Report di Simone Vavalà
Fotografie di Benedetta Gaiani
Post-punk, punk rock, indie, alternative… Quanto contano realmente etichette come queste, e quanto sono effettivamente applicabili agli Idles? Come tutte le speculazioni linguistiche in sede musicale, è un dibattito di nessun interesse, a cui del resto la stessa band di Bristol si sottrae con piacere.
Quello che conta è come, in circa tre lustri di attività, i cinque abbiano scardinato i confini musicali e con essi anche le classifiche, non solo in UK – dove hanno piazzato al primo posto in classifica due dei loro ultimi tre album, con il recentissimo “Tangk” comunque in ottimo slancio – ma un po’ ovunque, assicurandosi esibizioni in orario da headliner al Coachella e tour sold-out in locali da migliaia di posti ogni sera.
Il segreto? Un mix raro di energia, personalità, radici musicali scontate ma amalgamate con singolare personalità, così come il rinnovato interesse verso band che non hanno paura di parlare di essere politiche in senso ampio e nobile, come hanno modo di dimostrare anche stasera all’Alcatraz di Milano.
La serata piovosa ci impedisce di arrivare in tempo per assistere all’esibizione della band di supporto, alias i DITZ; non conoscendoli evitiamo ascolti o commenti frettolosi, contando in una futura occasione per vederli su un palco. Al tempo stesso la suddetta pioggia non trattiene tremila anime dall’assieparsi nel locale milanese e farsi scaldare gli abiti ormai aromatizzati au chien moullé per un paio di trascinanti ore.
Non ci sono mai stati dubbi sulla generosità in sede live della band di Bristol, ma stasera gli IDLES sembrano volerlo ribadire con particolare vigore.
La nuova “Idea 01” funge da intro in crescendo e colpisce subito alle viscere con la grancassa sugli scudi, mentre il quintetto si scalda entrando in progressione sul brano, ed è poi subito tempo di classici con “Colossus”, uno dei loro brani più iconici, che scatena non a caso il pubblico.
Joe Talbot mostra fin dalle prime battute un approccio vocale più variegato e dinamico, meno roco, mentre la band mette in capo una componente più sperimentale, tra battute in cassa dritta e pulsioni più oscure; tutti elementi, certo, da sempre presenti nella loro anima, ma stasera gli stessi arrangiamenti sembrano alterati. E lo diciamo in senso positivo, visto che riescono ad offrire un’esperienza diversa a chi li ha già visti dal vivo.
La loro discografia viene percorsa in lungo e in largo, passando dalla pura adrenalina punk di “Gift Horse” alle parti di “Ultra Mono” con l’assalto monolitico e sguaiato il giusto di “Mr. Motivator”, con anche quel tocco danzereccio che fa sempre piacere e che tornerà in diversi momenti della serata (per esempio su “Crawl”). Adam e Jon, basso e batteria, sono a dir poco tellurici, e in certi brani fanno rivivere lo spirito post-punk primevo dei The Fall o dei primi Killing Joke (“The Wheel”), ma non sono meno rilevanti gli apporti delle due chitarre. In particolare Lee Kiernan, in abito da donna come da prassi e spesso fondamentale come seconda voce e negli inserti (mai invadenti ma arricchenti) di tastiere.
“Joy As An Act Of Resistance” è il disco che la fa da padrone alla pari del nuovo LP, con i momenti di massima ferocia vocale e dissonanze; solo tre brani, invece, da “Brutalism”, ma perfetti per mettere in primo piano il taglio acidamente new wave della band; in generale si apprezza l’intelligente scelta di evitare massicce sequenze di brani nuovi, così da amalgamarli meglio nel sound complessivo, con una resa che migliora la sensazione non proprio esaltante, e probabilmente erronea, avuta dopo qualche ascolto di “Tangk”.
Il passaggio continuo tra i dischi, decisamente molto diversi tra loro, sembra quasi mettere alla prova la band, che ne esce promossa alla grande: momenti stralunati (“Car Crash”) si sciolgono in assordanti feedback, mentre i brani più ‘delicati’, come “Roy” (la loro idea di romanticismo) si inseriscono alla perfezione con le frequenti interlocuzioni tra Joe e la platea: “I’m scum” offre l’occasione per ricordare momenti difficili della sua vita personale, ma anche il senso di amore per la vita e il pubblico, oltre a un omaggio alle vittime di Gaza, tema spesso ripreso nel corso della serata, anche da un coro del pubblico.
In dirittura di arrivo, ecco ovviamente “Grace”, il pezzo dei Coldplay per orecchie esigenti, il debutto live di “War”, resa in una forma più intimista, mentre “Never Fight A Man With A Perm” è uno dei momenti più alti del concerto per rumore e coinvolgimento, con batteria tribale a guidare le escursioni lisergiche dei vari strumenti e chiude il set principale in continuità con l’ottima “ Dancer”, su cui il tocco degli LCD SoundSystem si sente eccome.
Come bis, il perfetto post-punk di “Danny Nedelko” e infine “Rottweiler”, che regala un altro momento di caos e godimento, mentre viene saltata l’improbabile cover di Mariah Carey proposta, a quanto letto online, nelle esibizioni delle sere precedenti.
Un concerto della durata netta di due ore con questa energia, voglia di darsi, comunicare e offrire un’esperienza nuova anche a chi ha già visto più volte la band non è da poco; l’unica ‘preoccupazione’ è che presto, probabilmente, non basteranno più i locali, per quanto grandi, agli Idles e diventerà sempre più difficile condividere realmente il sudore e l’adrenalina con loro. Ma il salto verso lidi di sempre crescente popolarità è a dir poco meritato.
Setlist Idles:
Idea 01
Colossus
Gift Horse
Mr. Motivator
Mother
Car Crash
I’m Scum
1049 Gotho
The Wheel
Gratitude
Divide And Conquer
POP POP POP
Television
Roy
Samaritans
Grace
Hall & Oates
Crawl!
A Hymn
War
Never Fight A Man With A Perm
Dancer
Danny Nedelko
Rottweiler
DITZ
IDLES