Quando abbiamo letto per la prima volta la line-up di quest’evento abbiamo avuto pochi dubbi: avremmo fatto di tutto per esserci. Poter vedere in un’unica occasione Dawn Ray’d, Trespasser e Iskandr – tre formazioni autrici di dischi, usciti quest’anno, talmente belli da correre fin dai primi ascolti per le posizioni più alte della nostra classifica di fine anno, come avrete avuto modo di leggere su queste pagine – si preannunciava un’occasione troppo ghiotta per resistervi.
Se al lato musicale aggiungete anche la presenza di Branca Studio – guru spagnolo di grafiche e visual per centinaia di gruppi (con una predilezione particolare per stoner, sludge o comunque roba puzzolente di zolfo), tra i promotori della serata – e la prospettiva di visitare una cittadina incastonata nelle montagne svizzere come Berna, capirete come non ci abbiamo messo moltissimo per decidere definitivamente e prendere il biglietto.
È però con nostro grande dispiacere che abbiamo appreso, a sole due settimane dal concerto, dello scioglimento improvviso degli inglesi Dawn Ray’d; non neghiamo che buona parte del nostro entusiasmo era proprio in prospettiva di sentire i pezzi del bellissimo “To Know The Light” dal vivo, e che quindi ci siamo imbarcati, il 29 settembre, nella lunga traversata in treno verso la capitale della Confederazione elvetica con un considerevole senso di scorno addosso.
Ad attenderci all’arrivo, però, è un caldo sabato autunnale, capace di vestire il ciottolato del centro storico e le guglie della cattedrale di una luce unica, balsamo ideale per lenire qualsiasi rodimento interiore. Ci avviamo quindi verso il Reihtschule, il centro sociale autogestito che ospita il mini-festival nel proprio sottotetto, a pochi passi dalla stazione: un incantevole edificio in muratura e legno nella tipica forma architettonica mitteleuropea, arricchito da centinaia di passaggi di colore, striscioni, adesivi e manifesti programmatici di etica del collettivo che lo gestisce. Il cosiddetto sottotetto, poi, è un vero e proprio locale, con bar e palco annessi, in grado di contenere le varie centinaia di spettatori e teatro di suoni e acustica davvero – ci verrebbe da dire incredibilmente – ottimi.
Prima di lasciarvi al racconto vero e proprio della serata, un paio di considerazioni sull’evento: come già si intuisce dal nome, questo ‘festival’ è nato con una precisa connotazione politica e ovviamente si rivolge in particolare a tutta la cosiddetta scena RABM (acronimo di ‘Red and Anarchist Black Metal’), di cui proprio il trio inglese appena sciolto era tra gli alfieri più luminosi e determinati.
Sul senso e la nascita di correnti del genere si potrebbe discutere in lungo e in largo, ma per ora ci limitiamo a notare come un evento chiamato ‘International Antifascist Black Metal Gathering’ e con location un centro sociale, abbia già dichiarato i propri intenti in maniera decisa, portandoci prospettive capaci di richiamare le fucine di gruppi e controculture punk di qualche decennio fa.
Ci saremmo aspettati quindi, a lato della musica, anche una ‘cornice da festival’ di attività, stand o comunque iniziative di cultura alternative alla musica vera e propria, ma non è stato proprio così. Certo, erano presenti un paio banchetti, accanto a quelli del merch e ai raccoglitori di poster di Branca Studio, di associazioni o gruppi locali attivi nel sociale, ma in qualche modo ci è sembrato che il nome dato fosse risultato leggermente altisonante per quella che è stata la serata vera e propria (tantopiù che, come potrete leggere tra poco, non tutti i gruppi si sono rivelati, a livello di musica e tematiche, proprio allineati con il genere): ci troviamo quindi a lodare le intenzioni e l’iniziativa in sè, sperando al tempo stesso che, nelle prossime edizioni (in questi giorni è stata annunciata quella del 2024), essa possa crescere e ampliare la propria proposta in questo senso.
In piena tradizione punk (che, notiamo divertiti, vale anche nel precisissimo territorio svizzero), la serata comincia con una mezz’oretta abbondante di ritardo; quando si spengono le luci, notiamo comunque già un nutrito e variegato pubblico (metallari, punk e varie vie di mezzo tra essi) stringersi sotto al palco per l’esibizione di ISKANDR. Il duo olandese si riduce ad una sola unità in questa occasione: è il polistrumentista O (vero e proprio autore di testi e musica, la cui sola eccezione nell’esecuzione è quella della batteria, che infatti stasera risulta campionata), in camicia e trecce ‘alla Solstafir’ a calcare le assi del palco. Ed proprio la band islandese a tornarci in mente più volte durante il concerto: le stratificazioni di suoni e atmosfera (resa ancora più coinvolgente dalle visual proiettate sul fondo del palco) risultano dolci, delicate e cariche di emotività, dipingendo con arpeggi di chitarra, suoni di campanacci e strumenti a fiato affreschi di storie rurali e migratorie, con una patina quasi teatrale in alcuni passaggi.
Il musicista, che pure non è un novellino (tra i vari gruppi in cui suona troviamo i Dool, per dirne una), risulta insieme contento ed emozionato nel presentare estratti del nuovo “Spiritus Sylvestris”, e i quaranta minuti di esibizione passano come il tocco lieve della marea, lasciando un pubblico raccolto e rapito da un concerto a modo proprio ‘inusuale’ nell’inaugurare una serata che, d’ora in avanti, assumerà tinte molto più aggressive.
Ci pensano infatti i WITCHING da Philadelphia a svegliare a schiaffi la platea in costante aumento, e notiamo come il giovanissimo gruppo venga salutato con un calore e un entusiasmo davvero energici. Il loro misto di sludge e doom è ulteriormente arricchito da velenosissime sferzate black e hardcore, soprattutto nella voce della cantante Jacqui Powell, capace di sterzare in maniera repentina da momenti in solenne e corposo pulito ad uno screaming abrasivo e incazzatissimo, come succede durante l’esecuzione di “So Young, So Useless” (da “Incendium”, in uscita il prossimo 27 ottobre), sostenuta da un comparto ritmico incalzante e un incrocio di chitarre in grado di assecondare sia le parti più raccolte che quelle maggiormente furibonde. Ecco, proprio questa dicotomia alla lunga ci lascia un po’ perplessi, perchè ci sembra che le due anime della band (di cui quella più nera ci risulta più ispirata ed efficace) fatichino ad armonizzarsi senza frizione, ma vedendo l’accoglienza che viene loro riservata, forse siamo tra i pochi a pensarlo.
Oramai sono saltate qualsiasi previsioni di orari e scaletta, ma quando, dopo una pausa per prendere una boccata d’aria fresca (le temperature nel sottotetto del Reihtschule sono in costante aumento), troviamo il palco addobbato da fiori, falcetti e stendardi a metà tra l’arte ortodossa e i pamphlet anarchici di inizio Novecento, poco importa di ritardi o stanchezza montante: dopo un check definitivo i TRESPASSER attaccano a suonare e spazzano via stanchezza e qualsiasi altro show della serata in termini di intensità.
La band svedese non fa letteralmente prigionieri, non guarda in faccia a nessuno e procede corazzatissima dalle sirene dell’iniziale “Forward Into the Light!” (pure incipit dell’ultimo “Αποκάλυψισ”) a propagandare la propria concezione di black metal guerrigliero e belligerante, con una torbida vena hardcore che emerge prepotente nell’attitudine, nelle parti più cadenzate e nelle tematiche trattate nei testi. Questi, come facile capire dall’assetto generale sul palco, raccontano a suon di riff taglientissimi e blast-beat parossistici, storie di rivoluzione, lotte sociali e rivendicazioni operaie, ammantate però da un’aura mistica orientaleggiante – evidente soprattutto in alcuni arpeggi di chitarra dell’ultimo lavoro – incredibilmente capace di risultare coerente con la rabbiosa carica del resto.
Questa sorta di ‘luminosità’ emerge nell’assolo epico di “Flakes Of Ash”, incendiando l’aria già scottante del locale, ma è con “To the Barricades” che si arriva al picco vero e proprio: la band (ampliata per i live a cinque elementi invece del consueto duo XVI/Dräparn) affronta la furia livida del brano con ancora più aggressività, concludendo proprio con il coro della canzone rivoluzionaria spagnola “A Las Barricades”, tra bandiere inneggianti i diritti dei lavoratori, corna e pugni alzati, ed un sacco di sorrisi sudati a giocare un bel constrasto con gli scenari tragici appena descritti. Un concerto così vivido e intenso non ci fa davvero rimpiangere le lunghe ore di viaggio.
Dopo quella che ci sembra un’eternità, ecco salire sul palco, in una versione davvero minimale e scarna, i WIEGEDOOD: il trio belga fa parte di tutta quella congrega di formazioni unite sotto l’egida della fantomatica ‘Church Of Ra’, sorta di collettivo artistico, volto a scandagliare gli abissi più nichilisti e bui dell’esistenza umana con toni rarefatti post-black e a modo proprio ‘mistici’, che ha come officianti principali gli Amenra, i Throane di Den Shora o gli Oathbreaker, di cui tutti e tre i membri dei Wiegedood fanno parte.
Se dovessimo dare un’immagine visiva del suono dei nostri, potremmo prendere come esempio il loro logo, che fiancheggia le casse da entrambi i lati del palco: una serie di linee acuminate, dai contorni dentellati, a formare una sorta di glifo runico fatto di rami e sentimenti neri.
Inquietudine, lutto, mestizia e dolore cocente impregnano ciascuna nota suonata, andando a costruire un muro del suono in cui certo black metal nordico incontra una ricerca di atmosfera interiore nelle aperture melodiche, nei sample ad intervallare il martellamento costante della batteria, con giusto qualche momento di jam quasi jazzata tra un pezzo e l’altro a scuoterci dalla contemplazione assorta di tale violenza e far alzare più di un sopracciglio perplesso qui e lì nella sala, che nel frattempo risulta gremita e variegata, con gli avventori abituali del locale a fare capolino incuriositi dalla scalinata. Un’ora scarsa di concerto ci consegna alle propaggini più buie e profonde della notte, lasciando dietro di sè scenari devastanti e tantissimi applausi.
Da parte nostra riusciamo solo a vedere la salita sul palco dei ‘padroni di casa’ GRAVPEL, bardati di spuntoni e coperti da un luridissimo face-painting e, fedeli ad esso, assalire il palco a colpi di black metal slabbrato e lerciato di crust, prima di cedere definitivamente alla stanchezza.
Ci sentiamo di salutare l’intera serata come un successo, in termini di pubblico e show, nonostante la defezione, a modo proprio incisiva, dei Dawn Ray’d; sicuramente ci sono margini, pur mantenendo la propria attitudine orgogliosamente punk e resistente, per migliorare e far crescere il mini-festival in termini di offerta, proposte coerenti e diffusione. Ci limitiamo per ora a segnare sul nostro calendario la data dell’edizione 2024 (prevista per il 21 settembre) e aspettare i primi annunci.