Introduzione a cura di Marco Gallarati
Report a cura di Maurizio “Morrizz” Borghi e Riccardo Plata
Foto di Francesco Castaldo
“Siren Charms”, l’ultima fatica targata In Flames, è nei negozi da circa un mese: già in precedenza ed oggigiorno ancor di più, questo nuovo ‘disco dell’ennesima svolta’ ha generato, sta generando e genererà un vespaio di commenti su com’è, come dovrebbe suonare e soprattutto sullo stato di salute della compagine svedese, ormai in grado di dividere abbondantemente i fan ad ogni pubblicazione. Il tour europeo, partito da Cracovia, in Polonia, solo qualche giorno prima, transita in Italia, al Live Music Club di Trezzo, in un giovedì ottobrino tiepido e gradevole, colpo di coda di un’estate-fantasma che forse si intravede solo adesso. Ad attendere la corazzata di Goteborg un ben nutrito plotone di fan: molti nuovi o acquisiti da due-tre dischi a questa parte; un buon numero reduce dai piaceri dell’antica svolta targata “Reroute To Remain”/”Soundtrack To Your Escape”; un sufficiente reparto di supporter della prima/primissima ora, ancora vogliosi di gustarsi i propri eroi nonostante la notevole lontananza in termini di…come dire…approccio al metallo estremo. La serata viene aperta da Wovenwar, la nuova incarnazione degli As I Lay Dying senza l’acefalico Tim Lambesis, e While She Sleeps, costretti ad esibirsi in emergenza causa infortunio. Si prospetta una manciata di ore all’insegna del metallo moderno del nuovo millennio, dunque: entriamo nel locale e vediamo un po’ cosa succede!
WHILE SHE SLEEPS
I While She Sleeps hanno il compito di rompere il ghiaccio: l’hardcore ensemble di Sheffield è presenza fissa sulla stampa inglese, che l’ha pompato come grande live band tanto da affiancarlo agli ‘UK finest’ Architects e Gallows. Le aspettative sono alte, quindi, e nel computo della mezz’ora a disposizione dei WSS, coi soliti limiti tecnici delle opening band (leggasi: suoni non certo ottimali), dobbiamo dire che sono state rispettate. Loz è un frontman trascinante con un’estetica più vicina ad una metalband che all’HC vero e proprio, mentre la formazione imbastisce uno spettacolo ad alto tasso energetico, che in pochi minuti fa partire i primi mosh e circle-pit fra il pubblico nell’avanguardia. Il quintetto è letteralmente stravolto a causa di un infortunio al batterista Adam Savage, che saluterà il pubblico birra in mano da lato-palco, e si esibisce grazie ad un interscambio interno di ruoli da Guinness dei Primati. Viene resa giustizia al fortunato “This Is The Six”, l’album che domina la scaletta e che li ha lanciati tra i nomi che contano, per il quale ci aspettiamo un successore a breve. La risposta del pubblico alle varie “Death Toll”, “Dead Behind the Eyes” e “This Is the Six” è notevole, confermando l’ottimo tasso di crescita per i ragazzi. La conclusione è di nuovo affidata all’inno metalcore “Crows”, che lascia i numerosi sostenitori ancora assetati. Come la loro fanbase, che stasera si è allargata ulteriormente, noi li aspettiamo in un club più piccolo con una setlist più lunga. Pollice su.
(Maurizio ‘Morrizz’ Borghi)
WOVENWAR
Come sa benissimo chi segue queste pagine, abbiamo apprezzato parecchio il rilancio degli ex-As I Lay Dying su sonorità (molto) più melodiche: di conseguenza, dopo aver scambiato quattro chiacchiere con Phil Sgrosso nel pomeriggio (prossimamente l’intervista), ci stavamo fregando le mani nell’attesa del debutto italiano della band. L’ingresso è sulle note (registrate) di “Foreword”, che introduce lo stesso album e si porta a braccetto la traccia ‘sorella’ “All Rise”, un pezzo costruito sullo shredding delle chitarre e sulle grandi melodie vocali, che mette immediatamente le carte in tavola e rappresenta il biglietto da visita per il gruppo. Rimaniamo a bocca aperta: Shane Blay ha una voce piccola, poco potente, che anche sforzando non arriva a replicare quanto di buono fatto su disco; e vederlo imbracciare una terza chitarra sembra del tutto inutile. Il nuovo cantante viene messo in ombra addirittura dal bassista Josh Gilbert, che già sapevamo capace, ma che ricopre anche oggi, come negli AILD, il ruolo di comprimario. I primi minuti vedono chi scrive girare per il locale con la tipica espressione di Jackie Chan nel famoso ‘my brain is full of fuck’ meme cercando giustificazioni plausibili, mentre la band prosegue con una successione di brani molto simile alla tracklist dell’album. Col tempo Shane riesce a far leggermente meglio, ma continuiamo a sperare si tratti solo di una serata-no: non sarebbe possibile buttar via un esordio comunque brillante in seguito ad una scelta scellerata. Scambiando qualche battuta con gli addetti ai lavori, però, capiamo che chi di aspettative ne ha poche, chi non li ha mai ascoltati e anche chi non sa nemmeno che sul palco ci sono quasi tutti gli As I Lay Dying, è intrigato, preso, incuriosito. La sala è piena e pochissime persone snobbano i Wovenwar per una sigaretta nell’area estiva del Live Music Club. Da “Archers” in poi, quindi, decidiamo di goderci lo spettacolo, osservando come la prima impressione sui presenti sia tutt’altro che negativa e come sul palco Hipa, Sgrosso, Gilbert e il baffone Mancino siano estremamente coinvolti, felici di mostrare al mondo la loro nuova creatura. Andando a cercare qualche video su YouTube, ci siamo oggi rassicurati sulle reali potenzialità di Blay: siamo contenti delle buone impressioni, ma non può che dispiacerci che l’esordio italiano non sia stato al 100%!
(Maurizio ‘Morrizz’ Borghi)
Setlist:
Foreword
All Rise
Death To Rights
The Mason
Profane
Archers
Identity
Tempest
Matter Of Time
Prophets
Onward
IN FLAMES
Dopo la parziale delusione delle band di apertura, inferiori alle aspettative di chi scrive, seppur per motivi diversi, tocca ai ‘padri/padroni’ di casa – ci sia permessa la battuta, giustificata anche dall’allestimento minimale del palco concesso ai supporter -, risollevare le sorti della serata. Sono le 22.00 in punto quando le casse iniziano a pompare la consueta intro elettronica e, sullo sfondo di un impianto luci degno degli effetti speciali di Star Wars – potente al limite del fastidioso, tanto che non pochi dei presenti sono stati costretti ad ‘abbassare lo sguardo’ sui primi pezzi -, l’astronave In Flames atterra sul palco del Live. Come ampiamente preannunciato, sarà l’ultimo album a giocare la parte del leone, e dunque non stupisce che l’incipit sia affidato alla doppietta “In Plain View”/”Everything’s Gone”, ricalcando la scaletta di “Siren Charms”. Nonostante sia nei negozi da poche settimane, il pubblico mostra di aver già assimilato le nuove canzoni e la resa dal vivo appare migliore che su disco; per dovere di cronaca, va detto però che i primi due pezzi non reggono il confronto con la successiva “Fear Is The Weakness”, sulle cui note il pubblico del Live, nel frattempo prossimo al sold-out, genera una quantità di energia cinetica sufficiente a saldare la spaventosa bolletta del luciaio. Dopo una tripletta senza pausa, un Fridén più loquace del solito introduce, con un soliloquio un po’ fine a se stesso, il primo stacco ‘vintage’ della serata: le virgolette sono d’obbligo dato che, là dove una volta trovavano posto in scaletta “Moonshield” e “The Hive”, ora ci si spinge al massimo indietro fino ai tempi di “Colony”, da cui viene ripescata per l’occasione la sola “Resin” (accolta peraltro in maniera abbastanza tiepida da un pubblico evidentemente meno avvezzo ai libri di storia del melodic death metal). Un trattamento e un’accoglienza ben diversi da quelli riservati ai due singoli portanti di “Reroute To Remain”, “Trigger” e “Cloud Connected”, sancendone di fatto il ruolo di pietra angolare degli In Flames 2.0, al punto da oscurare i successivi “Soundtrack To Your Escape”, assente ingiustificato dalla setlist, e “Come Clarity”, da cui viene estratta in chiusura l’immancabile “Take This Life”. Tornando allo show, liquidata la parentesi ‘storica’, la parte centrale della setlist torna a saccheggiare l’ultimo arrivato, inframezzando saggiamente il resto del lato A, più riflessivo, con i pezzi più energici della discografia recente come “Where The Dead Ships Well”, “Ropes” e “Delight And Angers”, cantate a squarciagola da un audience completamente rapita, al netto delle frange più nostalgiche, dai cinque sul palco. Dopo il prevedibile putiferio scatenato dall’indimenticabile “Only For The Weak”, – accompagnata per l’occasione dall’ennesimo siparietto di un sempre più divertito Fridén, raggiunto sul palco da un ragazzo (un complice?) delle prime file, per un tripudio di video e selfie molto social hipster -, qualche perplessità la desta la scelta di includere la fin troppo lunga “The Chosen Pessimist” (necessità di tirare il fiato?) e “Monsters In The Ballroom” (discreta, ma non certo la migliore del lato B di “Siren Charms”), prima che il filotto di singoli finale (“The Mirror’s Truth”, “Deliver Us” e “Take This Life”) mandi tutti sotto la doccia senza extra time, chiudendo novanta minuti intensi tra gli applausi scroscianti del Live. Premesso che chi scrive avrebbe pagato oro per rivivere un’altra ora e in compagnia della prima metà discografica, alla fine la scelta di puntare massicciamente sugli ultimi tre album (rappresentanti da soli 3/4 della scaletta, lasciando ai restanti otto le briciole) si è rivelata vincente. Non sappiamo, né ci interessa saperlo, quali siano i motivi alla base di questa scelta – semplice disaffezione verso i lavori più datati? Difficoltà a reggere le vecchie partiture vocali? Tentativo di voltare pagina nei confronti dell’ingombrante passato includente la figura di Jesper Stromblad? -, ma sta di fatto che questa sera gli In Flames – o In Fridén, come, con azzeccata ironia, sono stati ribattezzati – non hanno sbagliato un colpo, offrendo una performance maiuscola sotto ogni punto di vista (strumentale, vocale, visivo, relazionale), sopperendo ai (pochi) difetti riscontrati nelle ultime calate italiche. Detto che il pubblico è dalla loro, almeno a giudicare dal ricambio generazionale intravisto stasera, non ci resta che consigliare la visione anche ai fan più ‘anziani’, vista l’energia e la professionalità che i cinque ragazzi di Gothenborg sono sempre in grado di trasmettere on stage, tanto sui pezzi nuovi che su quelli datati. Per chi invece proprio non riuscisse a farsi piacere il nuovo corso, non resta che aspettare una (improbabile) reunion con il figliol prodigo; anche se, allo stato attuale delle cose, ci sono più probabilità di vedere dietro al microfono, al posto dell’ormai immancabile cappellino, una certa criniera rossa…
(Riccardo Plata)
Setlist:
In Plain View
Everything’s Gone
Fear Is The Weakness
Trigger
Resin
Where The Dead Ships Dwell
With Eyes Wide Open
Paralyzed
Through Oblivion
Ropes
Delight And Angers
Cloud Connected
Only For The Weak
The Chosen Pessimist
Monsters In The Ballroom
The Mirror’s Truth
Deliver Us
Take This Life