01/09/2007 - Idroscalo Rock @ Idroscalo - Milano

Pubblicato il 06/09/2007 da
 
A cura di Maurizio “MoRRiZz” Borghi
 
 

 
 

 

 
La prima edizione dell’Idroscalo Rock prende le consegne del Rock In Idro, appuntamento che segna la fine della stagione di festival milanese. Protagonisti i nomi della scena punk/hardcore, con un bill che lascia spazio a diverse realtà italiane (da citare la reunion dei Sottopressione) ed estreme (The Locust), in un bill sufficientemente interessante e diversificato. La prima giornata è stata una sorta di aperitivo, dove Hot Gossip e Il Teatro Degli Orrori si sono distinti da una massa informe e costretta a suonare sul palchetto secondario, con esiti prevedibili (suoni scandalosi e pubblico esiguo). Certo il cartellone di domenica non era da strapparsi i capelli, ma – tenendo conto dell’exploit del 2005 – l’affluenza di pubblico è stata deludente: l’area Idroscalo era più piena al mezzogiorno di uno qualsiasi dei giorni del Gods Of Metal! L’arena è rimasta sostanzialmente immutata, fatta eccezione per il minor numero di stand presenti; i prezzi per cibo e beveraggi sono rimasti elevati, anche se non si sono registrate code kilometriche, nè disordini di alcun tipo, sebbene, come consuetudine, sia stata adottata l’inspiegabile politica dell’ “esci quando te lo dico io”. Il meteo, in conclusione, è stato molto clemente, regalando una giornata splendida, assolata ma non troppo calda, che ha contribuito ad un clima molto rilassato anche dei presenti: un festival godibile ma poco affollato insomma…

SICK OF IT ALL

Vent’anni di attività e non sentirli, un monumento vivente. Come lo stesso Lou Koller ha il piacere di notare con una alzata di mani, sono pochi tra il pubblico che non hanno mai assistito a uno show dei SOIA: in questo modo da subito il feeling è alle stelle e il pit si incendia, unendo sia i punkers che gli amanti delle sonorità più ruvide. La forma fisica dei newyorchesi è invidabile, soprattutto se parliamo dei fratelli Koller, assolutamente carichi e presenti nonostante gli anni sulle spalle. La scaletta pesca un po’ ovunque, non tralasciando l’ultimo “Death To Tyrants” dal quale viene eseguita “Uprising Nation”, ma è sui classici come “Step Down” e “Scratch The Surface” che il pubblico canta all’unisono e si prodiga nel movimentare le prime file, ovviamente anche nel classico wall of death su quest’ultima. Tra un applauso al pubblico italiano e una stoccata ai modaioli e agli scocciatori che infestano Youtube con commenti negativi senza presenziare nemmeno ai concerti, la formazione regala una delle prove migliori della giornata.

SOTTOPRESSIONE

Dopo undici anni di silenzio, in occasione della ristampa dell’intero catalogo, i Sottopressione tornano nella line-up con cui si sono sciolti (niente Mayo al microfono), in linea con ciò che si erano detti Fede-rico, Diste, Dario ed Enrico in quell’inverno di sette fa: “…se mai sarà ancora, ripartiremo da dove noi ci siamo fermati…”. Dal vivo la formazione ripropone fedelmente il suono vecchia scuola che li ha resi popolari negli anni Novanta, sostenuto e con pochi fronzoli: “Mastice”,”Ormai Non Ho Più Niente Da Darvi”, “Come Me”, “Distruggersi Per Poi Risorgere” (cover de Gli Indigesti) e le altre canzoni in scaletta suonano sicuramente datate, ma hanno ancora una carica che i presenti dimostrano di apprezzare. Un peccato confinarli in un  palchetto piccolo e con notevoli problemi acustici, considerato l’interesse generale e il valore del gruppo.

THE LOCUST

Un impatto incredibile quello degli alieni-locusta sul festival milanese: i quattro umanoidi (cinque, se si conta una fotografa sempre bardata nel particolare costumino) hanno annichilito la piccola folla che si è presentata dinanzi al MySpace Stage. Stranianti, originali, estremi e soprattutto veloci oltre ogni umana concezione, questi quattro pazzoidi suonano un grindcore imbastardito con l’elettronica di Aphex Twin con movimenti isterici e violenti, contrapposti alla completa immobilità tra un pezzo e l’altro. Nessun interludio, nessuna parola, nessun movimento muscolare, come un insetto che aspetta il suo pasto con istinto predatorio. Spicca per la tecnica sovrumana il batterista, costretto a strapparsi dal torace un costume davvero troppo caldo, per poi ricominciare a proporre tempi inauditi: peccato che per assaporare lo spettacolo bisogna restare nelle prime file, perchè il suono flebile delle chitarre viene inghiottito in pochi metri. I presenti, in ogni caso, per lo più estranei alle sonorità, si ricorderanno questo concerto per molto tempo.

TURBONEGRO

Considerati i fan presenti, i Turbonegro hanno strappato il titolo di veri e propri co-headliner della manifestazione. La formazione inizia un po’ in sordina, leggermente statica e più fredda del solito. Ci pensa un Hank Von Helvete sempre più schifosamente grasso e sudato a far esplodere la folla: un paio di siparietti su Berlusconi, i mammoni e la pasta al dente e il pubblico è ai suoi piedi, e in tutta risposta il gruppo di debosciati si prende tutte le confidenze. Anche se oggettivamente lontani dagli eccessi degli esordi, i Turbonegro sono campioni di humor malsano e cattivo gusto e riescono in ogni caso a offrire una performance più che buona, snocciolando tutti gli anthem del post reunion, da “Do You Dig Destruction” a “City Of Satan”, passando per “Wasted Again”, “No, I’m Alpha Male”, “All My Friends Are Dead”, “Blow Me (Like The Wind)”, “Everybody Loves A Chubby Dude”. Non mancano le dediche al bassista e al chitarrista (“The Sailorman” e “The Age Of Pamparius”), mentre “Turbonegro Must Be Destroyed” è introdotta da una storiella da riportare: <>. E’ questo misto di ilarità canzonatoria e immaginario omosessuale che li rende irresistibili e vincenti, domatori dell’intera audience, anche di quella che all’inizio era distratta o disinteressata. A quando uno show in un club?

NOFX

Se questo è punk, il punk è morto. Oppure no? L’unica cosa certa è che per assistere a un live dei NOFX si deve accettare e saper apprezzare un umorismo basso, basilare, primitivo, demente più che demenziale. Ma questo è quello che vogliono tutti i presenti: molti turbojugend infatti hanno già lasciato l’arena in maniera pacifica, lasciando che tutti si raggruppassero dinanzi al grande mixer. Sul megatendone nero campeggia un cartellone piccolissimo con le quattro lettere, si inizia subito sorridendo. Non si può parare di sorprese ovviamente, ad eccezione di un Fat Mike leggermente dimagrito e di una formazione più sobria e meno svogliata di un paio di anni orsono. Certo, ogni canzone è separata dalle solite dichiarazioni dei musicisti, che scherzano sui Turbonegro, prendono in giro un rasta con la schiena pelosa, se la prendono con il Vaticano e vogliono l’erba che fumano i ragazzi delle prime file, ma stavolta l’umore è adatto, e non tralasciando tutti i classici del repertorio vengono eseguite molte canzoni reggae (tra le quali la cover dei Rancid “Radio”), vuoi per il mood della serata, vuoi perchè anche i californiani stanno cominciando ad invecchiare… almeno stavolta sono abbastanza lucidi da suonare in maniera decente. Un’ora e mezza poco concentrata, ma che accontenta tutti i superstiti, ancora una volta.

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