Si conclude al Cycle Club di Calenzano (FI) il trittico di date italiche di due tra i più significativi gruppi del genere death metal: Immolation e Broken Hope! “Annunciate” da Eufobia e Sweetest Devilry, due giovani band dell’area estrema europea alla cui esibizione non siamo riusciti ad assistere, si confermano due band ancora capaci di guidare la scena grazie alle loro prestazioni, di alto livello sia in studio che live: il coinvolgimento con cui il pubblico ha risposto alle canzoni – talvolta intonandole – vale più di una conferma. Entrambi i gruppi hanno proposto delle scalette che definiremmo “di sintesi”: se da un lato si è dato il giusto risalto agli album da promuovere, dall’altro si è cercato di tenere a mente la tradizione, estraendo – quando più, quando meno – pezzi da ogni album del passato, col risultato di una serata di grande interesse per ogni fedelissimo del metallo estremo.
BROKEN HOPE
Partono subito sparati, i Broken Hope, con una tripletta da urlo: se “Womb Of Horrors” incenerisce tutti all’istante e “Dilation And Extraction” persevera col suo insistente riff portante, forte d’un certo sapore thrash, è con “The Docking Dead” che la band inizia a mostrare come l’esperienza, maturata in due decenni di musica estrema, li aiuti a scrivere nuovo materiale capace di confrontarsi alla pari con le “hit” storiche. Con queste premesse non c’è voluto poi molto a scaldare gli astanti, la cui adorazione incipiente viene suggellata per mezzo di una seconda tripletta, stavolta di soli classici: “He Was Raped”, carica di break nervosi interpretati con grande intensità, “Swamped In Gore”, che rinnova la brutalità dei propri criteri fondanti, e una versione “ignorantissima” di “The Dead Half”. A questo punto siamo nel pieno del concerto, divenuto lo scenario putrido in cui i Broken Hope si divertono a inscenare una orgia sonica sanguinosa e maleodorante, assecondando le inclinazioni di una “Rendered Into Lard”, forte di riff e ritmiche devastanti, e della distruttiva “Gorehog”, che pare far rivivere gli anni 90; vedendoli dal vivo, possiamo affermare – fugando ogni ragionevole dubbio legato alla lunga assenza dalle scene – che questo è uno dei gruppi leader per quanto riguarda le espressioni più estreme e controverse del genere death metal e, non a caso, riesce sempre ad imprimere il giusto groove laddove alcuni altri della stessa schiatta risulterebbero semplicemente quadrati e/o pachidermici: gli stop perfetti di “Awakened By Stench” ne siano la prova. La temperatura al Cycle Club, intanto, sale ulteriormente per via dei colpi inferti da una formazione che, pur concependo generalmente pezzi di due soli tipi di struttura (lungo o corto, con buona approssimazione), riesce ad essere impeccabile sia sulle parti spinte che su quelle più rocciose, come esemplificato da “Give Me The Bottom Half” e la morbosissima “Into The Necrosphere”. L’atto finale del concerto viene affidato a “The Flesh Mechanic” e la storica “Incinerated”, tratte dagli album più rappresentati in scaletta, “Omen Of Disease” e “Swamped In Gore”, che da soli offrono il doppio dei pezzi selezionati dai rimanenti lavori (escluso il pessimo “Grotesque Blessings”); la sensazione lasciataci dal calo del sipario è quella di aver assistito all’ottimo spettacolo di una band dalla grande fisicità, i cui nuovi membri sono apparsi decisamente a proprio agio anche sui brani del passato. (NB: la scaletta completa ed ordinata del concerto può essere dedotta dalla sequenza di canzoni citate nel testo).
IMMOLATION
Non si fanno aspettare molto gli Immolation, celebratori d’ogni blasfemia: la loro prestazione può essere sinteticamente rappresentata come la corsa folle e travolgente d’un carrarmato dotato delle fauci d’un lupo, tanto per citare un curioso particolare dell’artwork di “Harnessing Ruin”. Inizialmente il concerto prende la forma d’una funzione altamente celebrativa, tant’è vero che sulle note dei pezzi iniziali (“Kingdom Of Conspiracy”, dall’ultimo LP, e “Majesty And Decay”, dal precedente) il pubblico doppia i riff portanti con un coro dal carattere vagamente salmodiato, per poi lasciarsi vorticare nella turbinosa desolazione che anima “What They Bring”. Non sono passati nemmeno venti minuti e pare già che debba venir giù il mondo sotto i presagi di sciagura narrati dai neri cantori di Yonkers (NY): spetta a “Lost Passion”, dal capolavoro “Close To A World Below”, ricoprire il ruolo del primo classico in scaletta, mostrando – col suo riffone rimbalzante – il tratto mediano dell’evoluzione di un’estetica cresciuta col tempo e l’esperienza, di pari passo con la personalità. Congiuntamente allo scorrere dei pezzi in scaletta il concerto comincia ad assumere una dimensione più fisica, probabilmente anche per via del tipo di serata (decisamente tirata): è palese come gli Immolation tengano ad essere aggressivi e, così, vessano le carni dei presenti con secche ritmiche marziali e i loro caratteristici riff lacerati da dissonanze disturbanti e affilate, madri di tetrissime nenie funebri, tant’è che canzoni come “God Complex”, “Bound To Order” e “Hate’s Plague” rifulgono d’accelerazioni trancianti, mentre “Providence” – prima canzone prevalentemente “lenta” della serata – esprime un malcelato disgusto per il genere umano (e chi, sennò?) attraverso riff rocciosi venati d’ansie ad alta frequenza, accompagnata da quel capolavoro d’orrore rituale che è “Of Martyrs And Men”. A questo punto del concerto Bob Vigna è completamente posseduto dai suoi spasmi da automa indemoniato, ma è Ross Dolan a dominare la scena, ergendosi come un colosso: considerando la sua stazza non certo ragguardevole, è ben comprensibile la dimensione del suo carisma, che metterebbe in soggezione pure un incursore del battaglione di san Marco; il resto della band tiene botta e procede in maniera coordinata, in particolare Steve Shalaty, precisissimo. C’è tempo anche per qualche brano dai primissimi album: se “Despondent Soul” spiega a tutti cosa possa significare aver partecipato all’evo aureo del death metal, “Nailed To Gold” – venendo da “Here In After” – si permette di dare una gradevole impennata al tasso di complessità (sia tecnica che compositiva), lasciando poi il campo a “Challenge The Storm”, vero e proprio inno di guerra, e la nuova “All That Awaits Us”, in bilico perenne tra furia e riflessione. La serata viene conclusa definitivamente con la gentile concessione di un altro classicissimo come “Those Left Behind”, doveroso e contemporaneo tributo a pubblico e storia.
Setlist:
Kingdom Of Conspiracy
Majesty And Decay
What They Bring
Spectacle Of Lies
Lost Passion
God Complex
Providence
Of Martyrs And Men
Bound To Other
A Glorious Epoch
Hate’s Plague
Despondent Soul
Indoctrinate
Nailed To Gold
Challenge The Storm
All That Awaits Us
Encore:
Those Left Behind
PS: come al solito, gli Immolation si dimostrano una band assai professionale (oltre che decisamente amichevole col pubblico), per cui abbiamo ritenuto superfluo insistere troppo su un’esecuzione al limite della perfezione.