26/07/2016 - IRON MAIDEN + THE RAVEN AGE – Trieste @ Piazza Unità d'Italia - Trieste - Trieste

Pubblicato il 30/07/2016 da

Report a cura di Chiara Franchi
Fotografie di Enrico Dal Boni

Ci ricordiamo bene il momento in cui Bruce Dickinson, durante il concerto degli Iron Maiden a Villa Manin di Codroipo (UD), prese fiato tra una corsa e l’altra per esclamare: “What a fuckin’ beautiful place!”. Viene quindi spontaneo chiedersi cosa ne pensi, a sei anni di distanza da quella sera, dello spettacolare scenario in cui il Nord Est torna ad accogliere la Bestia. Piazza Unità d’Italia, nel cuore della mitteleuropea Trieste; uno spazio immenso aperto direttamente sul mare, incorniciato da edifici di asburgica memoria. Alle spalle degli oltre quindicimila spettatori, un tramonto turneriano regala una luce magica. Davanti ai nostri occhi, invece, si staglia il mastodontico palco del The Book Of Souls World Tour, giro del mondo iniziato a febbraio e ormai prossimo alla sua gloriosa chiusura, sul main stage del Wacken Open Air. In mezzo all’oceano di magliette con stampato Eddie e di facce con stampati sorrisi, l’atmosfera è quella che solo i concerti delle leggende viventi sanno offrire. Non vogliamo tuttavia dilungarci in altri preamboli, se non per ringraziare gli organizzatori dell’evento e la città di Trieste per averci dato l’opportunità di vedere una delle nostre band preferite in un luogo tanto bello, mantenendo il clima sereno nonostante gli inquietanti fatti di cronaca di questi giorni. Come anche Dickinson ha voluto ricordare, sono serate come queste che devono accendere (e di fatto accendono) la nostra gioia di vivere.

 

IronMaiden-locandina-2016

 

THE RAVEN AGE

Prima di parlarvi dei The Raven Age, giovane formazione britannica più o meno di belle speranze, vi chiediamo un piccolo sforzo di memoria. Ripensate a tutti i grandi concerti a cui siete stati (quelli con più di diecimila persone, per intenderci) e diteci se non è vero che 1) i suoni del primo gruppo a salire sul palco sono sempre uguali, ovunque e comunque. Voce buona, chitarre pessime, batteria troppo alta; 2) c’è sempre, tra le prime file, qualcuno con la bandiera della Sardegna; 3) non manca mai un tizio alto due metri e largo come il vostro armadio che puntualmente, anche se la location è grande come la Repubblica di San Marino, si piazza giusto davanti a voi. Al di là di queste facezie, a un quarto d’ora dall’inizio della performance dei The Raven Age non riusciamo ancora a capacitarci di come siano finiti ad aprire il megatour dei megaMaiden. I cinque non suonano male, i pezzi non sono sgradevoli, ma la loro presenza è manieristica e, di fatto, la loro esibizione si riduce a trenta minuti del solito alternative metal ipermelodico con qualche influsso heavy – niente di nuovo sotto l’Union Jack. Di fatto, i The Raven Age sono una sorta di Bullet For My Valentine sbarcati sulla Terra con dieci anni di ritardo, leggermente più malinconici e parecchio più monotoni, con l’unica notabile differenza che nel loro caso il cantante canta. Ebbene. Come diavolo fa un gruppo così, nato nel 2009 ma con all’attivo soltanto un EP datato 2014, per di più sprovvisto di contratto discografico, ad essere in tour con la più grande metal band in circolazione? Non sarà perché il chitarrista si chiama George Harris? Ora. Non sta a noi giudicare gli altrui equilibri familiari. Non è neanche la prima volta che il vecchio Steve fa di queste cose (alzi la mano chi si ricorda i leggins pitonati di Lauren Harris). Pensiamo soltanto, da verosimili coetanei di George, che se fossimo in tour con la band di nostro padre e dei suoi colleghi sessantenni, e questi ci prendessero a clamorosi calci nel culo ogni sera per mesi in quaranta stati diversi, a fine anno vorremmo solo sotterrarci. Sia come sia, i The Raven Age si lasciano alle spalle un pubblico comunque entusiasta della loro esibizione, di certo non ignobile, ma lontana dall’essere esaltante.

 

IRON MAIDEN

Mentre il Sole cala sull’Adriatico, le note di “Doctor Doctor” annunciano l’imminente entrata in scena dei lord dell’heavy metal. Il faraonico palco ricorda, per dimensioni e allestimento, una specie di enorme giostra di Gardaland a tema impero Maya. Un’impressione acuita dalle proiezioni stile videogame che scorrono sui maxi schermi, volte a calarci in un’immaginaria foresta guatemalteca fitta di liane e creature sovrannaturali. L’urlo ‘Scream for me Trieste!’, invece, è reale. “If Eternity Should Fail” grida che i Maiden sono sul palco, lanciatissimi sulla trascinante opener del nuovo album “The Book Of Souls”. Il sound è buono e la band sfoggia fin da subito una forma invidiabile: ad un’età più che accettabile per essere nonni, i Maiden continuano a fare un mazzo impietoso a tanti gruppi di trentenni. Non solo per la loro formidabile energia fisica (sfidiamo chiunque a salire su un palco in felpa, a fine luglio, e a correre per due ore cantando la setlist della serata) o per l’esecuzione senza grosse sbavature del loro repertorio, ma anche per come riescono, dopo un numero inimmaginabile di concerti, a trasmettere ancora entusiasmo, grinta, voglia di dare il massimo. La band che tutto il mondo associa al termine ‘heavy metal’ è fatta di uomini semplici, genuini, che dopo quarant’anni sul tetto del mondo salgono ancora sul palco col sorriso, scherzano, si prendono in giro. Bruce Dickinson sventola in faccia di Janick Gers la bandiera britannica che tradizionalmente accompagna “The Trooper”. Janick Gers, a sua volta, corre tra le gambe dell’ Eddie precolombiano che incombe su di lui mentre suona “The Book Of Souls”. Ad Adrian Smith scappa da ridere quando Dickinson gli sposta il microfono sui cori di “Wasted Years”. Non riusciamo a non pensare a tutti quei sedicenti musicisti che per esibirsi alla Sagra della Sopressa avanzano pretese da divi, o a certe band di Signori Nessuno che strombazzano il proprio genio incompreso con toni à la Vittorio Sgarbi: come potrebbero assistere ad un concerto come questo senza provare imbarazzo per sé stessi? Il clima festoso dilaga dal palco tra le migliaia di spettatori raccolti in piazza, che cantano a pieni polmoni i grandi classici ma che dimostrano anche di conoscere e apprezzare i nuovi brani. Come “Tears Of A Clown”, dedicata alla memoria di Robin Williams, o “Death Or Glory”, sulle cui note è impossibile non lasciarsi andare alla mossetta-tormentone “climb-like-a-monkey” (se non sapete di cosa si tratta, cliccate qui!). Il clamore suscitato dal solo di “Powerslave”, con gli schermi ai lati del palco pieni della bandana di Adrian Smith e del faccione di Dave Murray, è indescrivibile. Nel caleidoscopico susseguirsi di canzoni, emozioni, backdrop -uno più bello dell’altro- e cambi d’abito dell’inarrestabile frontman, non ci si rende conto delle ore che passano. Perfino la torrenziale “The Red And The Black” scorre in un battito di ciglia. La tripletta che chiude la setlist principale è da capogiro: “Hallowed Be Thy Name”, “Fear Of The Dark” e “Iron Maiden”, celebrata dall’innalzarsi di un colossale mezzobusto della mascotte della band. Ma le sorprese non sono finite. Per l’encore, Eddie torna negli inferi e al suo posto sorge un diabolico minotauro, quasi un Caronte che ci guida nei meandri dell’attesissima “The Number Of The Beast”. “Blood Brothers” suona come un inno alla libertà, col suo ritornello cantato all’unisono da fan che parlano italiano, tedesco, sloveno, croato, ungherese. La chiusura è affidata a “Wasted Years”, che infiamma per l’ultima volta colli e corde vocali della platea. Gli applausi sono infiniti. Per tutti, ma a noi sembra che ce ne siano in modo particolare per quel leone di Nicko McBrain, l’ultimo a lasciare il palco. Siamo senza parole. Davanti a una band di questo livello e ad uno spettacolo di questo livello, che senso ha star qui a raccontarvi che Bruce Dickinson si è impappinato sulla strofa-scioglilingua di “Hallowed Be Thy Name” o che i suoni all’inizio erano buoni ma non eccelsi come alla fine? L’unica cosa che ci sentiamo di dire è che ci auguriamo tanto, ma davvero tanto che questi signori ci regalino almeno un altro giro di giostra.

Setlist:

Intro: Doctor Doctor
If Eternity Should Fail
Speed Of Light
Children Of The Damned
Tears Of A Clown
The Red And The Black
The Trooper
Powerslave
Death Or Glory
The Book Of Souls
Hallowed Be Thy Name
Fear Of The Dark
Iron Maiden

Encore:

The Number Of The Beast
Blood Brothers
Wasted Years
Outro: Always Look On The Bright Side Of Life (Monty Python)

 

0 commenti
I commenti esprimono il punto di vista e le opinioni del proprio autore e non quelle dei membri dello staff di Metalitalia.com e dei moderatori eccetto i commenti inseriti dagli stessi. L'utente concorda di non inviare messaggi abusivi, osceni, diffamatori, di odio, minatori, sessuali o che possano in altro modo violare qualunque legge applicabile. Inserendo messaggi di questo tipo l'utente verrà immediatamente e permanentemente escluso. L'utente concorda che i moderatori di Metalitalia.com hanno il diritto di rimuovere, modificare, o chiudere argomenti qualora si ritenga necessario. La Redazione di Metalitalia.com invita ad un uso costruttivo dei commenti.