22/11/2019 - IMPERICON NEVER SAY DIE 2019 @ Legend Club - Milano

Pubblicato il 03/12/2019 da

A cura di Maurizio “morrizz” Borghi

Impericon Never Say Die è un tour diventato ormai una garanzia per il mondo metalcore, un pacchetto che dal 2008 ha fatto crescere gruppi come Parkway Drive, As I Lay Dying, The Ghost Inside, Emmure e Comeback Kid, con costante scouting verso le nuove leve, promosso dal sodalizio tra il gigante del merchandising Impericon e Avocado Booking. L’edizione 2019 torna a far tappa a Milano, con un cartellone decisamente internazionale, che vede per la prima volta in assoluto un headliner asiatico e che riporta per la seconda volta in Italia gli attesissimi King 810!

 


GREAT AMERICAN GHOST

La band di Boston era il motivo per cui chi scrive voleva essere assolutamente presente fin dall’inizio: il loro hardcore crudo, aspro e senza concessioni alla melodia fa dei Great American Ghost uno dei nomi più interessanti nel cartellone, tanto da non meritarsi il ruolo di opener assoluti. La fiducia, per tutti i presenti, è stata ripagata da una performance granitica, che assicura e amplifica la resa di manate in faccia come “Altar Of Snakes”, “Prison of Hate”, “Destroyer” e “Ann Arbor” con suoni efficaci e l’assoluta capacità di replicare il disperato assalto sonoro assaporato su disco. Un nome caldissimo da osservare attentamente.

ALPHA WOLF
Gli Alpha Wolf arrivano dalla Tasmania e hanno fatto davvero bene col loro debutto, “Mono” del 2017, tanto da arrivare in alto nelle classifiche nazionali e farsi notare a livello internazionale. Il loro hardcore è di quelli moderni e influenzati da deathcore e nu metal – dalle parti di Attila ed Emmure, per intenderci – con tanta rumoristica assortita e un’estetica decisamente cafona: Sabian Lynch, sul palco con una mascherina antismog nera, sembra uno Wes Borland fissato con lo streetwear, affiancato da un Lochie Keogh che con quel bucket hat non può che ricordare il frontman dal cappellino rosso. La loro presenza scenica sdrammatizza dunque il contenuto iperviolento, ma dobbiamo dire che “Sub-Zero”, “Black Mamba” e le altre sono state piuttosto divertenti.

POLAR
Tocca ai Polar dal Regno Unito salire sul palco, e da subito notiamo il punto di forza del quintetto, rappresentato dal tormentato frontman Adam Woodford, che si presenta a muso durissimo chiamando all’appello tutti i presenti: è sicuramente sua grandissima parte della rabbia che scaturisce dall’hardcore/metalcore teso e disperato della formazione. Gli astanti sono quasi intimiditi dal modo di porsi del frontman, che sembra proprio non avere abbastanza tempo a disposizione per sfogarsi a dovere. I grandi e disperati ritornelli melodici degli estratti di “Nova”, uscito quest’anno su Arising Empire, riescono comunque a conquistare l’audience per tutta la durata del set. Da rivedere senza alcun dubbio.

OUR HOLLOW OUR HOME
Sempre dal Regno Unito (Southampton) arrivano gli Our Hollow Our Home. Il loro metalcore melodico è stato applaudito in più occasioni dalla stampa inglese ma, arrivati alla prova del palco, a nostro parere i cinque non riescono assolutamente a replicare quanto proposto su disco: il gruppo cade male soprattutto sui frequenti interventi melodici, dove il chitarrista ritmico Tobias Young dovrebbe prendersi i riflettori e far esplodere i brani. In questi termini anche i pezzi più intriganti si sgretolano, andando a disservire l’intero show e lasciandoci un brutto ricordo.

KING 810
Direttamente da Flint, Stati Uniti, i King 810 sono sicuramente gli outsider nel bill, unica formazione senza etichetta alle spalle e senza alcun legame con la scena metalcore che unisce gli artisti del tour. Tra capi indossati e inchiostro sul corpo, è evidente come molti presenti siano venuti apposta per David Gunn e Eugene Aaron, attesi dalle nostre parti dalla data con gli Slipknot del 2015. La stage persona di Gunn si è evoluta pesantemente nel frattempo, posseduta dall’alter ego hip hop Yavid, con lenti nere, treccine e una vistosa collana tempestata di diamanti. Il concerto comincia sulle note di “Heartbeat” e il ‘diavolo dai denti neri’ prende subito i riflettori su di sé, completamente in trance, camminando avanti e indietro del tutto posseduto dal suo demone musicale. “Alpha & Omega” e “Vendettas” danno ampia possibilità al pubblico di sfogarsi, fino a sgolarsi con “Fat Around The Heart”. Obiettivamente ci sono grossi problemi nel mix, per cui è necessario che il gruppo si inventi qualcosa: dalle prime file la voce, mai particolarmente potente, del frontman è quasi inintelligibile, così come le chitarre; tutto è sovrastato dalla batteria, alla quale fortunatamente siede un anonimo mascherato letteralmente fenomenale, precisissimo, potentissimo e superspettacolare nel far danzare le bacchette. Il parterre segue comunque infoiato, soprattutto quando il frontman si leva la maglietta per “War Outside” e “Killem All”. C’è ancora fame di King da queste parti, speriamo il gruppo si decida a fare tour più frequenti nel Vecchio Continente.

IN HEARTS WAKE
L’altra band australiana in cartellone è un nome ormai affermato nel metalcore melodico e un frequentatore abituale delle ARIA Charts, contraddistinta da un fortissimo impegno verso l’ambiente. Per una band che in patria sta seguendo le orme dei Parkway Drive, capace di fare da headliner in tour importanti con tanto di stageshow imponenti, questo Never Say Die è un po’ un ritorno alle origini, in quei piccoli club che hanno costruito le basi della loro carriera. Dalle nostre parti non sono nemmeno remotamente così famosi, ma si percepisce quanto il loro liveset sia rodato e quanti chilometri gli In Hearts Wake abbiano percorso: affiatati e confidenti, i ragazzi di Byron Bay sanno mettere in piedi uno spettacolo di tutto rispetto, con Kyle Erich che tiene bene dal punto di vista delle parti melodiche. Tra breakdown, cori e grandi singalong, il loro spettacolo fila decisamente liscio anche per i presenti che non sono tanto avvezzi a queste sonorità, che in questa occasione si trovano in netta minoranza.

CRYSTAL LAKE
Quando abbiamo visto i Crystal Lake come headliner del Never Say Die Tour siamo rimasti immediatamente incuriositi, soprattutto perché, colpevolmente, per qualche motivo abbiamo sempre ignorato la formazione giapponese arrivata recentemente al contratto con la sussidiaria Nuclear Blast SharpTone Records, per il quinto album in studio “Helix”. In attività dal 2006, la band ha subito diversi cambi di formazione, tra i quali quello di frontman nel 2012, con la coppia di asce Yudai Miyamoto/Shinya Hori a guidare da sempre. Un sound alieno e violentissimo, segnato da vocals super-aggressive, inserti elettronici robotici e un gusto del tutto particolare per le peculiari melodie chitarristiche sono i punti di forza degli ottimi lavori “True North” ed “Helix”. Quanto però riescono a realizzare sul palco, i giapponesi, è assolutamente enorme e merita non solo il posto di headliner della serata, ma anche l’assoluta riconsiderazione della dimensione della band nella scena europea ed internazionale. Stiamo parlando di un gruppo realmente impressionante dal vivo, che non solo riesce a riproporre perfettamente e migliorare la prova in studio lasciando letteralmente a bocca aperta, bensì contemporaneamente libera un’energia e si spende in una performance talmente sopra le righe da annientare tutti coloro che si sono esibiti precedentemente. Il mondo hardcore vede raramente performance del genere, figuriamoci quello metalcore: Ryo è un frontman che riesce ad essere carismatico e di basso profilo, con una voce indistruttibile e la fisicità di un cantante hardcore; Yudai, in questa occasione con una maglia dei King 810, è perfetto e invasato, trasuda emozione e osservarlo è un vero e proprio piacere; è palese come stia vivendo il sogno della sua vita. Da ogni angolazione siamo davanti a un set assolutamente esaltante, dove “Aeon”, “Agony”, “Apollo”, “Hail to the Fire” e “Lost in Forever” emergono come un magnifico segreto nascosto in Oriente. C’è spazio anche per “SIX FEET UNDER”, “ALPHA” e “OMEGA” a rendere giustizia a “True North”, mentre è “Prometheus” a chiudere il set, non prima che Ryo si sia gustato a più riprese un bagno di folla. Anche i musicisti delle altre band assistono allo show a bocca aperta, chiedendosi probabilmente, come ha fatto chi scrive, come sia possibile che nell’era dell’internet i Crystal Lake siano arrivati solo ora a tali livelli. Incredibili.

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