16/07/2016 - INCANTATION + DEAD CONGREGATION + NERVOCHAOS + GRIND ZERO + HADIT @ Elyon - Rozzano (MI)

Pubblicato il 28/07/2016 da

A cura di Giovanni Mascherpa

Appuntamento annuale col Maligno nelle sue forme più recondite, lontane da abbellimenti che ne possano esautorare l’immane peso di lordure e sconcezze, l’Hellbrigade marchiato Nihil Productions giunge alla sua sesta edizione, e lo fa in grande stile, mettendo assieme due delle migliori death metal band oggi operanti. La coppia Incantation-Dead Congregation è di quelle che non può non smuovere le coscienze, si tratta della classica abbinata ‘maestri’-‘discepoli’, con i secondi diventati talmente bravi da potersi mettere sulla stessa linea dei venerandi precursori quanto a carisma e valore del materiale. Per la ciurma di John McEntee, la calata lombarda rappresenta una delle tappe del tour per i venticinque anni, traguardo importante, considerando anche il fatto che gli Incantation non si sono mai fermati e non hanno avuto sbandate verso sonorità ‘impure’ nella loro storia. I Dead Congregation sono gli eredi più credibili sulla piazza, non molto distanti nell’impostazione di base, concreti, magnetici, un tornado che macella e incanta come pochi, forte di canzoni sposanti l’osceno e il magnifico, coniugando atmosfera e sporcizia con lucente classe e piglio virile. Insomma, un appuntamento imperdibile! Prima di costoro, un paio di realtà underground italiane, con gli Hadit a fungere da opening-act fra le spoglie mura dell’Elyon, i Grind Zero a prenderne il testimone e i brasiliani Nervochaos a manifestarsi quale rozzo culto proibito prima dell’apparizione quasi sacrale del combo greco. La sala è già abbastanza frequentata quando, nel caldo umido della serata di Rozzano, gli Hadit prendono possesso del palco…

 

HELLBRIGADE FESTIVAL 2016

HADIT

Degli Hadit si fa un discreto parlare in ambienti underground e le motivazioni le abbiamo ben comprese già quando li abbiamo visti all’opera di spalla agli Abstracter, ad aprile. Nel filone del death metal rabbuiato, greve e minaccioso, lordato di doom e funereo che popola l’underground, gli Hadit si inseriscono a meraviglia, sfornando pietanze ricche e multiformi contando su un armamentario ridotto all’osso. Rifacendosi in parte alle metodiche dei Bolzer, ma flettendosi di fatto su tematiche più tradizionali, il duo chitarra-batteria allestisce imponenti arie death metal, turpiloqui di note che annettono cerimoniosità e scempi, compiacendoci di una complessità d’atmosfere rara quando gli strumenti disponibili sono così pochi. Gli intervenuti se ne stanno un po’ distanti, ancora poco coinvolti da quanto stanno sentendo, anche se col passare dei minuti all’indifferenza si sostituisce vero interesse, perché le composizioni sono impattanti e alitano perverse su di noi raccontando storie raccapriccianti. L’indefinitezza e l’affogamento nei riverberi introduce un pizzico di follia alla Portal in un contesto comunque privo di astrusità e votato al massacro più che alla ricerca dell’assurdo. Una discreta equalizzazione dei suoni dà modo alla band di imporsi sicura nel probante contesto dell’Hellbrigade, una buona palestra per rinforzare muscoli già belli tonici e forti. Degli Hadit sentiremo ancora parlare.

GRIND ZERO

I Grind Zero confezionano uno show che andrebbe preso ad esempio per tutti coloro che non hanno grandi idee e talento dalla propria parte. Intendiamoci, il quartetto non è affatto scarso o poco preparato, solamente segnala nel giro di un paio di canzoni di non avere un arsenale di idee molto vasto e articolato. La cosa positiva, diciamo pure molto positiva, è che al netto di brani basilari, dondolanti fra attacchi selvaggi e tempi medi caracollanti, irrorati di riff semplici che passano al setaccio le forme meno evolute del death americano novantiano, i musicisti sfoderano una formidabile convinzione, una vistosa voglia di far male e una passionalità, questa sì, degna di act più acclamati. Sarà anche la fisicità prorompente di chitarrista e bassista, due omoni che bene incarnano la possanza del verbo death metal, e il furibondo growl di Marco Piras alla voce, certo è che coi Grind Zero non si riesce a star fermi, facendosi attirare morbosamente dalla musica come normalmente, su materiale tutto sommato prevedibile, non ci accade poi di frequente. Va detto che il batterista dà quei piccoli cambi di marcia che non lasciano mai schiantare i brani in vicoli ciechi, piccole incursioni groovy e movimentazioni nervose bilanciano il poco respiro del grosso delle composizioni, così che da esibizione di routine quella della compagine milanese diventa una mezz’ora decisamente divertente. A sentire alcuni spunti presenti nelle anticipazioni del nuovo materiale, c’è anche margine per dei miglioramenti nel songwriting, nel segno di architetture più raffinate e coraggiose. Su quello, valuteremo a tempo debito: sull’efficacia in sede live, già ora possiamo esprimerci positivamente.

NERVOCHAOS

Beata sguaiatezza brasileira. Alla prima apparizione su suolo italiano, i quattro carioca cavalcano sotto molti punti di vista gli stereotipi spesso associati alle band in arrivo dalla terra della samba e del calcio: acrimonia macchiettistica, visceralità isterica, gran disordine, passionalità incommensurabile. Il ventaglio stilistico è abbastanza canonico, una mistura di black, thrash e death metal che vede il suo punto di forza nel guitar-work piuttosto confuso e tremolante del cantante/chitarrista Lauro Nightrealm  (baffoni sublimi, i suoi) e dell’inquietante ascia solista di Cherry, sinistra donna nipponica dalla faccia iper-truccata, cadente, una specie di brutta bambola con qualche anno di troppo sul groppone e un contegno austero da vecchia megera. Al caldo opprimente della venue si aggiunge un discreto aumento della facinorosità tra il pubblico, che non si lascia andare a grandi manifestazioni d’approvazione ma non si fa nemmeno pregare dal dare man forte all’assatanata combriccola che ha davanti. Per quanto elementari e abbastanza simili le une alle altre, le tracce dei Nervochaos compendiano perlomeno qualche differenza di vedute passando dal materiale più datato a quello più recente. Il dosaggio degli ingredienti muta a seconda del periodo di riferimento, così che in alcuni momenti la spunta il death metal satanico alla primi Sepultura, mentre in altri momenti il retaggio black-thrash mutuato dai Sarcofago ha la meglio. Dove non arriva la qualità della musica, ci pensa l’aura di follia del singer, prodigo di urla sconclusionate e oltraggiose nell’annuncio dei pezzi, e la morbosità della chitarrista. Per fine concerto, sembra che tutti quanti siano diventati fan sfegatati di questo act!

DEAD CONGREGATION

Presenziare a una performance dei Dead Congregation significa non soltanto assistere a una delle migliori espressioni death metal contemporanee, quanto ammirare in assoluto una delle più brillanti live band oggi sulla piazza. Lo sanno gli avventori dell’Elyon, accorsi in un numero apprezzabile per farsi scorticare dai maestri della morte ellenici. Il bollore nel locale s’impenna, vuoi per l’aumentata affluenza, vuoi soprattutto per il pathos scatenato; data l’assenza di distanza fra musicisti e pubblico, in tanti si schiacciano a ridosso della pedana su cui la band sta suonando e il mosh, seppure limitato a una piccola frangia di spettatori, inizia a mietere le sue vittime. Clamore ed entusiasmo sono pressoché ovvi, quando sono in scena personaggi come Anastasis Valtsanis e i suoi compari: carisma, autorevolezza, una sapiente applicazione all’arte necrofila suggestionano corpo e anima.  Restiamo col fiato sospeso nelle rare parentesi atmosferiche, ripudiate presto per accelerazioni che mescolando la tipica verve black metal ellenica al cripticismo death metal americano diventano qualcosa di inenarrabile, terremotanti come poche altre cose a questo mondo. La sporcizia dei suoni e qualche lieve crepitio qua e là delle chitarre non possono inficiare una prestazione esagerata, che vede i ragazzi greci impugnare gli strumenti con le stesse pulsioni che li guiderebbero nell’utilizzo di un’arma mortifera. Il funzionale virtuosismo solista, setosa pece avvampante d’ira e misticismo, infonde attimi di crepuscolare poesia mortuaria all’interno di canzoni come la prolungata “Schisma” o la dannata accoppiata “Only Ashes Remain”-“Promulgation Of The Fall”, già classici dello scenario death metal contemporaneo. La genuinità del gruppo e l’assenza di pose costruite non gli impedisce di ammantarsi di un alone di imperiosità gigantesco, di causare timore reverenziale, in particolare verso il nerboruto frontman, magnifico sia alla sei corde che nell’ostentare un growl sanguinosamente profondo, fulgida espressione della sordidezza di questa musica quando è suonata ai suoi massimi livelli. Il clima in sala rimane incandescente e fuori controllo per l’intera esibizione, un’accoglienza meritata per un quartetto che sta scrivendo pagine grandiose nel pantheon del metal della morte.

INCANTATION

Quasi chiunque altro, messo in successione ai Dead Congregation, rischierebbe una ben grama figura.  I maestri del death metal abbruttito e affogato nel doom, al secolo conosciuti come Incantation, sono tra i pochi in grado di reggere un tale fardello. I primi minuti vedono una leggera diminuzione di grida a supporto e collassare di corpi, la pausa per il cambio palco a quanto pare non è bastata a tutti per recuperare le fatiche del concerto precedente. È questione di poco, però, perché nonostante l’ora tarda e il disagio del caldo umido e dell’aria viziata, la voglia di death metal è ancora fortissima. Inoltre, gli Incantation partono spediti, appena il suono viene regolato al meglio si ha la percezione di essere al cospetto di una band assatanata, per nulla inferiore nell’impatto live a chi l’ha preceduta. La leggendaria distorsione trituraossa di McEntee, compressa fino a mortificare qualsiasi sentore di sobria musicalità, risuona fragorosa, mattonate su mattonate di dolore e miasmi cadono sulle nostre teste, senza che faccia difetto la precisione e la peculiare atmosfera evocata del quartetto. L’ultimo arrivato in line-up, il buffamente nominato Sonny Lombardozzi, si rivela un elemento all’altezza, bravo nel lasciar fluire solo strazianti accanto a un lavoro di supporto nelle ritmiche decisamente buono. La scaletta, data l’occasione, rispolvera qualche cavallo di battaglia tenuto imbrigliato un po’ più a lungo di altri, si cerca di dare lustro a tutti i dischi e, non avendo pubblicato capitoli discografici particolarmente sottotono nel passato, gli Incantation non hanno grandi difficoltà a far male qualsiasi cosa suonino. “Nocturnal Dominium” e “Deliverance Of Horrific Prophecies”, provenendo dai mitizzati “Mortal Throne Of Nazarene” e “Onward To Golgotha”, arroventano ancor di più un ambiente dove la compostezza è andata a farsi maledire già da tempo: la spietatezza esecutiva, il sadismo del massacro e il growl intatto di McEntee rispetto agli album non lasciano indifferente proprio nessuno! Il leader nelle pause si mostra a dir poco compiaciuto dalla facinorosità del pubblico e sorride maligno, mentre arringa gli astanti con qualche breve parola di celebrazione del pezzo che andrà a proporre. Una grande serata death metal si chiude con l’encore di “Profanation”, colpo di grazia maestoso da parte degli inattaccabili sovrani del death più putrido.

0 commenti
I commenti esprimono il punto di vista e le opinioni del proprio autore e non quelle dei membri dello staff di Metalitalia.com e dei moderatori eccetto i commenti inseriti dagli stessi. L'utente concorda di non inviare messaggi abusivi, osceni, diffamatori, di odio, minatori, sessuali o che possano in altro modo violare qualunque legge applicabile. Inserendo messaggi di questo tipo l'utente verrà immediatamente e permanentemente escluso. L'utente concorda che i moderatori di Metalitalia.com hanno il diritto di rimuovere, modificare, o chiudere argomenti qualora si ritenga necessario. La Redazione di Metalitalia.com invita ad un uso costruttivo dei commenti.