DGM
Aspettavamo al varco i DGM, da poco rimasti senza il cantante Titta Tani, per vedere se il nuovo singer Mark Basile si sarebbe dimostrato all’altezza del suo collega. L’attesa è stata anche alimentata dal fatto che questa formazione ha convinto parecchio con l’ultimo “Different Shapes” e ci si attendeva quindi uno show di alto livello che rassicurasse sul futuro della band. Fortunatamente già dalle prime note della stupenda “New Life”, proprio un estratto del disco appena menzionato, è apparso evidente che il nuovo vocalist è molto bravo, preciso e dotato di una notevole estensione. Anche la presenza scenica del nuovo membro non ha lasciato a desiderare e la band ha suonato compatta e precisa sulle note di “Some Day, One Day”, altro brano spettacolare dove la chitarra di Simone Mularoni e la tastiera di Emanuele Casati hanno tessuto trame pregiate e melodie sempre azzeccate. La band ci ha abituato a prestazioni come questa e, sebbene i suoni non siano stati ottimali, il pubblico ha dato più di un segno di riconoscimento con applausi e acclamazioni. L’apice del breve ma intenso concerto è stata la bellissima “Fallen Angel”, una semi-ballad emozionante dove il cantante ha superato sé stesso. Ottima prestazione dunque e, soprattutto, preoccupazioni lasciate da parte. Ora attendiamo il nuovo disco.
MACBETH
I milanesi Macbeth sono spesso frettolosamente considerati i ‘cugini poveri’ dei Lacuna Coil, vuoi per lo stile musicale proposto (praticamente lo stesso), vuoi per la presenza della bella Morena alla voce, vuoi per la provenienza geografica e vuoi infine, in ultima analisi, anche per il modo di porsi sul palco e per il look moderno con tanto di camicie tutte uguali. Non si può esattamente dire che i Macbeth facciano molto per smentire questa diceria, però bisogna ammettere che il gruppo si sa muovere con le proprie gambe e dal vivo sa il fatto suo. Quattro album all’attivo e più di dieci anni di attività, d’altronde, serviranno pure a qualcosa! Una performance vigorosa ed entusiasta, durante la quale Andreas, il vocalist, ha saltellato indemoniato da una parte all’altra dell’Hall Stage, interpretando in modo molto fisico il repertorio ormai cospicuo del combo, che passa dalle novità di “Superangelic Hate Bringers” ai pezzi più datati tratti da “Vanitas” (“Crepuscularia”) e “Romantic Tragedy’s Crescendo” (“Forever…”). Partiti in sordina con suoni altalenanti, soprattutto durante l’esecuzione del primo brano, i Macbeth sono poi cresciuti alla distanza, convincendo il pubblico e noi addetti ai lavori. Prova più che discreta.
NODE
E’ stato però con i terremotanti Node che l’I-GOM ha preso letteralmente il via e pure il volo, grazie ad uno show a dir poco adrenalinico e coinvolgente, che ha generato vortici di pogo non indifferenti, se si considera l’orario di svolgimento. Daniel, Gary, Marco e Klaus uniti formano il classico gruppo che, nel caso vi capiti una serata storta o in cui vogliate dimenticare qualcosa di poco piacevole, è adattissimo per tirarvi su da terra e instillarvi una sana dose di benedetto menefreghismo verso le tristezze della vita. Una bella mezzora di death metal incendiario e via, tutto risolto! “Redrum”, “As God Kills”, “Watcher Of A Failed Generation” hanno tenuto altissima la bandiera dell’ultimo nato “As God Kills”, mentre è un po’ scarseggiato il materiale più antico, omaggiato a fondo esibizione con l’assassina “Das Kapital”, impreziosita dall’apprezzatissimo ingresso, in veste di guest vocalist, di Trevor dei Sadist. Volumi fin troppo elevati hanno un po’ imbastardito l’operato dei Node, comunque sempre da applaudire per la capacità di generare adrenalina e per la simpatia e ‘cordialità’ sul palco. Grandi!
NECRODEATH
Purtroppo per i Necrodeath, è difficile non assegnar loro l’odiatissima coppa di Esibizione Peggiore del Festival. Una partenza terribile ed un seguito non all’altezza hanno deluso parecchio chi desiderava vedere al meglio una fra le più longeve e stimate band estreme italiane. Seri problemi tecnici alla chitarra di Maxx e suoni penosi di batteria hanno pregiudicato l’esecuzione di più di un brano nei primi dieci minuti, smorzando l’entusiasmo sia di Flegias e soci, sia quello di un’audience ancora assordata dagli echi assassini dei Node. “Forever Slaves”, “Hate And Scorn”, “Master Of Morphine”, la storica “Mater Tenebrarum” e “Smell Of Blood” hanno risollevato parzialmente la performance dei genovesi, comunque sottotono, svogliata e anche sfortunata. Il death-black metal di cui sono capaci i nostri diabolici alfieri è certamente ben altra cosa, ma una giornata storta può capitare a chiunque. Peccato davvero.
GRAVEWORM
I Graveworm sono a tutti gli effetti una formazione italiana, sebbene siano più conosciuti in Germania e all’estero che nel Paese d’origine. Essendo originari dell’Alto Adige, i ragazzi fra di loro parlano in tedesco e anche nell’interazione del frontman Stefan Fiori con il pubblico dell’I-GOM si è riusciti a scorgere una vaga ed impacciata cadenza teutonica. Diciamo ciò più per dovere di cronaca che per altro, in quanto il sestetto di Bolzano ha fornito certamente una delle prestazioni più professionali e vigorose dell’intero festival. La band è abituata a suonare molto ed è esperta, quindi non è stato troppo difficile per essa riuscire a coinvolgere appieno gli astanti presenti sotto il palco del Club Stage. Lo stile dei Graveworm si rifà ancora prevalentemente a Dimmu Borgir e Cradle Of Filth, ma molto apprezzati sono risultati i potenti stacchi thrash-death e i riffoni groovy, difficilmente udibili, di solito, durante uno spettacolo di (quasi) puro symphonic black. Suoni puliti e graffianti, solo un po’ di caos nel ronzio delle chitarre, soprattutto nelle accelerazioni più malefiche e tecniche, buona presenza scenica: ecco a voi i Graveworm. Molto bravi.
VISION DIVINE
La prestazione dei Vision Divine è stata senza dubbio una delle più convincenti dell’intera giornata, fatto sul quale avremmo scommesso ad occhi chiusi fin dall’inizio, avendo Thorsen e soci trovato una quadratura perfetta già da qualche tempo. La band toscana si è dimostrata compatta e precisa nell’esecuzione e ha trovato nel singer Michele Luppi l’arma per sbaragliare a mani basse la concorrenza power. La performance del singer nostrano è stata semplicemente strepitosa, grazie ad un’elasticità vocale che permette al vocalist di raggiungere altezze vertiginose, ma anche di sfoderare caldi passaggi dalle tonalità medio-basse. Molto bravo il singer ‘divino’ anche nell’intrattenimento con il pubblico, che si è accostato alle note dei nostri in maniera massiccia e coinvolta, mentre decisamente più schivi, al limite della timidezza da ‘prima volta’, sono risultati gli altri musicisti. Breve ma intensa la scaletta che ha dovuto far fronte allo scarsissimo minutaggio a disposizione, con l’esclusione di tanti classici che avremmo ascoltato più che volentieri. La partenza è stata affidata a “Secret Of Life”, seguita dalla meno immediata “The Perfect Machine”; particolarmente riuscita l’esecuzione della spassosissima “Voices”, mentre “Send Me An Angel”, unico episodio dell’era Lione, ha chiuso in bello stile il concerto del decimo compleanno della band. Auguri e complimenti!
DOMINE
E’ innegabile che i Domine in Italia godano di una buona popolarità, fatto che viene alla luce ogni qual volta il quintetto toscano calca i palchi in madrepatria. Anche questa volta è andata così e, infatti, il loro show è stato uno dei più seguiti di tutto il festival. Loro hanno ricambiato tutto questo affetto con un’esibizione come al solito buona, con Morby in veste di protagonista assoluto. Già l’opener “Hurricane Master” ha dato una bella scossa al pubblico, con l’esperto singer acclamato a gran voce dopo che nel finale del pezzo ha lanciato i suoi proverbiali acuti al limite degli ultrasuoni. Il tempo a disposizione non era molto, per cui la band ha tirato dritto con “The Messenger” e l’imponente ed epica “The Aquilonia Suite”, il cui coro ‘Ave Domine!’ è stato intonato da gran parte della platea. Strumentalmente la band, pur non sfoggiando chissà quale tecnica, ha dimostrato la solita compattezza con un Enrico Paoli visibilmente entusiasta. Nel finale il tris “Thunderstorm”-“Dragonlord”-“Defenders” ha accontentato i fan di lunga data e scatenato il pogo nelle prime file. Il pubblico ha salutato il gruppo con un lungo applauso e poco dopo una folta compagine si è accalcata al nostro stand per un attesissimo meet & greet con la band. Che dire…ennesima prova positiva!
EXTREMA
Eccolo qua, il Fottuto Massacro Collettivo, arrivare in pieno orario Controcampo. GL Perotti, Tommy Massara, Paolo Crimi e Mattia Bigi irrompono on stage senza un briciolo di intro, partendo in quinta e iniziando a sciorinare il loro metallo furente, a cavallo tra sonorità Panterose, una marcata vena melodica à la Machine Head ed una complessità nascosta, difficile da comprendere quando occhi e orecchie sono distratti dalla carica adrenalinica dei quattro Extrema sul palco. I milanesi, quando sono chiamati a tenere alto l’onore della bandiera italiana, non deludono praticamente mai, in quanto dal vivo pochi come loro sanno interpretare con grinta e convinzione il proprio repertorio. Con l’importante passaggio sotto le ali terapeutiche della Scarlet Records, è probabile che questa Grande Incompiuta del metallo tricolore riesca a mettere in cantiere con regolarità almeno un paio di dischi, che possibilmente non siano raccolte, album di cover o live. Troppo a singhiozzo è stata la carriera di Tommy e soci per poter esplodere di prepotenza nel mercato frammentato d’oggigiorno, ma certo, vista e sentita la veemenza con cui GL arringa la folla e dà appuntamento al tour europeo in compagnia dei Death Angel, la speranza è che a furia di Massacri Collettivi, buona parte del Vecchio Continente risvegli l’interesse nei confronti della nostra power-thrash band per antonomasia. “Money Talks” resta la canzone assassina che è, “This Toy” segue a ruota, mentre il resto della setlist scorre via fluida tra una giravolta di Massara, uno stage diving di Perotti e l’aggressione del duo ritmico Bigi-Crimi. Performance piena di mordente, rabbia ed entusiasmo, per un gruppo che raramente tradisce le attese.
SADIST
Con lo show dei Sadist si entra nella parte finale dell’Italian Gods Of Metal, dedicata a formazioni e personaggi che davvero occupano posti ‘antichi’ nella storia dell’heavy metal italiano. Sebbene il gruppo di Tommy Talamanca rivesta un’importanza fondamentale anche in ambito europeo, non ci pare giusto equipararli a realtà quali gli Strana Officina o i Death SS, precursori a tutti gli effetti della scena metal nazionale. Dopo il rientro ufficiale avvenuto con l’esibizione all’Evolution Festival del 2006 e con la pubblicazione dell’omonimo, nuovo lavoro, da Trevor e compari ci si aspettava il classico show perverso e disturbante, in grado di generare repulsione al semplice ricordarlo. Nulla di tutto ciò, però, è andato in scena all’I-GOM: lungi da noi giudicare lo spettacolo dei genovesi non all’altezza, però diciamo che i ragazzi sono stati più sobri del solito. Trevor, come sempre, si è posizionato diverse volte alle spalle di Tommy e Andy nel tentativo di sgozzarli o stuprarli (a seconda di quello che ci volete vedere), ha demonizzato Babbo Natale nell’introdurre “Christmas Beat” e soprattutto ha schernito il tutto esaurito dei Nightwish, definendo i finnici un ‘gruppo per checche’ e generando così il mega-boato dei presenti. I Sadist tecnicamente non si discutono ed il loro techno-thrash tribale e straniante ha fatto bella mostra di sé, anche se stavolta non si è potuto gridare al miracolo; è comunque sempre fantastico vedere Tommy balzare continuamente davanti alla tastiera, pigiando i tasti con la mano destra e suonando il manico della chitarra con la sinistra: alcuni passaggi sono davvero impressionanti. Non al top della forma, quindi, ma comunque decisamente promossi! Avanti il prossimo…
STRANA OFFICINA
Sono passati un paio d’anni dal ritorno della Strana Officina ed anche in questa occasione il loro show è stato uno dei più attesi della serata. Parecchi fan, sia veterani del metal anni ‘80 che giovani, si aspettavano un concerto esplosivo dai nostri e sono stati ripagati da subito con “The Ritual”. Una partenza col botto per i quattro ragazzi livornesi con un pezzo di grande heavy metal classico, subito seguito da “King Troll” e dalla classica “Profumo Di Puttana”. Bud è apparso in forma e sempre al centro della scena, ben sostenuto dalla sezione ritmica composta da Enzo Mascolo e Rolando Cappanera, e affiancato da un indiavolato Dario Cappanera, preciso e ispirato anche in fase solista. Devastante il suo riffing in “Kiss Of Death”, mentre assolutamente toccante è “Luna Nera”, canzone lenta datata 1983 e qui dedicata agli ex-componenti, tragicamente venuti a mancare. La scomparsa dei fratelli Cappanera e del chitarrista Marcello Masi pesa sempre e soprattutto nel cuore dei fan di lunga data. La folla non ha potuto quindi che apprezzare ed applaudire una prestazione così intensa anche dal punto di vista emotivo. Il concerto è andato via liscio con una “Autostrada Dei Sogni” da brivido. Presto si è arrivati alla chiusura in grande stile con la terremotante “Metal Brigade”, sulla quale le prime file si sono agitate parecchio lanciandosi in un headbanging forsennato, e la conclusiva ed immortale “Officina”, cantata a gran voce dal pubblico. Più che meritata l’uscita tra applausi e le urla di approvazione. A fine concerto non sono mancati i commenti di soddisfazione della gente. Non ce n’è di storie, la Strana Officina non delude mai e anche in questa occasione ha dimostrato di essere uno dei migliori gruppi classic metal attualmente in circolazione. Chi non li avesse ancora visti all’opera, non si lasci scappare il prossimo show.
FIRE TRAILS
Poche storie: Pino Scotto, a furia di imprecare contro tutti e tutto, è diventato una vera celebrità in Italia e anche all’Italian Gods Of Metal non sono stati pochi i fan che si sono accalcati sotto al palco per vederlo in azione con i suoi Fire Trails. Lui li ha accontentati salendo on stage con cappello, occhiali da sole, bottiglia di Jack Daniel’s già mezza vuota ed esordendo con un sonoro ‘fanculo bastardiii!’. Il suo show è stato un mix di heavy-rock metal classico con pezzi storici dell’epoca Vanadium, altri del periodo Fire Trails e accuse lanciate soprattutto al festival di Sanremo. E’ così che tra una “Fighter” e una “Too Young To Die” da headbanging generale, il frontman ha trovato il tempo di dare dei pezzi di mer*a a quelli di Sanremo, accusandoli di spendere i nostri soldi per delle canzoni di mer*a e dicendo che dovrebbero andare in galera, Pippo Baudo per primo… Ovvia la risposta della platea con urla e applausi vari a sostegno del loro incazzatissimo Pino. Dal punto di vista vocale, i cinquant’anni abbondanti si sono sentiti e, tra un acuto e l’altro, il cantante si è affidato anche all’aiuto del pubblico, soprattutto sui ritornelli. La folla è apparsa comunque in balia del suo carisma e si è lasciata trasportare dall’entusiasmo su pezzi come la mitica “Run Too Fast”. “Silent Heroes” è stata dedicata a Falcone e Borsellino e ovviamente Pino non ha perso l’occasione per attaccare chi parla tanto di questi due eroi nazionali ma nel concreto non fa un ca**o. Nel finale la cover di “Highway Star”, per ricordarci tutti quei gruppi che ci hanno insegnato a suonare il vero rock. Pino, uscito di scena con un ‘long live rock ‘n’ roll!!!’ ha messo a segno un altro colpo che certo andrà ad alimentare la sua fama di personaggio più unico che raro.
DEATH SS
Poco dopo le 21.30 un sinistro rintocco di campana ha introdotto l’atto finale e forse più atteso di questa maratona metallica. Steve Sylvester e soci si sono presentati su un palco dalla coreografia minimale, agghindati con i costumi del periodo primi Nineties, sulle note di “Ave Satani”, cui hanno fatto seguito le esecuzioni adrenaliniche di “Peace Of Mind”, “Horrible Eyes” e di una acclamatissima “Cursed Mama”. La presenza del pubblico è apparsa leggermente inferiore rispetto al picco raggiunto nelle ore centrali del pomeriggio, tuttavia il calore dei presenti ha reso meno percettibile il dato, evidenziando il grande attaccamento per una band che, stando alle dichiarazioni del suo stesso leader, ha tenuto l’ultimo concerto italiano della propria carriera. La performance che i Death SS hanno regalato per questa specialissima occasione è di quelle da ricordare: la setlist si è concentrata sui due capolavori “Black Mass” ed “Heavy Demons”, ma non ha tralasciato regressioni dal primo disco “In Death Of Steve Sylvester”, da cui le riuscite riproposizioni di “Terror” e “Vampire”. Completamente ignorati gli ultimi due lavori, la band italiana non ha mancato di citare la produzione di fine/inizio secolo grazie alle note coinvolgenti di “Baron Samedi” e “Let The Sabbath Begin”. Pollice alto anche per la resa sonora che è apparsa soddisfacente, evidenziando fra l’altro qualche piccola sbavatura tecnica, bilanciata dall’intensità emotiva che i cinque musicisti hanno infuso nelle note. Ancora una volta determinante l’aspetto scenico-teatrale: abbiamo già detto di una coreografia volutamente essenziale, integrata da una serie di spettacoli erotici a sfondo satanico inscenati da tre ragazze molto disinibite, durante l’interpretazione di talune canzoni. Ottimi i giochi di luce, così come particolarmente gradito è stato l’apporto di fuochi d’artificio che hanno rafforzato l’enfasi dei pezzi. Con l’esecuzione di due classici del calibro di “Heavy Demons” e “Black Mass”, i Death SS hanno salutato definitivamente e forse per sempre il pubblico, lasciando in memoria l’affresco di questo bellissimo concerto, degna pietra tombale di una band fondamentale per l’heavy metal tricolore.