MELLOWTOY
Sono gli italianissimi Mellowtoy i prescelti per aprire le date italiche degli Ill Nino. Alla ribalta delle cronache (più che altro di qualche canale musicale) per la cover di “Save a prayer” il gruppo si è visto spesso a supporto di nomi grossi del panorama internazionale, grazie soprattutto al supporto della major per la quale il gruppo incide. Crossover rock hip hop molto morbido e smussato, con diverse parti funky e uno scratch ben inserito, due cantanti sul palco e un mood molto funny e ridanciano: questo è cio che i Mellowtoy sanno offrire, a dire il vero con un pesante gusto di già sentito, vista la proposta assolutamente lontana dall’essere innovativa o originale. Qualche ragazzo mostra di apprezzare i pezzi e si innesca anche qualche inizio di pogo, sufficiente a far sorridere la band sul palco, che svolge il suo dovere di opener alla perfezione.
ILL NINO
Cristian Machado è imponente quando sale sul palco in tutta la sua statura e con un giubbotto antiproiettile (finto?) a coprire il fisico palestrato. Il supporto del pubblico non gli manca di certo, visto che molti degli oramai estinti (o perlopiù convertiti) nu metaller con felpa dell’Adidas e pantalone a cavallo basso sono giunti a riempire un Rainbow sempre più ricco di concerti interessanti. Il gruppo, identico a sè stesso nella sua proposta oramai da diversi anni, è indubbiamente abile nel riproporre i brani che li hanno resi famosi dal debutto “Revolution Revoluciòn” all’ultimo “One Nation Underground”: un immobilismo che nuoce e non poco quando li si rivede per la terza volta come chi scrive, che a parte il piacere di risentire delle canzoni e delle sonorità parecchio apprezzate in passato non può fare a meno di annoiarsi un pochettino dopo i primi slanci nostalgici (sempre che sia lecito parlare di nostalgia per una band al terzo album!). Oggettivamente non si può dire che la band non sia in forma: con uno spettacolo oramai rodatissimo e un Ahrue Luster più che integrato nella formazione (anche se visibilmente ingrassato) i nostri si esibiscono in uno show dosato ed equilibrato tra momenti di impatto come “God Save Us” e la conclusiva “Liar” o le parti più melodiche come “Unreal” o “How Can I Live”. Machado, anche se fa uso di parecchi effetti come echi e delay, è un cantante capace sia tecnicamente (chi ha sentito il soundcheck confermerà) che a livello di abilità da frontman: il pubblico lo segue dall’inizio alla fine cantando e ripondendo ad ogni sua richiesta. Il latin – metal che ci propone la band assume una dimensione migliore in sede live grazie alle percussioni che impattano in maniera decisamente accattivante sul sound groovy ma un pò troppo leccato dei sei. Notevole la prova del drummer veterano Dave Chavarri, una sicurezza per potenza e tecnica. Per chi ha da sempre il tarlo nelle orecchie, soprattutto dopo le dichiarazioni dell’ex chitarrista Marc Rizzo: le basi pre-registrate esistono realmente, ma sono di sicuro limitate ai campionamenti presenti qua e là per il disco; difficile però sentire un errore nell’esecuzione dei brani, quasi esageratamente puliti nella esecuzione, tanto da dare corda ai malpensanti. Un’ora piacevole ma con davvero nulla che rimarrà nella mente degli spettatori, il gruppo farà bene a inventarsi qualcosa per il prossimo album o anche i fan più fedeli potrebbero fare a meno di loro.