all’indietro. La band è completata da session man a me sconosciuti, ma che comprendono due chitarristi, un bassista ed una tastierista. Per il concerto i norvegesi scelgono una scaletta ricca di estratti dall’ultimo album pubblicato dalla band, ovvero quel “Now, Diabolical” di due anni fa e tra questi ricordiamo: “K.I.N.G.”, “The Pentagram Burns” la title track, mentre dalla produzione passata segnaliamo “Forhekset” dal mini “Megiddo” del 1996, “Havoc Volture” dall’album della svolta “Rebel Extravaganza” e il black’n’roll di “Fuel For Hatred” da “Volcano”. C’è spazio anche per un’anticipazione del nuovo album in uscita a novembre con “My Skin Is Cold”, già presente sull’EP omonimo. Ai Satyricon, uno dei nomi più importanti di sempre della scena black metal norvegese, va dato atto di aver costantemente cercato di rinnovarsi e da “Rebel Extravaganza” in poi, tentando un’innovazione del genere allargandone i confini. La lunga “Mother North” dal classico “Nemesis Divina”, autentico inno del gruppo, chiude come da copione il concerto.

BLACK MOUNTAIN

Arriva l’ora dei canadesi Black Mountain, in programma sul palco Teltet. E’ ormai di nuovo buio e l’atmosfera più raccolta ben si addice al rock psichedelico del quintetto di Vancouver. Con la pubblicazione dei “In The Future”, la band ha riscosso pareri molto positivi in tutto il mondo, Italia inclusa, dove si parla del disco come di una delle uscite più valide di questo 2008. La proposta musicale del gruppo è un rock dallo spiccato gusto retrò, con ampio spazio a divagazioni psichedeliche, in un insieme dove convivono riff Sabbathiani e atmosfere soffuse, nelle quali gioca un ruolo di primo piano la voce della cantante Amber Webber. Proprio quest’ultima è al centro del palco, affiancata dal leader Stephen McBean, che nella band ricopre il ruolo di chitarrista e cantante maschile. Il modo di tendere il palco dei canadesi sembra adattarsi alle atmosfere delicate della loro musica: il gruppo appare prevalentemente concentrato sui propri strumenti, quasi a dare l’idea di “artigiani della musica” e interagisce poco o nulla col pubblico. Amber, quando non impegnata a cantare, rimane ferma sul palco come ipnotizzata dalla loro stessa musica, limitandosi ad accompagnare gli altri con un tamburello. Il repertorio è incentrato prevalentemente sull’ultima fatica del gruppo, ma non mancano episodi anche dall’omonimo esordio del 2005. I Black Mountain dal vivo non deludono affatto, anzi danno luogo ad uno spettacolo convincente e si rivelano in grado di riproporre in sede live quanto di buono proposto su disco.

IN FLAMES

A causa dell’esibizione dei Black Mountain, per larga misura sovrapposta a quella degli In Flames, ci perdiamo buona parte del concerto di quest’ultimi, rassicurati dal fatto che avremo modo di recuperare la loro esibizione a casa nostra in occasione dell’Evolution. Come noto, il fato purtroppo vorrà che una grandinata danneggerà il palco, impendendo al gruppo di esibirsi. Gli In Flames negli ultimi anni hanno visto un aumento di popolarità notevole, che li ha visti passare da entità underground in crescita fino allo status odierno di star internazionali del metal. A partire da “Reroute To Remain” del 2002 in poi, la band infatti si è aperta a soluzioni sempre più commerciabili e alla conquista del pubblico americano. Lo status di megastar è ancor maggiormente consolidato nella natia Svezia e in Scandinavia, e difatti avvicinandoci al palco principale appare subito evidente la produzione in grande stile, con un impianto scenico spettacolare ed imponente, in particolar modo per quanto riguarda le luci e gli effetti pirotecnici. La band, autentica padrona della serata, tiene il proprio pubblico in pugno, che accompagna il gruppo cantando i ritornelli e ha tutta l’aria di essere coinvolta alla grande dal concerto degli svedesi. Arrivati al brano conclusivo dell’ultima esibizione di rilievo della notte, la band è anche l’ultima ad esibirsi sul palco principale, essendo di fatto gli headliner della serata. Il finale dello show degli In Flames chiude il festival ed è accompagnata da fuochi d’artificio coi quali questo Hovefestival 2008 giunge alla sua conclusione.

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