27/07/2012 - IGGY & THE STOOGES @ Castello Scaligero - Villafranca Di Verona (VR)

Pubblicato il 02/08/2012 da

Introduzione e report a cura di Andrea Raffaldini e Daniela Pase
Foto di Giuseppe Craca

Ultimo venerdì di luglio, il caldo torrido che ci si aspetta, un castello, quello Scaligero di Villafranca, che offre un’insperata, salvifica alternativa a chi della cerimonia inaugurale olimpica se ne frega. Ma, attenzione, non è tanto il setting che importa, quanto la la sostanza: qui si parla la lingua madre rock e non una a caso, ma addirittura quella proto-punk, dalla diretta voce di una vera leggenda, il primo e ormai uno degli ultimi grandi veri stravissuti, tra i Maledetti della musica del secolo scorso: Iggy Pop insieme ai suoi The Stooges, in singola data, su tutta Italia!

 

Con una mezz’ora di ritardo rispetto all’orario indicato, sono infatti da poco passate le dieci di sera, gli Stooges salgono sul palco in modo quasi anonimo. Tranne lui, l’Iguana: torso nudo e pantaloni attillatissimi, irrompe senza complimenti, come se non avesse nemmeno iniziato a cantare ma già lo stesse facendo da sempre, nonostante noi e la nostra attesa. E passa subito all’attacco, incitando al contatto con tutto il pubblico, composto sottopalco sicuramente da under 25, vista la spinta energetica in risposta immediata al frontman, ma addensato, anche se non troppo (si calcolava tra amici circa duemila persone, a occhio), nelle file più indietro, anche di fan più stagionati, forse proprio quelli che ascoltavano gli Stooges già ai loro albori.  Saluta a gesti delicati, di contro ai riff crudi e tecnici dell’ingegnere-chitarrista, in “Search And Destroy” e si creano le prime fusioni vocali, iniziate dal frontman e raggiunte all’unisono con ritmici ‘hey’. “Gimme Danger” a seguire dimostra il seguito del pubblico che la urla a ritorno e la celebra con allegre e violente pogature, a casaccio e con maldestra leggerezza. L’Iguana esprime ancora più esplicitamente ciò che vuole da tutti: ‘I need you’, urlato più volte, riecheggia come la voglia di scambiarsi l’anima, o forse come un umano e reale bisogno di incontrare veramente la gente che dice di amarlo. Di lì a poco, infatti, l’invito a salire sul palco – ‘Come on, fuckin’ people…’ – fa rimanere di sasso molti fan, ma altri non si fanno certo pregare due volte per raggiungere il loro idolo on stage. Nonostante gli improbabili tentativi dell’anziano roadie di tenere i giovani sotto controllo, in pochi secondi Iggy si ritrova avvinghiato, abbracciato e addirittura limonato da un ragazzo in estasi. Scoppia il delirio del rock a struttura grezza di “Shake Appeal”, con impassibili, ma precisissimi nella forza incendiaria degli strumenti, Stooges a sfondo, formati dal sessionman Toby Dammit alla batteria, Steve McKay al sassofono, James Williamson sempre alla chitarra e Mike Watt al basso. La band è compatta ed ispirata, non si tratta di meri gregari che eseguono il compitino, ma di vecchi leoni ancora perfettamente in grado di far ruggire i loro strumenti. La Gibson Les Paul di Williamson stride negli assoli semplici ma emozionanti, scanditi e diretti dalle potenti martellate di Dammit. Dal vivo il brano è violenza pura, tra pogo e lanci di acqua o di altro liquido non ben identificato, reso fontana a ristoro del caldo soffocante sottopalco. Iggy porta tutti a calmarci all’istante con il cambio album di “I Got Nothing”, da “Kill City” del ’77, urlacchiato a sprezzanti ‘I got nothing to say’, a tratti affogato in annoiate atmosfere bowiane, seguito a ruota dai picchi altezzosi di “I Feel All Right” di “1970”. La febbre si riacuisce con i riff minimali e ruvidi di “I Wanna Be Your Dog” e, proprio come un mastino inferocito, Iggy balza, incontenibile, da una parte all’altra del palco con il pubblico che finisce per guaire. La fatica inizia a farsi sentire, i movimenti si risparmiano con l’astuzia di chi ha quarant’anni di mestiere alle spalle, mentre partono le note di “Kill City”, al termine della quale l’Iguana prende tempo per parlare di quanto fosse bello da giovane e quanto odiasse già tutti. Finale col botto per il degrado underground di “Open Up And Bleed”. Pur in apparenza stanchi e variegatamente claudicanti, gli Stooges hanno ancora energia per lo sprint finale. L’encore arriva con la trasgressiva “Penetration” e la chicca “No Fun”, seguite dalla solita versione zozza di “Cock In My Pocket”, conclusa in abbandono progressivo del palco e degli strumenti in modalità sfacciata e dissacrante. Iggy, uscito addirittura prima della conclusione stessa, rientra per sbottonarsi i pantaloni, fare scena e introdurre, con oscenità e auguri di vario e volgare stampo, il vero finale, “Your Pretty Face Is Going To Hell”, a cintura roteante. Un’ora e mezza di adrenalina allo stato puro, gli Stooges hanno saputo entrare nel cuore dei numerosi presenti, dar loro la carica ed allo stesso tempo cibarsi delle energie del loro ancora amatissimo pubblico. Il tempo dei genitali in bella vista e del corpo martoriato dalle lamette è ormai lontano, ma Iggy Pop ancora oggi possiede tutto il carisma e la grinta di un’icona trasgressiva e ribelle: uno dei pochi personaggi che ha incarnato e suonato il primo e vero rock’n’roll, non per soldi (almeno non principalmente) ma per spingersi oltre la normalità per amore di un altro stile di vita, fatto di eccessi espressi anche con la sua musica. Non sappiamo per quanto tempo gli Stooges continueranno le loro scorribande e ne rimarranno graziati e francamente ora, ad eredità ricevuta, nemmeno ce ne frega. A concerto terminato le uniche parole che balenavano nella nostra testa erano: “Io c’ero!”.

 

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