Sembra essersi fermato, il tempo, per Steve Harris e soci. La pandemia aveva bloccato la prosecuzione del Legacy of the Beast tour, nel bel mezzo è uscito il buonissimo “Senjutsu”, e quando si riaprono i giochi eccoli riprendere da dove avevano lasciato, magari con una piccola fascia dedicata proprio all’ultimo uscito. Il centro della capitale portoghese pullula già da un paio di giorni di magliette dedicate a Eddie, e quando ci accingiamo a raggiungere l’Estádio Nacional do Jamor, a qualche chilometro dal centro, la tipica processione di metallari ci fa calare completamente nell’atmosfera da concerto. Il sole cocente viene ben mitigato dalla brezza proveniente dal vicino Tago, e l’aria festosa che si respira aiuta ulteriormente; una volta entrati, il colpo d’occhio ‘da stadio’ fa sempre il suo effetto, benché ci stupisca inizialmente che l’erba sia completamente coperta da un telo nero (perfetto per il sole, pensiamo…) e non vi sia una sola zona d’ombra; da segnalare la totale mancanza di docce o punti per acqua potabile, ma nessuno sembra farci caso, però magari ricordiamocelo quando ci lamenteremo, in futuro, dei concerti di casa nostra. Facciamo immediatamente un giro tra gli stand (solo culinari, a parte quelli del merch ufficiale delle band) e ci godiamo il prezzo di bevande e cibarie, che probabilmente per i canoni portoghesi suonano come i classici furti da concerto ma che per i prezzi italiani equivalgono a quelli di un qualsiasi pub. Come detto, l’atmosfera è quella di una festa, e notiamo una varietà davvero enorme di presenti: famiglie intere con molti bambini (bardati con tanto di giacchetta smanicata e toppe), persone che ai tempi di “Killers” dovevano essere già grandicelle, ragazzini mano nella mano, quarantenni scafati, insomma, alla festa targata Maiden sembrano tutti invitati, compresi i gruppi a cui tocca l’apertura: gli Airbourne sapranno far valere la propria nomea di live band, così come i Within Temptation, sapranno raccogliere una parte di pubblico (allontanandone però un’altra). Questa di Lisbona è l’ultima data della branca europa del Legacy of the Beast tour, e soprattutto dopo lo sfortunato epilogo di Bologna, siamo curiosi di vedere finalmente i pezzi di “Senjutsu” dal vivo, anche se temiamo un po’ visto che essendo a fine della prima parte di tour, la stanchezza potrebbe avere una sua voce. Vedremo; il sole è ancora alto, e gli Airbourne intanto stanno per salire sul palco…
AIRBOURNE
E senza dare tempo di chiedersi che succede, ecco che gli australiani irrompono con una foga da stringere il cuore. A dispetto dei quaranta gradi e del sole che ci sta cuocendo (e che ben scalda anche il palco), i fratelli O’Keeffe e soci non risparmiano nemmeno una goccia di energia, aprendo con “Ready To Rock”, con la chitarra del singer che non funziona e che viene cambiata ‘al volo’ senza cdarci quasi il tempo di accorgercene. La band è in palla, e il pubblico portoghese sembra esserle molto affezionata: quasi tutti, nella parte anteriore del pubblico fino al mixer, cantano a squarciagola gli stornelli sguaiati degli Airbourne. I suoni sono perfetti, e lo show è molto fisico, con moltissimi lanci di birra verso la platea, corse continue sul palco e discese tra il pubblico a cavallo di un roadie da parte di quel mattacchione di Joel O’Keeffe, che sciorina comunque assoli senza sosta. Considerati da molti un gruppo inutile, o quantomeno clone totale degli AC/DC, gli Airbourne hanno decisamente una capacità innata di intrattenere un pubblico, e anche chi non conosceva una sola nota delle loro canzoni rimane conquistato dal tiro dei quattro. Sette brani in tutto, per una quarantina di minuti abbondante di concerto sudato e ad alto tasso di decibel. Si comincia bene.
Setlist:
Airbourne:
Ready to Rock
Play Video
Back in the Game
Girls in Black
Burnout the Nitro
Breakin’ Outta Hell
Live It Up
Runnin’ Wild
WITHIN TEMPTATION
Quando i Within Temptation prendono il palco, l’atmosfera cambia non poco. Il genere della band sembra interrompere non poco la festa di grezzo rock and roll che gli Airbourne avevano iniziato, e così assistiamo a una migrazione di tutti coloro che non siano fan della band olandese verso l’area cibo. Non che gli ammiratori della band capitanata da Sharon Den Adel siano pochi, anzi, il fronte palco resta comunque assiepato di persone pronte a cantare con il gruppo ma, a differenza degli Airbourne, chi non conosce la band sembra approfittarne per la cena. Non ce ne vogliano i fan: lo show risulta davvero fuori luogo anche a noi, e non capiamo come sia stato possibile, a livello di ‘crescendo’, mettere prima gli Airbourne. Il gothic/alternative rock dei Within Temptation, se pure foose stato più affine al metal nei tempi passati, suona totalmente inoffensivo in questa sede, peraltro con la luce del sole che non aiuta l’atmosfera. Tuttavia, sorvolando sulla proposta, possiamo dire che l’esibizione sia stata all’altezza delle aspettative di chi era lì anche per loro; da parte nostra i suoni ci sono apparsi piuttosto leziosi, con le chitarre quasi in secondo piano. Uno show certamente professionale, con una scaletta capace di accontentare le molte persone in visibilio per la band e sfoderamento di bandierone ucraino in solidarietà con le popolazioni in guerra verso fine dell’esibizione. Quindi sicuramente un gran concerto, imparzialmente possiamo dire uno show professionale ed eseguito in maniera eccellente. Ma non vediamo l’ora di prepararci, finalmente, per gli Iron Maiden!
Setlist:
Our Solemn Hour
Paradise (What About Us?)
Faster
In the Middle of the Night
The Reckoning
Entertain You
Stand My Ground
Raise Your Banner
Ice Queen
Supernova
Mother Earth
IRON MAIDEN
L’attesa per l’inizio di un concerto dei Maiden è ormai un rito ben codificato: operai sul palco, teli a coprire le installazioni, contare i minuti prima che parta “Doctor Doctor” degli U.F.O., i cori che scandiscono il solito ‘olè olè olè’. Una celebrazione in piena regola, mentre il sole inizia a lasciare posto alla notte portoghese. Un roadie toglie troppo presto un telo, rivelando una pagoda giapponese, e basta questo per mandare in visibilio il pubblico. Viene trasmessa “Transylvania” con un video promozionale del videogioco (per distrarci mentre ricoprono il tutto?), si attende ancora qualche minuto e alle nove spaccate gli U.F.O. vengono trasmessi dalle casse. Tutto lo stadio ovviamente canta il brano, alla cui fine sentiamo il potente timpano che apre “Senjutsu” dare il ‘la’. La title-track dell’ultimo uscito si scaglia sui presenti assieme alla Vergine di Ferro, per un inizio serata che sembra promettere il meglio. Il brano dal vivo regge benissimo, sebbene forse la sua posizione in scaletta come opener sembri mostrare un po’ il fianco; la band suona piuttosto concentrata, mentre l’Eddie samurai che campeggia su “Senjutsu” entra sul palco già al primo brano. Nemmeno una parola viene pronunciata quando finisce la canzone, tre colpi di charleston e parte “Stratego”, anch’essa suonata molto bene e che, come ci aspettavamo, live vive perfettamente la propria dimensione ideale, così come la seguente “The Writing On The Wall”, brevemente introdotta da Dickinson che finalmente saluta il pubblico e annuncia (a gesti) il primo singolo di “Senjutsu”. Dal vivo la canzone funziona benissimo: il suo hard rock da battimano è coinvolgente, e anche chi non era troppo convinto dei nuovi brani si lascia comunque trasportare. Il pubblico del resto sembra aver avuto tutto il tempo necessario per recepire il nuovo disco, sebbene ci siano molti chiaramente in attesa dei pezzi storici, come spesso accade in questo tipo di tour. Il palco a questo punto cambia: via l’ambientazione giapponese, si torna alla cattedrale già vista nello scorso tour, e con essa svanisce tutta la parte dedicata all’ultimo lavoro. Da qui in poi la scaletta rivedrà quanto proposto nel Legacy of the Beast tour, con qualche piccola differenza. La prima canzone a fare capolino è l’immortale “Revelations”, che il pubblico canta talmente forte da superare, in alcuni punti, il volume di Dickinson e soci, e da qui in poi è un giro in giostra nel passato della band. Segue una meravigliosa “Blood Brothers”, tra i picchi della serata in tutta la sua corale magnificenza, e “Sign of the Cross”, altro highlight del concerto; suonata da paura, speravamo davvero venisse riproposta in questa sede, e la risposta dell’audience è notevole quando un Dickinson vestito da monaco fa esplodere il brano nella sua strofa principale. Ovviamente il palco cambia atmosfera a seconda del brano, e subito dopo la ieratica croce che campeggiava sullo sfondo, un alato Icaro si erge da dietro la batteria per “Flight of Icarus”, anche questa, come sempre, ineccepibile e suonata ‘utilizzando’ il pubblico come strumento. Fino a questo punto il concerto è risultato perfetto: la band rodata dalle molte settimane on stage, Nicko il solito metronomo, la voce di Dickinson regge, e perfino Janick Gers sembra più interessato a suonare che a fare piroette (e che tocco, quando ci si mette!). Adrian Smith, forse il più in forma dei tre chitarristi, sciorina riff e assoli, mentre quello più appesantito (non solo fisicamente!) ci è sembrato Dave Murray, più statico del solito. Di Steve Harris che dire? È sempre il solito leader, sempre di corsa, e vederlo fare il gesto del fucile col manico del basso ci farà battere il cuore anche dopo decenni. Fino a qui tutto bene, dicevamo, mentre dal pezzo seguente una certa stanchezza sembrerà calare sui Nostri. Forse saranno stanchi anche loro di suonarla, “Fear of the Dark”, ma ad ogni latitudine il pubblico sembra non smettere di apprezzare questo brano; eppure è proprio da qui che iniziamo a percepire un certo calo di prestazioni, e la stanchezza comincia a farsi sentire sui sei inglesi. Del resto da qui in poi si suonano solo le ‘irriducibili’, quelle canzoni che Steve Harris non toglierebbe dalla scaletta nemmeno sotto tortura: “Hallowed Be Thy Name”, con Dickinson in gabbia e cappio che dondola, viene salmodiata dallo Stadio, mentre “The Number Of The Beast” mostra uno degli scenari più belli della serata, con fiaccole accese e quell’enorme diavolo a spuntare sul palco con la sua testa mostruosa. A parte un errore di Dickinson (ora con indosso un chiodo!), che canna tutta la prima strofa fino al ritornello, la canzone fa sempre il suo effetto, fino ad arrivare ad “Iron Maiden” che chiude lo show prima del primo bis. Un piccolo riposo, l’enorme Eddie soldato dietro la batteria ci fa capire immediatamente cosa stiamo per ascoltare. Ovviamente accolta con un’ovazione, “The Trooper” viene eseguita come sempre con il cantante vestito in giubba rossa che alterna bandiera inglese e portoghese, pubblico che supera ogni livello di decibel cantando e l’Eddie soldato che appare sul palco a combattere, questa volta, non con Gers, ma con Dickinson stesso, con tanto di siparietto comico. Musicalmente che dobbiamo dire a “The Trooper”, del resto? Sempre un gran pezzo, anche se anche in questo frangente avvertiamo un certo calo di brio da parte della band. Si passa ad una ormai inaspettata “The Clansman” per ravvivare la band – magari è solo una nostra impressione ma percepiamo un certo divertimento nel suonare questo brano, che del resto permette, ancora una volta, a tutto lo stadio di cantare all’unisono assieme ai Maiden: siamo sicuri che ancora adesso i vari “freedom” stiano riecheggiando da qualche parte in Portogallo. Segue a questo punto “Run To The Hills”, forse l’unico pezzo di cui si poteva davvero fare a meno, visto che la canzone viene suonata a metà del suo tempo (non ci pareva fosse stato così l’ultima volta che li avevamo visti), con il ritornello a quella velocità che risulta davvero bizzarro e Dickinson stesso che sembra un po’ in difficoltà cantarlacon tale ritmo. La band ringrazia, saluta, lascia il palco, ma i Monty Python – epitome della fine effettiva del concerto – non sembrano ancora partire dalle casse. Mentre ci chiediamo, al buio, quale sarà allora il prossimo brano, ecco che lo storico discorso di Churchill deflagra nel silenzio, facendo alzare le braccia di tutti quando le luci si accendono, l’aeroplano svetta sul palco e “Aces High” fa fare un ultimo giro di canti ai presenti, portando a casa l’ultima data del tour. Che dire, un po’ di stanchezza è accettabile dopo tutte queste date, se si considera anche che i musicisti non sono più ventenni (e nemmeno cinquantenni, a ben vedere), e per valore storico, scenografie e performance vedere i Maiden è sempre un evento. Forse un rimaneggiamento della scaletta sarebbe stato gradito, ma per chi non fosse riuscito a vedere la precedente tranche di Legacy of the Beast è stata comunque una festa incredibile. Si accendono le luci, i Maiden ringraziano, Dickinson lascia il palco con un emblematico, misterioso ed enfatico “We’ll see you… Somewhere on tour” – lasciando forse intendere qualcosa sul prossimo tour? Non lo sappiamo ma iniziamo a fantasticare, le luci si accendono, finalmente parte il brano immortale di “Brian di Nazareth”, e ci accorgiamo che attorno a noi ci sono solo facce contente e sorrisi. Alla prossima incarnazione, dunque, e come sempre: up the Irons!
Setlist:
Doctor Doctor (degli U.F.O.)
Senjutsu
Stratego
The Writing on the Wall
Revelations
Blood Brothers
Sign of the Cross
Flight of Icarus
Fear of the Dark
Hallowed Be Thy Name
The Number of the Beast
Iron Maiden
The Trooper
The Clansman
Run to the Hills
Aces High
Always Look on the Bright Side of Life