Nato nel 2014, l’Incineration Festival è rapidamente diventato un punto fermo dell’offerta festivaliera britannica. Se il noto Damnation Festival domina la stagione autunnale e il Bloodstock Open Air quella estiva (senza ovviamente andare a scomodare eventi mainstream come il Download), la primavera è sinonimo di Incineration, happening prettamente londinese che da sempre si concentra sul versante più estremo delle sonorità metal. Giunto alla sua sesta edizione, dopo vari cambi di location e di format nel corso degli anni, il festival nel 2019 è stato concentrato in una singola giornata, venendo al contempo spostato da Tufnell Park alla più popolare zona di Camden Town, la quale ha messo a disposizione per l’evento tre dei suoi locali più affermati: l’Electric Ballroom, lo storico Underworld e il Black Heart, per una configurazione in grado di ricordare quella tipica di altri festival cittadini come il Roadburn o il Desertfest. Peccato solo che il cartellone si sia rivelato sin troppo ricco di band per un arco di tempo tanto breve: avendo a disposizione solo nove ore fra l’apertura delle porte e il coprifuoco imposto dai locali, i ventiquattro gruppi invitati sono stati concentrati in un programma fittissimo e pieno di sovrapposizioni dolorose. Persino gli headliner, Mayhem e Asphyx, si sono ritrovati a suonare praticamente in contemporanea, lasciando più di un fan in preda a dubbi amletici su quale delle due band seguire. Questo è un aspetto che l’organizzazione dovrà cercare di rivedere in futuro, visto che buona parte del pubblico paga il biglietto per i gruppi principali. Le sovrapposizioni esistono da sempre in qualsiasi festival con più palchi, ma queste non dovrebbero essere così considerevoli e invasive. Insomma, la scadente gestione dei tre locali è l’unico appunto che possiamo fare a questa edizione 2019 dell’Incineration Festival, evento in netta crescita a livello di popolarità e ormai in procinto di diventare un punto di riferimento anche per fan provenienti da altri paesi (Brexit permettendo!). Siamo già in attesa delle prime notizie sulla prossima edizione.
Visto il programma a dir poco denso e confuso, bisogna correre da una parte all’altra di Camden Town per riuscire a seguire più band possibile, rinunciando quindi ad assistere a concerti per intero. Il primo nome sulla nostra lista è quello dei DEITUS, promettente realtà black metal britannica ora impegnata nella promozione di “Via Dolorosa”, suo secondo full-length. L’ambiente intimo e lugubre dell’Underworld si rivela il contesto adatto ad accogliere un gruppo del genere, la cui proposta si rifa soprattutto a quel black metal melodico e sanguigno coniato dai Dissection e poi reso ancora più popolare dai Watain. I Deitus hanno già carisma e presenza scenica su discreti livelli e il loro set scorre piacevolmente, lasciando una buona impressione fra i presenti.
Ci spostiamo quindi all’interno dell’Electric Ballroom, ovvero davanti al palco principale, per assistere ai concerti di due realtà ‘di casa’ già piuttosto affermate. I VOICES e il loro black-death dai vistosi contorni avantgarde sono un punto di riferimento del circuito londinese: a volte ci danno l’impressione di volere forzatamente complicare i loro brani per darsi un tono eccentrico, ma l’esecuzione di Sam Loynes (Akercocke) e compagni risulta comunque inappuntabile e il pubblico è con loro. Bravi anche i WINTERFYLLETH, epic black metaller in forte ascesa che già da tempo possono vantare un seguito notevole da queste parti. L’affluenza all’interno del locale ha difatti poco da invidiare a quella di band più importanti e, dal canto suo, il gruppo di Manchester denota una sicurezza che in tali contesti non può che fare guadagnare loro ulteriori fan. Il loro ultimo album ha posto l’accento sulla componente folk e acustica, ma quest’oggi il set non lesina furia ed elettricità.
Restiamo in zona per assistere al solito circo di Niklas Kvarforth e dei suoi SHINING. Il frontman straparla come di consueto, ma ha dietro di se una band affiatata e che sa dettare bene i tempi dello show, limitando al minimo le improvvisate del proprio leader. I suoni non sono sempre al top (sarà una costante all’interno del Ballroom oggi), ma la scaletta, variegata e con brani risalenti a più epoche dei depressive black metaller svedesi, coinvolge gli astanti e si conclude in crescendo.
Cambiamo genere, ma il trasporto resta alto con gli ANTROPOFAGUS, qui alla prima esibizione su suolo britannico della loro storia. I death metaller italiani sono da sempre un’ottima live band e anche oggi, all’interno dell’Underworld, ne abbiamo conferma. Set serratissimo e interpretato con precisione chirurgica da una formazione veramente solida e affiatata. E’ sempre un piacere riascoltare classici come “Loving You in Decay”.
Torniamo all’Electric Ballroom per un altro gruppo scandinavo amante della caciara. I CARPATHIAN FOREST non vengono da queste parti da parecchi anni, di conseguenza il loro concerto assume ben presto toni ancora più casinisti del previsto. Nattefrost, un po’ come il collega Abbath, sembra avere perso la brocca ormai da tempo, ma i musicisti al suo servizio suonano con sufficiente rigore e imbastiscono quello che è a tutti gli effetti uno show black’n’roll dal gran tiro. Nella corposa scaletta trovano spazio vari brani dall’ottimo “Strange Old Brew” e anche la vecchia cover di “A Forest” dei The Cure. Riscontriamo invece meno impatto del previsto nella prova dei SEPTICFLESH, i quali devono fare i conti con dei suoni un po’ confusi che tendono ad amplificare la freddezza delle numerose basi orchestrali pre-registrate a cui la band si affida. Si vede che i greci negli ultimi anni hanno accumulato tanta esperienza live – Spiros Antoniou non è mai stato così ciarliero – ma al sound questa sera manca profondità: chitarre e batteria appaiono sovente slegate dalla componente sinfonica e anche brani ormai molto famosi come “Pyramid God” e “Communion” faticano ad incidere.
Le cose vanno meglio per i BENEDICTION, impegnati all’interno dell’Underworld: un locale piccolo, umido e fumoso è il loro ambiente naturale e infatti restiamo subito coinvolti dalla prestanza di questi veterani della scena death metal inglese. Si tratta di uno degli ultimi concerti con la band per il frontman Dave Hunt, il quale ha dichiarato di volersi concentrare sugli Anaal Nathrakh a partire dalla fine di quest’anno, e la formazione interpreta lo show con ancora più entusiasmo del solito, dando proprio l’idea di divertirsi. Si punta ovviamente tanto sui classici e pezzi come “I Bow to None” o “Jumping at Shadows” si confermano perfetti per la dimensione live.
Assistiamo quindi alla prima parte del concerto dei MAYHEM, ormai lasciatisi alle spalle le celebrazioni per “De Mysteriis Dom Sathanas” che li hanno visti impegnati ultimamente. L’incipit dello spettacolo, molto aggressivo e sorretto al massimo da un Ballroom affollatissimo, verte infatti su altro materiale, con brani estratti soprattutto dal repertorio ‘nuovo’ (“Chimera”, “Esoteric Warfare”, “Wolf’s Lair Abyss”…), e anche il look del gruppo prende le distanze dagli ultimi tour: Attila, Necrobutcher e soci si presentano infatti senza quelle tuniche viste di recente, mantenendo, almeno per la prima mezzora, una spiccata attitudine ‘no frills’.
Vogliamo seguire almeno parte dello show dell’istituzione old-school death metal ASPHYX, quindi ci spostiamo nell’Underworld, dove il quartetto sta come prevedibile asfaltando una folla in estasi. Si tratta di un evento speciale, dato che oggi è anche il compleanno di Martin Van Drunen, e il leggendario cantante olandese si esibisce con il sorriso sulle labbra, ringraziando più volte gli stage diver e le dozzine di fan che premono contro il palco. La scaletta non sembra fornire sorprese, ma va bene così: canzoni come “Scorbutics” o “Last One on Earth” sono quella prevedibilità che ci piace. Sempre grandi.
Chiudiamo con una puntata all’interno del piccolo Black Heart, dove gli ABYSMAL TORMENT stanno letteralmente facendo danzare il pubblico con una performance pregna di foga ed entusiasmo. I maltesi sono una band perfetta per simili situazioni: davanti ad una proposta death/slam/death-core ricca di groove e ben interpretata come la loro, non è necessario conoscere a memoria il repertorio; per divertirsi basta farsi trascinare nel pogo e nei circle pit, e ciò è proprio quello che l’inebriata platea cerca di fare. Si chiude dunque in un’atmosfera da party selvaggio che lascia tutti sorridenti e con qualche livido in più.