07/04/2006 - In Flames + Sepultura + Dagoba @ Rolling Stone - Milano

Pubblicato il 10/04/2006 da
A cura di Marco Gallarati
Foto di Barbara Francone

No, stavolta qualcosina non ha funzionato proprio alla perfezione: i concerti – di questa portata, poi! – tenuti al sabato sono sempre una mezza incognita, soprattutto per l’orario di inizio e quello di termine, visto che lo storico Rolling Stone di Milano è a tutti gli effetti una discoteca rock che, il sabato sera, raggiunge il picco di affluenza. Due considerazioni assolutamente non polemiche, ma che hanno un po’ infastidito: 1) il locale traboccava di gente; 2) l’aver fatto iniziare l’opening act praticamente in concomitanza con l’apertura delle porte. Per quanto riguarda il primo punto, forse in troppi si ricordavano della precedente (buona ma non esaltante) calata italica degli svedesi In Flames, all’Alcatraz in compagnia di Devildriver e Caliban: sono passati due anni, la popolarità del combo scandinavo è in crescita vertiginosa e, in più, questa volta, a fare da sparring-partner, c’erano certi Sepultura, una band che, pur non riuscendo ad onorare il suo glorioso passato, ha ancora un fortissimo ascendente su molti fan; da queste considerazioni, si deduce come forse era meglio scegliere una venue più capiente. Platea gremita, gradoni brulicanti di gente, aperta anche la saletta superiore: di certo, le condizioni climatiche e di spazio vitale non sono state a favore dell’audience. Passando rapidamente al secondo punto, un minimo di buon senso bastava a far sì che i francesi Dagoba, una delle rivelazioni di questo inizio 2006, iniziassero un pelino più tardi, soprattutto visto che l’orario di inizio era previsto per le 20 e non per le 19.10; oppure, ma forse si chiede troppo all’umana arguzia, si potrebbero aprire le porte magari non facendo coincidere questo momento con l’inizio dello spettacolo…

DAGOBA

…ed infatti, siamo costretti a dover praticamente saltare a piè pari il commento sul combo marsigliese, essendo sopraggiunti all’interno del locale alla fine della performance di Shawter e compagni. Giusto il tempo di constatare la sufficiente potenza dei suoni, un buon equilibrio, nonostante la batteria di Franky fosse posta ai piedi di quella monumentale a disposizione di Sepultura ed In Flames, un’ottima partecipazione del pubblico, già abbastanza coinvolto in un discreto pogo, ed una buona presenza scenica dei quattro. Davvero un peccato non aver assistito all’intero live-set, così come c’è stato rammarico nel sentire più di una voce chiedere, poco prima dell’entrata in scena dei Sepultura, “ma i Dagoba hanno già suonato?”… Speriamo vivamente di vederli presto di nuovo, perché i cuginetti d’Oltralpe meritano davvero!

SEPULTURA

Dei Sepultura senza Max Cavalera si è già detto praticamente tutto. Dei Sepultura senza entrambi i fratelli Cavalera ci apprestiamo a redarre le prime impressioni. Eh già, perché anche Igor, dopo suo fratello Max, è stato costretto ad abbandonare (momentaneamente) la formazione da loro creata. Fortunatamente, si tratta di ragioni allegre (il batterista è da poco diventato papà), però è davvero strano osservare il combo carioca senza nessun Cavalera sul palco. E quindi, ecco salire on stage gli storici Andreas Kisser e Paulo Junior, il bisonte nero Derrick Green e il session di lusso – fra l’altro, ex Soulfly ed ex Crisis – Roy Mayorga: il quartetto rimane di tutto rispetto e, nonostante Green non convinca al 100 % neanche dal vivo, si prodiga in uno show volitivo ed intenso, perfettamente bilanciato tra brani nuovi e vecchi classici. La performance, supportata da suoni secchi, decisi e limpidi, scorre via agile e fluida, davvero ben al di sopra delle aspettative. E, non crediamo di spararla troppo grossa nell’affermarlo, si può ben dire che l’intensità live dei Seps abbia superato quella prodotta dai Soulfly neanche un mese fa. Come ci si poteva aspettare, i brani tratti dai dischi targati Green hanno provocato un entusiasmo infinitamente minore rispetto ai veri e propri Classici dell’Heavy Metal proposti dai quattro: “Arise”, “Dead Embryonic Cells”, “Slave New World”, “Refuse/Resist”, “Troops Of Doom” e l’anthemica “Roots Bloody Roots” hanno scatenato il finimondo, mentre, al contrario, le varie “Apes Of God”, “Buried Words”, “Choke” e “Come Back Alive”, pur mostrando un Derrick Green decisamente più a suo agio, hanno suscitato tiepide accoglienze. Come già detto, l’impressione positiva che hanno mostrato i Sepultura ci consola in parte della loro pochezza odierna in studio, mettendo almeno in chiaro che la band è viva, vegeta e con un’anima ancora ben fulgida. Poi che Paulo Junior mostri i primi capelli brizzolati sulle tempie oppure che Roy Mayorga abbia dato un apporto realmente maiuscolo alla causa, magari sono solo dettagli da riportare per curiosità. Ottimo concerto!
 
 
 
 

IN FLAMES

E veniamo dunque agli In Flames, Signori incontrastati del melo-death applicato alle nuove sonorità americane: ragazzi, un’accoglienza così entusiasmante raramente si è vista in Italia, almeno restando in ambito concerto singolo e considerando che gli svedesi rimangono sempre una band estrema (be’, insomma…ormai i dubbi stan superando le certezze)!! Bandiere della Svezia, striscioni inneggianti al combo, cori da stadio, audience saltellante all’unisono, movimenti ondulatori anche a pochi passi dal mixer…un successo fenomenale, insomma! Il grande spiegamento di luci ed effetti luminosi, fin dall’intro (la parte iniziale di “Your Bedtime Story Is Scaring Everyone”), ha fatto presagire uno spettacolo decisamente made in USA…e così è stato: la freddezza tipica dei cinque scandinavi – mai completamente coinvolti e partecipi – ha fatto un po’ a cazzotti con il clima bollente del locale, escludendo però l’atteggiamento di un Anders Fridèn abbastanza attivo e divertente, forse anche per un appena accennato stato di ebbrezza che, se da una parte non gli ha permesso troppo di farsi capire a dovere, dall’altra gli ha dato modo di interagire maggiormente con il pubblico. Jesper, Bjorn e Peter si sono mossi a singhiozzo, spesso scambiandosi i posti – un po’ à la Iron Maiden – ma sempre troppo statici sui loro strumenti; Daniel Svensson è stato il metronomo di sempre ai tamburi e con due colpi di piatti ha dato il la al resto della band, impegnata ad aprire le ostilità, un po’ a sorpresa, con “Pinball Map”. Lo spettacolare ritornello della song ha subito scaldato le gole degli astanti, inaugurando una setlist abbastanza convincente, ma, come sempre, un po’ troppo carente di pezzi datati: da “The Jester Race” è stata eseguita la solita “Moonshield”, da “Whoracle” la solita “Episode 666”, da “Colony” le solite “Colony” e “Behind Space” (è vero che il pezzo risale al primo album del gruppo, ma prima di dire che “noi non ci scordiamo del nostro passato”, Fridèn & Co. sarebbe meglio che proponessero qualche variante reale alle solite due-tre riproposizioni già sentite più volte!)…insomma, quasi un dejà-vu di concerti passati! Soltanto “Insipid 2000” è stata una vera novità, ma peccato tale song non rientri certo fra le composizioni più esaltanti degli In Flames. Ben più interessanti e piacevoli sono risultate le esecuzioni dei brani nuovi, fra i quali hanno spiccato “Come Clarity”, cantata a squarciagola da tutti i presenti, “Take This Life”, “Vacuum” e “Crawl Through Knives”. Ottimo gradimento anche per “System”, la grandiosa “Trigger”, l’inno “Only For The Weak”, “The Quiet Place” e la chiusura di “My Sweet Shadow”. Una prestazione tutto sommato soddisfacente, condita dai grezzi assoli di Gelotte e dai molteplici effetti vocali di Anders, particolare tecnico che condiziona non poco il giudizio effettivo sulla bontà vocale del singer. Ciò che più ha stupito, comunque, è stato il vedere la totalità dei presenti osannare a più riprese i ragazzi di Goteborg, ormai giunti a livelli di popolarità altissimi! Una band che, al contrario dei Sepultura, non vive di rendita, ma pone le basi del suo futuro sull’enorme successo del presente. Punto fermissimo del metal-biz mondiale.
 
 
  
 
 

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